(ASI) Siria - Il 17 ottobre la caduta di Raqqa, città al nord della Siria considerata capitale del sedicente Stato Islamico, è stata associata alla sconfitta dell’Isis.
Le truppe delle forze democratiche siriane, alleate degli Stati Uniti, hanno piantato la propria bandiera gialla e hanno spinto i miliziani nella città orientale di Boukamal, al confine con l’Iraq, una delle ultime città che raccoglie terroristi locali e foreign fighters. Assediata dall’esercito di Damasco, alleato di Russia e Iran, potrebbe essere la prossima roccaforte a essere espugnata.
Sconfitto il nemico comune si apre ora una parentesi di dilemmi e nodi da sciogliere, soprattutto fra le due coalizioni che intendono spartirsi i territori che battevano fino a qualche giorno fa le bandiere nere di Daesh. Un esempio su tutti, proprio quando i combattimenti in Iraq fra esercito di Baghdad e forze armate curde minacciano la produzione di greggio, è rappresentato dal giacimento petrolifero di Al Omar, il più grande della Siria orientale, nella provincia di Dayr Az Zor. I Curdi hanno anticipato l’esercito di Damasco e si sono appropriati della produzione. Per prevenire nuovi scontri, Stati Uniti e Russia hanno intensificato la frequenza dei loro contatti. «Evitare vittime e inutili spargimenti di sangue è il nostro primo obiettivo», ha detto il portavoce della coalizione occidentale Ryan Dillon.
Ma la fine di un collante come la lotta all’Isis può aprire ulteriori contrasti. La Casa Bianca deve scegliere che tipo di regime instaurare nel nord della Siria, in una realtà frastagliata per la presenza di Curdi, Sunniti e Alauiti. La Turchia non vuole saperne di un Kurdistan semi-riconosciuto. Israele non accetterebbe una zona di influenza controllata dagli Sciiti iraniani e dagli Hezbollah libanesi. La Russia vuole preservare l’unità territoriale siriana. Stabilizzare la regione e accontentare tutti equivale a un autentico rompicapo geopolitico. «È Dresda dopo la fine della seconda guerra mondiale», ha scritto Alberto Negri sul Sole 24 ore.
Nei territori urbani la sconfitta dell’Isis sarà anche definitiva, ma nelle campagne ci sono ancora tanti miliziani asserragliati. Quelli fuggiti potrebbero ora spostarsi in Libia, oppure in Sinai e Yemen, dove i jihadisti insieme ad Al Qaeda combattono gli sciiti Houthi, in un conflitto che coinvolge anche i sauditi.
Purtroppo la fuga dei combattenti rischia di generare altri problemi, oltre le frizioni tra le forze in campo. Le insanabili divergenze di opinione sulla configurazione di una nuova realtà territoriale, dove i confini fra Siria e Iraq non sono più definiti dopo anni di conflitto, si accompagnano a nuove crisi umanitarie. Questa frontiera non è l’unica condizionata dalla caduta di Raqqa: a un chilometro dai territori giordani almeno 3mila famiglie, in fuga dai combattimenti, si sono raccolti nel campo profughi di Al Rukman. Le autorità di Amman non le lasciano avvicinare e tante di queste persone, soprattutto donne e bambini, sono a rischio malattie e malnutrizione. Raqqa è caduta, ma è ancora presto per celebrare una vittoria.
Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia