(ASI) Mosca- Nessuno pensa che la «lista civica» di Ksenia Sobchak o l’estromesso da tutto Alexeij Navalnij possano impensierire Vladimir Putin alla fine delle prossime elezioni presidenziali in Russia, nello stesso anno in cui il Paese ospiterà i Mondiali di calcio. Il presidente è pronto per un altro mandato di sei anni e teme molto di più l’astensionismo, quello che portò nel 2016 alle urne meno del 50% dei russi in occasione delle elezioni parlamentari.
Sono delle elezioni scontate in un Paese noto ai più come un regime autoritario elettorale o meglio come una democrazia illiberale. Il 18 marzo l’incognita non sarà certo l’esito delle urne, quanto tutto quello che verrà dopo. «Putin è forte grazie a un consenso schiacciante», ha detto la giornalista russa Anna Zafesova all’istituto Ispi di Milano, «ma questo va piano piano erodendosi in una società che non riesce spiccare il volo, dove pochi oligarchi petrolieri si arricchiscono finanziando direttamente il mercato delle armi e delle testate nucleari. Basti pensare che tutto il comizio elettorale del presidente si è ridotto al mostrare i video di un missile capace di superare le difese americane, neanche fosse un leader sovietico durante la guerra fredda».
Invece dal 2014, con l’annessione della Crimea e il conflitto con l’Ucraina, la Russia ha perso terreno in Europa e la fiducia dell’Occidente, spostando di conseguenza i propri interessi geopolitici verso la Siria dell’alleato Bashar al-Assad e l’Iran di Hassan Rouhani. Le sanzioni condizionano la ripresa economica di un Paese ancora troppo dipendente dall’esportazione di gas e petrolio. La Russia è in recessione anche a causa del crollo dei prezzi degli idrocarburi. I soldi in entrata non si riconvertono in investimenti per il Paese ma in un consolidamento degli apparati militari e delle testate nucleari. Putin sa che tutto questo è necessario per mantenere la Russia come Paese unito ed egemone, ma deve iniziare a trovare qualche soluzione per avviare un lungo programma di riforme, prendendo in considerazione anche l’ipotesi di una transizione politica.
La stabilità è stata sempre la priorità, ma per mantenerla è ora necessario fare di più, soprattutto nell’ambito economico e di ristrutturazione del Paese. Il mercato russo è ancora oggi troppo dipendente da prodotti esteri quali settori come automobili, farmaceutica, informatica, alimentari.
Esistono zone speciali e contratti specifici per diversificare investimenti ed entrate, ma Mosca e San Pietroburgo sono ancora troppo diverse dal resto delle Paese, dove l’incremento della povertà vede il 13% della popolazione sotto il livello di sussistenza. Per il nuovo mandato Putin mira a politiche di local content come modello di sviluppo in grado di attrarre investimenti esteri, per liberarsi gradualmente dal sistema delle grandi fabbriche, ancora di matrice sovietica. Le campagne e l’area asiatica restano dimenticate, anche se Putin prova a riallacciare i contatti con quanti più Paesi possibili per fini commerciali. Non può transigere sul confine ucraino o nell’area del Caucaso, ma non può più permettersi di accettare una condizione di isolamento. Non a caso nel 2009 è iniziata una sperimentazione che potesse creare, entro il 2015, 3,8 milioni di piccole e medie imprese.
Così, se Putin rinuncerà a qualsiasi delfino, come fu il caso di Dimitrij Medvedev, sicuramente la diversificazione economica resta la priorità, anche se questa nella propaganda putiniana non paga quanto il missile più potente del mondo.
Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia