(ASI) All'ultimo vertice generale dei BRICS della scorsa settimana, è stato lanciato un segnale piuttosto chiaro alla comunità internazionale. Mentre il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, volato a Washington, cercava di strappare a Donald Trump la promessa di un ripensamento sui dazi e di un impegno, almeno ufficioso, ad avviare i negoziati per l'azzeramento delle barriere doganali tra le due sponde dell'Atlantico settentrionale, a Johannesburg, i leader di Cina, Russia, Brasile, India e Sudafrica celebravano l'inizio della seconda Decade d'Oro delle economie emergenti, indicando per l'ennesima volta i rischi legati al protezionismo.
In una fase di massima tensione commerciale tra Pechino e Washington, il presidente Xi Jinping ha ribadito la necessità per l'economia mondiale di puntare dritto sulla facilitazione dei commerci e degli investimenti per evitare gli spettri di una nuova grande recessione. «La guerra commerciale è un'opzione da respingere, perché non avrà vincitori», ha detto Xi durante il suo discorso al Business Forum del BRICS lo scorso 25 luglio, aggiungendo che la ricerca dell'egemonia economica «è persino più riprovevole, dal momento che minaccia gli interessi collettivi della comunità internazionale».
L'idea che muove il pensiero di Xi Jinping, riscuotendo numerosi consensi anche tra i principali partner di Pechino, prende le mosse da quella che viene considerata la natura offensiva del protezionismo nordamericano, esteso ed amplificato da Donald Trump ma già praticato anche da Barack Obama. La prima economia mondiale, spaventata dall'ascesa delle economie emergenti, tenterebbe così di bloccarne le potenzialità attraverso dazi e sanzioni, in un quadro che sostanzialmente pare ricalcare lo schema della cosiddetta Trappola di Tucidide. Nel caso della guerra commerciale con la Cina, più che a rilanciare una manifattura interna già in crisi da oltre trent'anni, le misure di Trump appaiono infatti finalizzate ad impedire che la potenza asiatica possa sviluppare una capacità tecnologica pari o superiore a quella degli Stati Uniti, come ammesso anche dallo stesso Robert Lighthizer lo scorso giugno durante un'intervista al canale Fox Business.
Nella sua battaglia contro gli abusi e l'unilateralismo, tuttavia, Xi Jinping non è solo. Oltre agli intensi rapporti con l'UE, sia quella "ufficiale" di Berlino e Parigi che quella "alternativa" di Visegrád, il presidente cinese può ben ritenersi il capofila di una serie di economie emergenti, grandi e piccole, che rivendicano una loro voce in capitolo, reclamando una riforma profonda del sistema multilaterale del commercio e, più estesamente, della governance economica globale. A cominciare dalla Russia che, al di là del corposo commercio bilaterale, è prima di tutto il più importante partner politico della Cina.
Proprio l'intransigenza dell'amministrazione statunitense sulla riconferma delle sanzioni contro Mosca ha probabilmente permesso a Trump di indebolire le principali accuse dei suoi detrattori interni in merito al presunto Russiagate, ma di fatto è andata proprio nella direzione che volevano i "falchi", sia repubblicani che democratici, del Congresso, impedendo agli alleati europei di riaprire i canali commerciali interrotti quattro anni fa, a cominciare proprio dall'Italia, dove pure il nuovo governo Lega-M5S si era detto determinato ad imprimere una svolta nei rapporti con Vladimir Putin.
Insomma, gli Stati Uniti sono ormai usciti definitivamente allo scoperto e mostrano il loro volto di leone ferito rabbioso e riottoso di fronte alla possibilità, sempre più concreta, che il loro primato mondiale sia messo in forte discussione. Il prezzo da pagare per le tensioni politiche e/o tecnologiche sarà, ancora una volta, molto alto, in attesa di un ipotizzato vertice con l'Iran, dove l'imprevedibilità "diplomatica" di Trump ed il suo incondizionato supporto a Israele potrebbero creare ulteriori problemi. I venti di guerra commerciale non lasciano sperare niente di buono ed in questo confuso clima generale, il vertice dei BRICS ha fornito spunti interessanti per cercare di ridefinire una policy globale che possa contribuire a riportare ordine.
A Johannesburg, Xi Jinping ha ribadito la necessità di mantenere la stabilità, precisando che l'odierno schema internazionale «ovviamente non è perfetto» ma che «fintanto che è fondato sulle regole, e mantiene lo scopo di essere equo e di perseguire vantaggi reciproci, non deve essere buttato via a piacimento, e tanto meno deve essere smantellato e ricostruito da zero».
In secondo luogo, il presidente cinese ha rimarcato il fatto che la Cina «continuerà a svilupparsi garantendo un'ampia apertura» del mercato interno, «costruirà un ambiente più favorevole agli investimenti» e «perseguirà con vigore l'iniziativa Belt and Road per creare nuove opportunità di sviluppo economico e sociale», in linea con l'Agenda ONU al 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. In particolare, il leader asiatico ha nuovamente rivolto a tutti l'invito a partecipare al prossimo China International Import Expo, previsto a Shanghai nel mese di novembre, una «nuova piattaforma a disposizione di tutto il pianeta per entrare nel mercato cinese», a cui già più di 130 tra Paesi e territori ed oltre 2.800 aziende hanno confermato la propria adesione.
Infine, sul tema della cooperazione Sud-Sud, Xi Jinping ha sottolineato il decisivo ruolo di Pechino nella crescita dell'Africa, ricordando il prossimo vertice di settembre del Forum per la Cooperazione Cina-Africa (FOCAC), un organismo creato nel 2000 per coordinare gli investimenti, il commercio e l'interscambio a tutti i livelli tra il Paese asiatico e il Continente nero, secondo un modello cui l'Unione Europea potrebbe e dovrebbe guardare per risolvere alla radice la crisi migratoria ancora in atto.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia