(ASI) La visita di ieri in Cina del presidente indonesiano Joko Widodo ha confermato la rilevanza strategica di uno dei partenariati più importanti nella regione Asia-Pacifico.
Quella tra Pechino e Jakarta è infatti una relazione solida, cementata da interessi economici e commerciali reciproci, che coinvolge la seconda e la sedicesima economia mondiale nonché la prima e la quinta economia asiatica. Già da anni annoverata tra i cosiddetti MINT, ovvero l'insieme di Paesi [Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia] destinati, secondo gli esperti, a seguire le orme dei BRICS, l'Indonesia è uno dei Paesi più popolosi al mondo ed il primo attore, per peso economico e demografico, di tutto il Sud-est asiatico.
Prima economia dell'ASEAN, l'Indonesia ne è membro fondatore - assieme a Singapore, Malesia, Filippine e Thailandia - e protagonista assoluta, tanto da costruirsi nel corso del secondo Novecento un ruolo diplomatico di primo piano, lanciato nel 1955 con l'organizzazione della storica Conferenza afro-asiatica di Bandung e suggellato quest'anno dalla prestigiosa presidenza del G20.
Dopo oltre due anni e mezzo dall'inizio della pandemia, il presidente cinese Xi Jinping ha accolto con tutti gli onori il suo omologo indonesiano, il primo capo di Stato a visitare il Paese dopo la conclusione delle Olimpiadi Invernali di Pechino. «Le due parti hanno agito in modo proattivo e con un grande senso di responsabilità per mantenere la pace e la stabilità regionale, oltre che per promuovere l'unità e la cooperazione internazionale», ha detto Xi, citato da Xinhua, durante l'incontro con Widodo, rimarcando come Cina ed Indonesia abbiano «stabilito esempi di grandi Paesi in via di sviluppo alla ricerca della forza attraverso l'unità e la cooperazione dal mutuo vantaggio».
Da parte sua, il capo di Stato Indonesiano ha sottolineato che le due nazioni asiatiche sono partner strategici a tutto campo con l'importante obiettivo di costruire insieme una comunità dal futuro condiviso, espressione coniata negli anni scorsi dallo stesso Xi Jinping per spiegare le implicazioni del concetto di Sogno Cinese sullo scacchiere internazionale. La cooperazione bilaterale è reciprocamente vantaggiosa, secondo quanto precisato da Widodo, non solo a beneficio dei due popoli ma anche della pace e dello sviluppo nella regione ed oltre.
Cosa c'è in ballo? Ovviamente spiccano la partecipazione dell'Indonesia all'iniziativa Belt and Road, lanciata nel 2013 da Pechino per ricostruire in chiave moderna le direttrici terrestri e marittime dell'antica Via della Seta, e l'ambizioso piano, in corso di realizzazione, per la costruzione di una nuova capitale a Nusantara, nella provincia del Kalimantan Orientale, in pieno Borneo, che prenderà il posto della sovrappopolata Jakarta, la cui porzione settentrionale è sempre più minacciata da una critica idrografia, aggravata dai cambiamenti climatici.
A stretto giro segue l'accelerazione del completamento della linea ferroviaria ad alta velocità Jakarta-Bandung, su cui una joint-venture sino-indonesiana sta lavorando dal 2016, quando il progetto presentato da China Railway ebbe la meglio su una precedente proposta giapponese, che prevedeva l'estensione di una linea di tipo Shinkansen lungo l'intera Isola di Java, sino a Surabaya. Chiudono l'agenda dei grandi progetti condivisi sino-indonesiani, il Corridoio Economico Globale Regionale (RCEC) e il recente Due Paesi, Parchi Gemelli, uno schema di facilitazione degli investimenti in diverse aree industriali dei rispettivi Paesi, lanciato quasi contemporaneamente dal governo cinese anche con la Malesia.
Se con Jakarta le cose vanno sostanzialmente bene, grazie anche al ruolo-ponte svolto dalla folta comunità di oriundi presente nel Paese del Sud-est asiatico, col vicino indiano Pechino deve ancora sciogliere alcuni nodi irrisolti. Gli scontri al confine cominciati nel maggio del 2020 lungo le aree di confine della Valle del Fiume Galwan, tra il Ladakh e l'Aksai Chin, hanno riacceso vecchie dispute territoriali riportando il gelo nelle relazioni bilaterali. Nel novembre successivo, Nuova Delhi aveva addirittura deciso di abbandonare - adducendo preoccupazioni di carattere commerciale - il percorso di adesione al Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP), l'area di libero scambio entrata poi in vigore il primo gennaio di quest'anno, dopo la ratifica da parte dei quindici membri: Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda e i dieci Paesi dell'ASEAN.
Messe alle spalle la recrudescenza pandemica e le incertezze economiche dei mesi scorsi, Xi sembra poter tornare ad occuparsi in prima persona sulla politica estera. Dopo l'ultimo proficuo vertice generale dei BRICS in videoconferenza a fine giugno e l'incontro del 7 scorso luglio tra i ministri degli Esteri dei due Paesi, Wang Yi e Subrahmanyam Jaishankar, a margine del vertice ministeriale del G20, ieri il presidente cinese ha inviato un messaggio di congratulazioni alla neo-eletta omologa indiana Droupadi Murmu sottolineando che «un rapporto salutare e stabile tra Cina ed India è in linea con gli interessi fondamentali dei due Paesi e dei loro popoli, oltre che propizio per la pace, la stabilità e lo sviluppo nella regione e in tutto il mondo».
Se le tensioni del 2020 avevano contribuito ad avvicinare il governo del primo ministro Narendra Modi agli Stati Uniti, rafforzando il ruolo del QSD (o Quad), la piattaforma militare quadrilaterale con Giappone e Australia, la forte reazione occidentale all'operazione del Cremlino in Ucraina ha spiazzato [e riavvicinato tra loro] numerosi Paesi asiatici che, pur non avallando né sostenendo la decisione di Vladimir Putin, si sono rifiutati di adottare sanzioni contro la Russia. Tra questi, storici partner di Mosca: non solo l'India ma anche il Vietnam, con cui la Cina sta lavorando per risolvere le dispute negli arcipelaghi contesi (Xisha e Nansha) del Mar Cinese Meridionale.
In una fase in cui Washington cerca di innalzare la tensione in Asia Orientale, con decisioni avventate, come quella di inviare Nancy Pelosi in visita a Taiwan, rilanciare la diplomazia e la cooperazione regionale sembra la risposta più logica per Pechino.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia