(ASI) Quando il governo cinese, tra novembre e dicembre, aveva annunciato la graduale rimozione della stringente politica zero-Covid, il nuovo trend sembrava ormai chiaro. In Occidente, non pochi osservatori e leader politici avevano gridato al pericolo della diffusione di un nuovo contagio, paventando scenari foschi e possibili prolungamenti dell'emergenza sanitaria: niente di più falso ed infondato.
In realtà, come avevamo anticipato su queste colonne, il gigante asiatico ha messo la parola 'fine' su un triennio di pandemia, affrontato con efficacia ma anche con l'adozione di misure draconiane in quei momenti ed in quelle aree del Paese in cui le recrudescenze epidemiche destavano, di volta in volta, le preoccupazioni maggiori.
Tali scelte hanno indubbiamente consentito di limitare al minimo l'impatto della malattia da SARS-CoV-2 sulla popolazione, in particolare sulle fasce più vulnerabili, ma al contempo hanno rallentato notevolmente l'economia. Basti pensare che il tasso di crescita del PIL nel 2022 si è quasi certamente fermato al 3,2%: un dato notevolmente al di sotto delle previsioni di inizio anno del governo (+5,5%) e nettamente inferiore a quello del 2021 (+8,1%).
La decisione delle autorità sanitarie cinesi di considerare, a partire dallo scorso 8 gennaio, quella da Covid come infezione di Classe B, e non più di Classe A, ha introdotto l'aggiornamento di ben venti misure di controllo e prevenzione, realizzato in forza degli studi scientifici condotti sulla variante Omicron, i quali hanno mostrato che, come riporta Xinhua, «il virus era diventato meno letale e il costo sociale per sostenere il controllo epidemico prevalente era velocemente aumentato».
Da mesi era ormai chiaro alla leadership che l'abbrivio del 2023 avrebbe dovuto segnare l'inizio di una nuova fase nel quadro della gestione sanitaria. Il SARS-CoV-2 non è scomparso ed evidentemente non scomparirà mai. Più semplicemente, l'agente patogeno - mutato numerose volte e divenuto endemico nella sua fase di adattamento all'organismo umano - è destinato a ridurre progressivamente la sua virulenza. Ciò, ovviamente, non significa che non si verificheranno mai più casi gravi ma che questi saranno molto più circoscritti che in passato.
Le proteste emerse in alcune città alla fine di novembre potrebbero dunque aver soltanto accelerato o anticipato un processo di fuoriuscita dall'emergenza messo già in cantiere per l'inizio di quest'anno. Con l'annuncio della revisione delle misure di prevenzione sanitaria, a dicembre molti milioni di cinesi hanno potuto programmare in tranquillità le ferie per il Capodanno lunare, caduto il 22 gennaio scorso, prenotando viaggi, alberghi e ristoranti in vista della Settimana d'Oro invernale, sette giorni consecutivi di festività, che consentono un prolungato periodo di riposo a tre o quattro mesi di distanza dalla Settimana d'Oro autunnale, cioè quella che segue la ricorrenza nazionale del Primo Ottobre.
Il sentiment delle imprese è risalito rapidamente, tanto che i dati diffusi oggi dal Dipartimento Nazionale di Statistica, e riportati da Xinhua, evidenziano il netto balzo in avanti dell'indice PMI manifatturiero, salito questo mese a 50,1 punti dai 47 di dicembre, tornando così in territorio espansivo. In particolare, il sottoindice relativo alle grandi imprese raggiunge quota 52,3 ovvero in crescita di 4 punti percentuali rispetto al mese precedente.
Il sottoindice relativo ai nuovi ordini è invece cresciuto di ben 7 punti, risalendo sino a 50,9: un dato che evidenzia il rimbalzo della domanda nel mercato manifatturiero. Fermandosi a 49,8 punti, quello relativo alla produzione è ancora al di sotto della soglia dei 50, ma ne guadagna 5,2 nel confronto con il mese di dicembre.
Passando al terziario, grazie anche alla spinta esercitata dai consumi durante le recenti festività, il cambiamento è drastico: l'indice PMI non manifatturiero sale infatti dai 41,6 punti di dicembre ai 54,4 di gennaio, il secondo dato più alto negli ultimi dodici mesi, dopo quello dello scorso giugno (54,7). I servizi (54) si mantengono sostanzialmente in linea con il dato generale mentre le costruzioni (56,4) si posizionano addirittura al di sopra.
Complessivamente, dei 21 settori presi in esame, sono 15 quelli attestati in territorio espansivo: tra questi spiccano ferroviario, aviazione, servizi postali, servizi finanziari e assicurazioni, tutti al di sopra dei 60 punti. Numeri positivi anche per commercio al dettaglio, alberghiero e ristorazione, i più colpiti dalle restrizioni di carattere sanitario.
Non è un caso, insomma, se nelle ultime ore il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha rivisto al rialzo (+0,8%) la previsione dello scorso ottobre, comunicando che la crescita dell'economia cinese nel 2023 si attesterà al 5,2%. Nel suo ultimo rapporto aggiornato, l'istituzione con sede a Washington ha fatto sapere che tale dato riflette l'improvviso miglioramento della mobilità e che le recenti riaperture hanno spianato la strada ad una ripresa più veloce delle attese.
Sempre secondo il FMI sono ancora impattanti sull'intero pianeta le conseguenze del conflitto russo-ucraino, pur in un contesto prospettato di graduale riduzione dell'inflazione a livello globale dall'8,8% dello 2022 al 6,6% del 2023 e al 4,3% del 2024. Eppure, la forte ripresa della Cina, ed in particolare del suo mastodontico mercato dei consumi, potrebbe aiutare l'economia mondiale a recuperare terreno, alleviando le principali criticità.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia