(ASI) L’espulsione del difensore dei diritti umani franco-palestinese Salah Hammouri, nonché la recente risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per un parere della Corte internazionale di giustizia (Cig) sulle conseguenze dell’occupazione dei territori palestinesi, sono chiari segni d’inquietudine per questo inizio duemilaventitre.
Israele rifiuta e critica la risoluzione, passata con 87 voti favorevoli, 26 contrari e 53 astenuti. Stati Uniti e altri 24 membri, tra cui spiccano Italia, Regno Unito e Germania hanno votato contro, mentre la Francia si è astenuta, così come tutti i Paesi scandinavi.
Sostegno invece pressoché unanime alla risoluzione nel mondo islamico, anche tra gli Stati arabi che avevano iniziato un processo di normalizzazione delle relazioni con Israele, come Marocco ed Emirati Arabi Uniti.
Il parere alla Corte internazionale di giustizia (massimo tribunale delle Nazioni Unite che si occupa delle controversie tra Stati) arriva il giorno dopo il giuramento del nuovo governo israeliano guidato dal leader conservatore Benjamin Netanyahu. I partiti dell’ultradestra che compongono la coalizione di governo avevano promesso di rafforzare gli insediamenti in Cisgiordania e questa risoluzione potrebbe rallentare i programmi elettorali.
Il testo della risoluzione chiede alla Corte internazionale di giustizia di esprimere un parere consultivo sulle conseguenze legali dell’occupazione, degli insediamenti e dell’annessione da parte di Israele, comprese le misure volte ad alterare la composizione demografica e lo status della città di Gerusalemme.
Una risoluzione che ha di fatto scatenato la furia dell’opinione pubblica israeliana che non vuole riconoscere tali misure internazionali. L’ultima volta che la Corte si era pronunciata sul conflitto tra israeliani a palestinesi risale al 2004, e anche allora nonostante venne stabilito che la barriera di separazione posta dallo Stato ebraico era illegale, la sentenza venne respinta da Israele in quanto “politicamente motivata”.
L’espulsione di Hammouri, invece, così come la revoca del suo status di residenza a Gerusalemme Est (occupata) sono state rese possibili da un emendamento del 2018 sull’ingresso in Israele. La norma conferisce al ministro dell’Interno ampi e discrezionali poteri di revoca della “residenza permanente” (il precario status che si applica solo ai palestinesi di Gerusalemme) ai danni di coloro che abbiano rotto “il vincolo di fiducia” con lo stato d’Israele. Una norma chiaramente contraria al diritto internazionale, giacché non è immaginabile che una popolazione occupata debba essere “fedele” alla potenza occupante.
L’espulsione di Hammouri e la critica alla risoluzione Onu, ritenuta “vergognosa”, sono solo alcune delle premesse con le quali Netanyahu si appresta a tornare in campo in questo inizio anno. L’intento mai celato di rivendicare legamici biblici e storici con i territori contesi oltre ad una sbandierata necessità di sicurezza e autodifesa, che, sicuramente, inasprirà ulteriormente la crisi palestinese.
Emilio Cassese - Agen<ia Stampa Italia