Italia-Cina. Dopo il vertice Meloni-Xi, quali prospettive per le relazioni bilaterali?

(ASI) Sarebbe dovuto durare appena mezz'ora il vertice tra Italia e Cina del 16 novembre scorso, a margine del G20 di Bali, e invece la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente cinese Xi Jinping si sono salutati dopo più di un'ora di colloquio, quasi sforando la chiusura dell'evento indonesiano.

Cosa si sono detti? Sulla stampa, sia italiana che cinese, non è trapelato molto. Da parte sua, Palazzo Chigi si è limitato ad un comunicato stampa di sintesi dei punti salienti toccati nel corso di un incontro definito come «improntato alla cordialità». In particolare, la Meloni ha «espresso l'interesse del Governo italiano a promuovere gli interessi economici reciproci, anche nell'ottica di un aumento delle esportazioni italiane in Cina».

Tema caro al centrodestra italiano è da molti anni quello del riequilibrio commerciale nei confronti dei Paesi emergenti, ed in particolare del gigante asiatico. Stando ai dati ICE-ISTAT, nel 2021 le esportazioni italiane verso la Cina hanno raggiunto un volume pari a circa 15,69 miliardi di euro, in crescita del 22,1% rispetto al 2020 e del 21% rispetto al 2019. La bilancia commerciale, tuttavia, pende ancora nettamente a favore di Pechino, da cui l'Italia, sempre lo scorso anno, ha importato beni e servizi per circa 38,52 miliardi di euro, in crescita del 19,4% sul 2020 e del 21,67% sul 2019.

Nei prossimi anni, però, le importazioni cinesi dall'estero sono destinate ad aumentare. Con l'incremento del reddito disponibile medio delle famiglie urbane, salito del 148% tra il 2010 e il 2021 [Statista], l'economia del Paese è già da diversi anni trainata non più dall'export bensì dai consumi interni, che nel 2021 hanno contribuito alla crescita per il 79,1%, in aumento del 4,4% rispetto al dato dell'anno precedente [People's Daily], facendo della Cina il secondo più grande mercato al mondo per consumo di commodity.

La trasformazione, tutt'ora in corso, della Cina in un'economia caratterizzata dall'innovazione, dai servizi e dalla manifattura hi-tech, presenterà al contempo nuove sfide e nuove opportunità, in parte ancora da comprendere con esattezza. Di certo, la forte urbanizzazione degli ultimi trent'anni, che ha raggiunto quota 64,72% nel 2021, ha creato le condizioni per l'ascesa di una folta classe media che, secondo il Center for Strategic & International Studies (CSIS), già nel 2018 era composta da circa 707 milioni di persone: un enorme bacino di consumatori con nuove esigenze e nuove consapevolezze, cui le imprese italiane, coi propri prodotti e servizi, potranno rivolgersi da qui al futuro.

I più lungimiranti hanno già sfruttato le prime cinque edizioni della China International Import Expo (CIIE), mega-evento, organizzato a Shanghai, che dal 2018 offre spazi fieristici alle imprese straniere che intendano far conoscere la propria attività in Cina. L'ultima cinque-giorni si è conclusa lo scorso 10 novembre, con numeri importanti: circa 461.000 visitatori, quasi 2.800 imprese, tra cui 284 delle prime 500 al mondo, 39 missioni commerciali, oltre 600 accordi conclusi per un valore pari a 73,52 miliardi di dollari, in crescita del 3,9% rispetto all'anno precedente [CIIE].  

A guidare questo processo di cambiamento è stata ed è tutt'ora la riforma strutturale dell'offerta, introdotta da Xi Jinping nel 2015 allo scopo di promuovere l'impresa e l'innovazione attraverso leggi e provvedimenti di semplificazione burocratica e riduzione fiscale. Ironia della sorte, proprio quello che da anni il centrodestra sostiene di voler fare in Italia.

Allargando il campo, durante l'incontro di Bali, Giorgia Meloni e Xi Jinping hanno auspicato anche un rilancio dei rapporti UE-Cina. Pur non menzionato nei comunicati ufficiali, emerge con forza il tema degli investimenti. L'accordo in materia tra Bruxelles e Pechino è ancora congelato da quando, nel corso del 2021, i vertici politici dei principali Paesi UE, il Parlamento e la stessa Commissione decisero di bloccarlo in reazione alle presunte violazioni dei diritti umani nei confronti della minoranza uigura nella regione dello Xinjiang, dove in realtà, negli ultimi vent'anni, il governo cinese ha condotto diverse operazioni anti-terrorismo per neutralizzare sigle islamiste e separatiste.

L'Accordo Cina-UE sugli Investimenti garantirebbe maggiori tutele e certezze per le imprese europee che operano sul mercato cinese. Tirarlo fuori dal cassetto e tornare a discuterne con Pechino sembra, a questo punto, quasi scontato. Non domani, forse, ma dopodomani sicuramente. Giorgia Meloni, che pure ha parlato di «diritti umani» nel suo faccia a faccia con Xi, sa che le decisioni di Bruxelles in risposta all'intervento militare russo hanno aggravato la spirale inflazionistica seguita alla pandemia.

Mantenere, come sta facendo l'esecutivo italiano, una postura rigidamente atlantista sulla crisi ucraina costa moltissimo al nostro Paese, che non può in alcun modo rischiare di perdere altri mercati in giro per il mondo dopo quello russo, fondamentale per l'approvvigionamento energetico e ritenuto, fino al febbraio scorso, praticamente insostituibile.

In Indonesia, i due leader hanno infine «riconosciuto l'antico rapporto tra Italia e Cina, due civiltà millenarie, sottolineando il successo dell'anno della cultura Italia-Cina». La cooperazione culturale, consolidata nel corso degli anni da vari programmi di scambio universitario, museale e artistico, è uno dei principali volani del turismo nelle due direzioni, ambito che nei prossimi anni, superate le ultime limitazioni dettate dall'emergenza pandemica, potrà essere sicuramente potenziato e migliorato in termini di strutturazione dell'offerta.

Previsto inizialmente nel 2020 ma rimandato a causa del Covid, l'anno congiunto della cultura, tra le altre iniziative, ha portato al Museo Nazionale di Pechino la mostra dal titolo Tota Italia. Alle origini di una nazione, che dal 10 luglio al 9 ottobre scorsi ha ospitato 503 opere provenienti da 18 musei e soprintendenze statali italiane, allo scopo di divulgare nel Paese asiatico il percorso storico di unificazione della Penisola tra il IV secolo a.C. e il I secolo d.C., un periodo della storia europea molto apprezzato e studiato dagli storici cinesi. Al 30 settembre scorso, cioè a nove giorni dalla chiusura, la mostra aveva già registrato 150.000 visitatori [Ambasciata d'Italia a Pechino]. Un buon segno.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

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