(ASI) Ancora proteste contro il presidente statunitense Donald Trump. A scendere in piazza questa volta sono stati gli ambientalisti che chiedono di non riprendere il progetto relativo all’oleodotto Keystone XL,prima ipotizzato e poi fermato dall’amministrazione democratica di Barack Obama e che ora Trump potrebbe rilanciare.
Ieri più di un migliaio di manifestanti si sono riuniti davanti alla Casa Bianca dopo che tra i primi provvedimenti del suo mandato Trump ha firmato proprio la ripresa dei lavori per la realizzazione di questa conduttura.
Alcuni media statunitensi hanno precisato che il progetto darà sì recuperato ma saranno comunque rinegoziati i termini dell’accordo. Nelle intenzioni della Casa Bianca la ripresa del progetto permetterebbe il rilancio dell’occupazione in Dakota del Nord, dove la compagnia Energy Transfer Partners spinge per completare i lavori di tubazione per circa 3,8 milioni di dollari che permetterebbero di trasferire il petrolio dal Dakota alle raffinerie dell’Illinois.
Dopo anni di annunci e proteste il Congresso aveva fermato questo progetto lo scorso dicembre dopo che gli ingegneri dell’esercito Usa avevano sconsigliato di far passare la tubatura sotto il fiume Missouri invitando le autorità a cercare un percorso alternativo. Nei mesi precedenti inoltre vi erano state numerose proteste da parte degli indiani della tribù Standing Rock Sioux.
Gli ambientalisti sostengono che il progetto determinerebbe la distruzione di terreni culturalmente significativi per i nativi americani e avrà impatti ambientali gravi, tra cui il potenziale inquinamento delle acque.
Nel novembre 2015 anche l’amministrazione Obama aveva criticato il progetto ipotizzando un impatto negativo sul cambiamento climatico, poiché avrebbe determinato emissioni molto alte di gas serra.
Vari gruppi ambientalisti intanto hanno annunciato che se Trump non tornerà sulla propria decisione organizzeranno una grande manifestazione a Washington il prossimo 29 aprile.
Il Keystine XL è un oleodotto che partendo dal Canada e attraversando tutto il territorio a stelle e strisce dovrebbe arrivare fino al Golfo del Messico. Il petrolio da sfruttare arriverebbe dalla regione canadese dell’Alberta, attualmente tra le trainanti dell’economica del paese dell’Acero che beneficia di una industria petrolifera in costante crescita, basata principalmente su petrolio ricavato da bitume impastato con sabbia e terreno.
Sotto accusa però proprio il meccanismo di raffinazione di questo petrolio che richiede enormi quantità d’acqua e rilascia emissioni di gas serra in quantità molto maggiori della produzione tradizionale di petrolio. Per sfruttare questa risorsa si ha bisogno di una procedura particolarmente invasiva per l’ambiente: oltre a inquinare, la trasformazione in petrolio delle sabbie oleose devasta il territorio circostante.
I difensori del progetto continuano a ripetere che questo garantirebbe molti posti di lavoro aumentando le entrate fiscali e arricchendo le riserve americane, ma i detrattori replicano ricordando i potenziali problemi legati alla sua costruzione ed al suo utilizzo. In particolare un recente studio realizzato dal Consiglio per la Difesa delle Risorse Naturali del governo americano dimostra che la produzione e raffinazione del petrolio attraverso l’utilizzo di sabbie bituminose produce molto più inquinamento del petrolio convenzionale. Applicando i risultati di questa ricerca al progetto Keystone si arriverebbe a produrre circa 1,2 miliardi di metri cubi di sostanze inquinanti; pressappoco quanto ne emette l’insieme di tutte le vetture circolanti negli Stati Uniti nel corso di dodici mesi.
Trattandosi di un progetto che interessa due Stati, gli Usa ed il Canada, l’ultima parola spetta al governo statunitense ed al presidente.
Fabrizio Di Ernesto - Agenzia Stampa Italia