Pyeongchang. La mano di Pechino dietro il riavvicinamento tra le due Coree?
136423387 14993839689301n(ASI) Negli ultimi giorni, i riflettori della stampa internazionale sono rimasti a lungo puntati su Kim Yo-jong, sorella del leader nordcoreano Kim Jong-un, designata a capo della delegazione che ha accompagnato la squadra olimpica di P'yŏngyang nella città sudcoreana di Pyeongchang, sede dei Giochi Invernali 2018. L'aspetto grazioso e rassicurante di Kim Yo-jong, unito ad uno sguardo sereno e pulito, ha colpito la stampa generalista occidentale, non certo nuova ad un stile cronistico trainato dalle narrazioni personali prima ancora che dai fatti generali. La sorella del temuto capo di governo, per mesi protagonista di un'allarmante crisi diplomatica con gli Stati Uniti di Donald Trump, ha così saputo fornire al mondo un'immagine del suo Paese in controtendenza rispetto all'approccio comunicativo scelto dalla macchina dell'informazione rivolta all'estero, non di rado intenta a rispondere con toni forti e bellicosi ad ogni esternazione statunitense o giapponese.
Al di là del significato sportivo della partecipazione di alcuni atleti del Nord in queste Olimpiadi Invernali in corso di svolgimento nel Sud, l'incontro tra Kim Yo-jong e il presidente sudcoreano Moon Jae-in ha fotografato un momento storico dal punto di vista politico. Ad undici anni dall'ultimo vertice intercoreano fra le leadership dei due Stati e ad oltre due anni dall'ultimo vertice di negoziazione, la giovane funzionaria nordcoreana è stata il primo rappresentante dell'ermetico Stato asiatico a visitare il vicino meridionale dall'inizio dell'ultima crisi. Kim ha inoltre invitato ufficialmente il presidente sudcoreano a P'yŏngyang per un incontro che, qualora si verificasse, costituirebbe un evento di portata storica, andando a recuperare il filo del dialogo interrotto dopo l'ultima visita di Roh Moo-hyun in Corea del Nord nel 2007.
 
Il ruolo della Cina nella diplomazia intercoreana
Assieme alla Russia, la Cina è senza dubbio l'unico Paese a mantenere una certa influenza politica sulla Corea del Nord. Per ragioni storiche, legate al sostegno garantito all'Armata Popolare di Kim Il-sung durante la Guerra di Corea del 1950-'53, dove uno dei fratelli di Mao Zedong perse la vita, ma anche per ragioni strategiche, nella misura in cui la presenza del piccolo Stato "nazional-comunista" costituisce un'importante zona cuscinetto che impedisce alle truppe statunitensi stanziate in Corea del Sud di avvicinarsi ai confini terrestri cinesi.
Sul piano diplomatico, nel secondo Novecento la Corea del Nord, a differenza del Vietnam e della Cambogia, ha sempre praticato una dottrina di politica estera mirata a mantenere l'equidistanza all'interno del blocco continentale comunista, non schierandosi mai apertamente nel corso della crisi sino-sovietica, ma cercando di preservare buoni rapporti sia con Mosca che con Pechino, una posizione perpetuata, malgrado il crollo dell'URSS, anche rispetto alla Federazione Russia di Vladimir Putin. Sul piano politico, dopo l'introduzione delle politiche di riforma ed apertura in Cina da parte di Deng Xiaoping, Pechino e P'yŏngyang hanno invece intrapreso strade nettamente diverse. La Cina ha fatto dell'economia di mercato un fattore di sviluppo via via sempre più centrale, con i risultati che oggi conosciamo, mentre la Corea del Nord ha mantenuto un assetto fortemente statalista, creando piccole e limitate zone ad economia speciale soltanto a partire dalla metà degli anni Novanta, come l'area della città speciale di Rasŏn, confinante sia con il Territorio russo di Primorskj che con la Provincia cinese del Jilin; l'area di Sinŭiju, nella Provincia del P'yŏngan Settentrionale, confinante, attraverso il Fiume Yalu, con la città cinese di Dandong, nella Provincia del Liaoning; o la stessa area speciale di Kaesŏng, una regione industriale creata nel 2002 da una porzione della Provincia dello Hwanghae Settentrionale, al confine con la Corea del Sud.
Si tratta di territori ad amministrazione speciale, creati ad hoc a ridosso dei confini nazionali per incrementare gli scambi commerciali e la cooperazione industriale con i vicini. Per ovvie ragioni geografiche, è Pechino a giocare un ruolo fondamentale nel lavoro, tutt'altro che semplice, di coinvolgimento della Corea del Nord nelle dinamiche economiche e diplomatiche della comunità internazionale, ma anche Seoul ha in mano grandi responsabilità. La regione industriale di Kaesŏng è, in questo senso, uno vero e proprio banco di prova su cui, da quasi sedici anni, i due Paesi divisi dal 38° parallelo si confrontano, cercando di fare dell'economia un traino per la pace e il dialogo. Quest'area segnala, come un termometro, tutti gli stati febbrili nei rapporti tra le due Coree. Quando periodicamente riemergono tensioni e scontri fra i due Paesi, le fabbriche chiudono, costringendo ingegneri, tecnici ed operai a tornarsene a casa e a temere il peggio.
Sia il Nord che il Sud hanno tuttavia nella Cina, seconda economia mondiale e membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un interlocutore influente e capace di far valere la sua forza diplomatica ad alti livelli. Il peso economico-commerciale del Paese di Mezzo nella regione Asia-Pacifico è ormai una realtà indiscutibile che si ripercuote giocoforza nella tela delle alleanze e delle relazioni commerciali, al punto che persino Donald Trump ha dovuto arrendersi all'evidenza, preferendo il ritiro dal Partenariato Trans-Pacifico (TPP) alla prosecuzione dello "scontro di nervi" cominciato da Barack Obama e Hillary Clinton con la strategia del Pivot to Asia e conclusosi con le inutili e azzardate incursioni militari americane nelle acque contese del Mar Cinese Meridionale.
Nel corso degli ultimi anni, il vertice ASEAN+3 tra Cina, Giappone, Corea del Sud e i dieci Paesi membri del Sud-est asiatico, ha rappresentato un terreno di confronto molto importante per discutere e confrontarsi a proposito degli equilibri politici, economici e militari della regione Asia-Pacifico, tanto che la Corea del Nord, malgrado alcune voci dissonanti, è tutt'ora membro del Forum Regionale dell'ASEAN. Grazie ai suoi canali diplomatici con la Corea del Nord, di fatto quello di Pechino è l'unico governo a poter svolgere un ruolo di mediazione capace di muoversi su un doppio binario: da un lato, adottando misure restrittive anche forti, come l'applicazione dei blocchi commerciali imposti alla Corea del Nord dal Consiglio di Sicurezza l'estate scorsa; dall'altro, portando avanti il confronto e la paziente tela del dialogo. Del resto, Xi Jinping, il primo ministro Li Keqiang e il ministro degli Esteri Wang Yi erano stati chiari sin dall'inizio dell'ultima crisi, richiamando con fermezza alla calma sia Kim Jong-un che Donald Trump: nessuna escalation militare nella regione, nessuna proliferazione nucleare nella Penisola Coreana e nessuna crisi umanitaria. E così, fin'ora, è stato.
 
Moon Jae-in: l'uomo della pace chiede aiuto a Pechino
Il presidente Moon Jae-in, eletto alla guida della Corea del Sud nel maggio dell'anno scorso, dopo il semestre ad interim di Hwang Kyo-ahn, nominato in seguito allo scandalo che aveva colpito l'ex presidentessa Park Geun-hye nel 2016, potrebbe essere l'uomo giusto al momento giusto. Figlio di due rifugiati nei territori meridionali della Penisola Coreana durante la grande evacuazione della città settentrionale di Hŭngnam nel Natale del 1950, Moon è nato nella città sudcoreana di Geoje ma ha forti legami culturali e sentimentali con la città di origine della sua famiglia, oggi inclusa nella provincia nordcoreana dello Hamgyŏng Meridionale. Membro del Partito Democratico Unito di Corea, Moon è da sempre sostenitore della Sunshine Policy, la dottrina di riconciliazione e cooperazione con il Nord, introdotta dall'ex presidente e premio Nobel per la pace Kim Dae-jung alla fine degli anni Novanta e culminata nello storico vertice intercoreano del giugno 2000 a P'yŏngyang con Kim Jong-il, defunto padre dell'attuale leader Kim Jong-un.
La visita ufficiale di Moon in Cina dello scorso dicembre ha senz'altro sortito i suoi primi effetti, cominciando anche ad appianare i contrasti sorti in seguito alla decisione di Seoul del settembre scorso di completare il dispiegamento del sistema antimissilistico americano THAAD in territorio sudcoreano, rimasto in sospeso per diversi anni, sino all'ultima crisi nucleare nella Penisola. La Cina, che assieme alla Russia aveva sempre osteggiato questa decisione, ritenendola pericolosa per la sicurezza degli equilibri militari nell'intera regione Asia-Pacifico, non aveva accettato il dispiegamento, dapprima imponendo restrizioni ai flussi turistici verso la Corea del Sud, poi attenuate e in buona parte rimosse a partire dallo scorso autunno.
In occasione del colloquio avuto lo scorso 8 febbraio con Han Zheng, membro del Comitato Permamente dell'Ufficio Politico del Partito Comunista Cinese, designato alla guida della delegazione ufficiale cinese alle Olimpiadi Invernali di Pyeongchang, il presidente sudcoreano Moon Jae-in ha chiesto il sostegno della Cina nell'opera di riconciliazione non solo tra le due Coree ma anche tra la stessa Corea del Nord e gli Stati Uniti. Secondo quanto comunicato dal portavoce della Casa Blu [residenza presidenziale di Seoul, nda] Kim Eui-kyeom, il presidente Moon ha affermato che Seoul e P'yŏngyang devono trovare un punto di convergenza tra i rispettivi interessi, sottolineando la necessità di continuare a cooperare anche dopo la fine dei Giochi Invernali. Moon, in pratica, ha chiesto espressamente a Pechino di fare il possibile per fare in modo che il dialogo inter-coreano conduca a nuovi colloqui tra Washington e P'yŏngyang.
 
 
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

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