(ASI) L'indice PMI manifatturiero cinese torna a crescere e riporta un po' di fiducia sui mercati internazionali. Nel giorno in cui il governo dà il via libera alla nuova legge sulla sicurezza di Hong Kong, in vigore nel territorio autonomo a partire dalla mezzanotte del primo luglio, è questa l'altra notizia importante sul fronte della ripresa e della stabilizzazione post-Covid. Dopo aver raggiunto i 50,6 punti a maggio, infatti, l'indice del gigante asiatico sale a quota 50,9, confermando il trend positivo degli ultimi due mesi, al di sopra della soglia dei 50 punti, ritenuta decisiva dagli esperti per stabilire se un'economia è in fase recessiva o espansiva. Ad aprile, infatti, l'indice PMI era sceso a 50,8 punti rispetto ai 52 di marzo.
A febbraio, sotto i colpi dell'epidemia e del blocco delle attività, non solo nella provincia dello Hubei, il valore dell'indice manifatturiero era letteralmente crollato, toccando quota 35,7, ovvero 14,3 punti in meno rispetto a gennaio. Qualcosa di analogo è successo, più tardi, anche in Italia, dove il tonfo provocato dal prolungato lockdown, imposto dal governo in tutto il territorio nazionale, è stato pesantissimo: dai 48,7 punti di febbraio ai 40,3 di marzo, sino al crollo-record di aprile (31,1 punti), per poi assestarsi a quota 45,4 nel mese di maggio.
Al momento, in Cina, due terzi dei sottoindici presi in considerazione [14 su 21, cioè cinque in più del mese scorso, nda] fanno segnare una performance al di sopra dei 50 punti, stando a quanto rilevato da Zhao Qinghe del Dipartimento Nazionale di Statistica. Nel dettaglio, l'indice della produzione è salito a 53,9 punti (+0,7%) mentre quello relativo ai nuovi ordini a 51,4 (+0,5%), in crescita per il secondo mese consecutivo. In ripresa, sebbene molto più lentamente, anche i nuovi ordini dall'estero, che crescono del 7,3%, raggiungendo quota 42,6 punti, ancora piuttosto distanti dai livelli pre-Covid.
Per quanto riguarda il settore non manifatturiero - cioè quello più direttamente esposto alle restrizioni alla mobilità imposte durante l'emergenza Covid-19 - l'indice relativo in Cina sale dai 53,6 punti di maggio ai 54,4 di giugno. Il trend sembra dimostrare l'efficacia delle imponenti misure di sorveglianza messe in campo dal governo centrale per conciliare la salvaguardia della salute pubblica con le esigenze del commercio e del turismo, fortemente penalizzati un po' in tutto il Paese tra gennaio e marzo.
Gli ultimi dati, dunque, confermano quanto sostenuto da diversi analisti internazionali nelle ultime settimane in merito alla capacità della Cina di far ripartire al più presto la sua economia e rilanciare il suo ruolo internazionale dopo lo scoppio di questa pandemia particolarmente invasiva. Come riporta oggi il China Daily, molti esperti in tutto il mondo sono convinti della resilienza dell'economia cinese e della sua capacità di riprendersi in tempi relativamente rapidi. Takashi Kodama, direttore del Dipartimento di Ricerca Economica presso il giapponese Daiwa Institute of Research Group (DIR), ritiene che la Cina «abbia compiuto notevoli passi in avanti nella sua ripresa» e che abbia «assunto provvedimenti per stabilizzare il commercio e gli investimenti esteri, iniettando rinnovata fiducia nella globalizzazione».
A fargli eco è il connazionale Toshinori Doi, direttore dell'Ufficio di Ricerca Macroeconomica presso l'ASEAN+3, la piattaforma intergovernativa che racchiude Cina, Giappone, Corea del Sud e i dieci Paesi membri dell'ASEAN. Secondo Doi, Pechino «guiderà una graduale ripresa ad U dell'economia regionale che aiuterà ad agganciare la produzione e la fiducia anche nei Paesi vicini». Ramon Tamames, membro dell'Accademia Reale di Scienze Morali e Politiche di Spagna, ritiene che «la Cina compirà uno sforzo enorme per riprendersi e per cercare di impedire al 2020 di chiudersi con una crescita negativa». Ad elogiare in particolare l'efficacia delle «forti misure» anticrisi assunte da Pechino è Gu Qingyang, professore associato della prestigiosa Scuola di Politica "Lee Kuan Yew" presso l'Università Nazionale di Singapore. Secondo Gu, la Cina «ha garantito stabilità e sicurezza alla normale operatività nel quadro delle catene industriali e logistiche».
Anche in patria emergono giudizi sostanzialmente positivi, come quello di Tang Jiangwei, capo-ricercatore presso il Centro di Ricerca Finanziaria di Bank of Communications (Shanghai). «Considerando che la produzione industriale a valore aggiunto era in crescita a maggio e che l'indice di produzione dei servizi è positivo, ci si attende che la crescita economica cinese rimbalzi nel secondo trimestre con un dato modesto», ha detto Tang.
Si spinge in prospettiva, invece, l'analisi di Wei Jianguo, vicepresidente del Centro Cinese per gli Scambi Economici Internazionali, con sede a Pechino: «Dopo l'epidemia di nuovo coronavirus, la Cina offrirà politiche più favorevoli per attrarre nuovi investimenti esteri nonché per cercare di mantenere il suo attuale stock di investimenti esteri e definire nuovi punti di crescita in ambiti quali il 5G, l'altissima tensione elettrica e l'Internet of Things (IOT). Trainata da questi fattori, l'economia cinese continuerà a crescere nei decenni a venire e la Cina diventerà il più grande mercato di consumo al mondo. Ne siamo pienamente convinti e sempre più aziende dall'Europa, dal Nord America, dal Giappone e dalla Corea del Sud continueranno a valorizzare questo mercato estremamente dinamico».
Yu Yongding, membro del consiglio globale dell'Accademia Cinese di Scienze Sociali, spiega l'approccio della dirigenza cinese di fronte alla crisi provocata dall'emergenza Covid-19: «La loro priorità è arginare la pandemia, a qualsiasi costo. Dal momento che i mercati non possono funzionare pienamente nelle fasi di emergenza, lo Stato deve giocare un ruolo decisivo. Fortunatamente, la macchina amministrativa cinese sta funzionando efficacemente. Il governo ha anche individuato modalità di aiuto alle aziende per superare la crisi, concentrandosi in particolare sulle piccole e medie imprese. Ha tagliato le tasse, ridotto gli oneri ed erogato generose compensazioni alle imprese più colpite. Inoltre, i decisori hanno fatto ricorso a misure favorevoli al mercato per orientare l'allocazione di risorse finanziarie, allentando i regolamenti dove possibile».
Per quanto riguarda l'iniziativa Belt and Road (BRI), indubbiamente colpita dalla paralisi delle catene di approvvigionamento e dal momentaneo blocco di molti cantieri all'estero, uno studio congiunto di Baker & McKenzie e Silk Road Associates, pubblicato lo scorso 4 maggio dal Forum Economico Mondiale, ritiene che la qualità dell'attività legata alla BRI «dovrebbe continuare a migliorare nel lungo periodo» sulla base di tre elementi fondamentali, già presenti nelle intenzioni della leadership cinese ma apparsi più nitidamente durante la pandemia: un maggior coinvolgimento del settore privato, una collaborazione internazionale più incisiva [anche rispetto alla già contemplata cooperazione nei cosiddetti Paesi terzi, nda] e la digitalizzazione.
«Per aziende hi-tech cinesi come Alibaba con la sua piattaforma DingTalk, Tencent con WeChat Work e Huawei con WeLink sarà naturale cercare quote di mercato fuori dalla Cina, soprattutto nei Paesi coinvolti dalla BRI», sostengono gli autori dello studio, che aggiungono: «Anche il settore tecno-medicale cinese può trovare allo stesso modo opportunità all'estero. Negli ultimi mesi, le piattaforme digitali di consultazione medica (Alibaba Health, Ping An Good Doctor) hanno visto le richieste salire alle stelle. Se gestite da personale locale, tecnologie analoghe potrebbero essere introdotte con successo fuori dal Paese, considerando le carenze nel settore sanitario di molti Paesi coinvolti dalla BRI».
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia