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Se Obama vuole accerchiare la Cina

(ASI) Le elezioni presidenziali statunitensi sono sempre più vicine ed Obama che aveva promesso un mondo migliore si sta rivelando il più disastroso presidente americano dai tempi di Carter.

 

Nonostante ciò però si ostina a voler continuare ad occupare la Casa Bianca ed ora lui, premio Nobel per la pace, sulla fiducia, nel 2009, ha deciso di fare come la tradizione insegna e mostrare i muscoli ai suoi elettori ed al resto del mondo.

Obiettivo, più o meno dichiarato, la Cina che non solo è una potenza in piena regola ma soprattutto detiene il debito pubblico a stelle e strisce e potrebbe assestare il colpo decisivo alla sempre più fragile economia statunitense in qualsiasi momento.

Proprio in quest’ottica va inquadrato il “discorso di Canberra” pronunciato al Parlamento australiano va inquadrato in questa ottica visto il rinnovato interesse statunitense nell’area del pacifico, che sembra preannunciare

In un aerea particolarmente ricca di isole il dominio navale statunitense è ovviamente di fondamentale importanza che dal 1945 si andata sempre rafforzando ovviamente in chiave anti comunista prima e anti cinese oggi di cui oggi fanno parte a pieno titolo vari paesi dell’area tra cui Giappone, Corea del sud, Australia e Nuova Zelanda.

Dopo che però il doppio mandato dell’amministrazione Bush ha riposizionato parte delle truppe in medio e vicino oriente ora a Obama è sembrato il momento giusto di tornare a fare la voce grossa in estremo oriente; da questo punto di vista il 16 novembre scorso il peggior presidente della storia statunitense è stato quanto mai esplicito nell’affermare che “come nazione Pacifica gli Stati Uniti intendono avere un ruolo maggiore, di lungo periodo nel presente e nel futuro della regione e la nostra missione e presenza in Asia è una priorità”.

Non a caso subito dopo il mondo ha saputo del dispiegamento di altri 250 marines nel nord dell’Australia, che a breve diventeranno dieci volte tanti, e di una stretta collaborazione tra l’aeronautica statunitense e quella australiana.

Appare opportuno far notare che con questa mossa Washington termina un’accerchiamento politico-militare che parte dal Giappone, passa per la Corea del Sud, Taiwan, e oggi giunge fino in Australia, articolata in una lunga catena di basi. Gli Stati Uniti hanno un chiaro interesse nell’area perché, come ha evidenziato lo stesso Obama, l’Asia pacifica rappresenta una delle aree del mondo in maggiore sviluppo come economia e come popolazione, senza contare il crescente peso delle nuove potenze regionali e, aggiungiamo noi, non può certo essere lasciata nelle mani di Pechino.

Ancora una volta quindi i gendarmi planetari con la scusa di garantire la pace mondiale mostrano i muscoli e si preparano a scatenare nuove guerre di conquista, anche quando alla Casa Bianca c’è un uomo che ha vinto il Nobel per la Pace, senza peraltro aver fatto nulla prima per guadagnarselo e soprattutto senza aver fatto assolutamente nulla dopo per giudicare un simile asservimento dell’opinione pubblica mondiale.

 
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