(ASI) Dopo un 2012 caratterizzato dal riaccendersi delle dispute col Giappone per le Isole Diaoyu, con centinaia di migliaia di cinesi scesi in piazza per rivendicare i territori alienati nel 1895, il 2015 è stato l'anno dove più forti si sono fatte, invece, le tensioni sul Mar Cinese Meridionale con le Filippine. Il contenzioso si è ufficialmente aperto nel gennaio 2013, quando Manila avviò unilateralmente un arbitrato internazionale per la questione irrisolta nelle Isole Nansha (Spratly), categoricamente rifiutato dalla Cina sia per ragioni storiche che per ragioni giuridiche. 

A tenere banco più recentemente, invece, è stata la situazione nella Penisola Coreana. Dopo il (presunto) test atomico nordcoreano del 6 gennaio scorso, il 2016 si è aperto spostando l'asticella della tensione più a Nord, sul Mar Giallo. Stavolta neanche Cina e Russia, tradizionali interlocutori di Pyongyang, hanno potuto esimersi da una condanna senza riserve, tanto più che l'esplosione dell'ordigno ha provocato paura e danni anche oltre il confine cinese. Nel corso dell'ultimo mese, la Corea del Nord ha già testato nuovi missili, fallendo due lanci consecutivi prima il 16 poi il 28 aprile.

Pechino e Mosca unite contro i missili USA in Corea del Sud

Al di là dell'evidente arretramento diplomatico di Kim Yong-un rispetto alla strada di parziale apertura al dialogo intrapresa dal padre Kim Jong-il, l'atteggiamento di sfida di Pyongyang ha avuto lo scontato effetto di scatenare la reazione degli Stati Uniti, che hanno colto l'occasione per sostenere la necessità di dispiegare un nuovo sistema di difesa missilistico in Corea del Sud, analogo a quello già in funzione nella base militare statunitense stanziata sull'Isola di Guam.

A quest'ultima ipotesi si oppongono senza riserve Cina e Russia, intenzionate a scongiurare qualsiasi progetto in tal senso non solo e non tanto perché andrebbe a sbilanciare le forze in campo nella Penisola Coreana ma anche e soprattutto perché il sistema THAAD (Terminal High Altitude Area Defense) statunitense rischierebbe di andare ben oltre le semplici esigenze difensive sudcoreane. Lo scorso febbraio, dal Ministero della Difesa cinese avevano già fatto sapere di essere «molto preoccupati per il possibile dispiegamento del sistema di difesa missilistica THAAD notando che il raggio di copertura del sistema di difesa missilistica THAAD [...] va ben al di là delle esigenze difensive della Penisola Coreana e raggiunge l'entroterra dell'Asia», danneggiando così «non solo la sicurezza strategica della Cina ma anche la stabilità strategica globale».

Proprio ieri, a margine del quinto vertice dei ministri degli Esteri della CICA (Conference on Interaction and Confidence Building Measures in Asia), svoltosi a Pechino, il capo della diplomazia cinese Wang Yi ha incontrato l'omologo russo Sergej Lavrov per affrontare congiuntamente la questione. Wang ha sostenuto che «i Paesi coinvolti dovrebbero rispettare la posizione e le legittime preoccupazioni della Cina e della Russia». Entrambi hanno nuovamente convenuto che il sistema che gli Stati Uniti vorrebbero dispiegare andrebbe ben oltre la garanzia di sicurezza di Seoul e minaccerebbe direttamente la sicurezza strategica dei due Paesi.

Washington. Libertà di navigazione o volontà di ingerenza?

Più di Seoul, che con la presidentessa Park Geun-hye ha finora adottato un approccio più morbido e ponderato, è tuttavia Manila ad affidarsi in modo pressoché totale al sostegno politico e militare di Washington, cercando così di ottenere la sovranità su un presunto Mare Occidentale delle Filippine che non è mai esistito in alcuna carta geografica. Sul piano storico, infatti, la Cina si riserva il diritto di sovranità sull'80% circa delle acque del Mar Cinese Meridionale e su tutte le formazioni insulari naturali negli arcipelaghi contesi, alle quali si sono recentemente aggiunte altre formazioni artificiali minori con cui Pechino cerca di rafforzare la propria posizione politico-militare rispetto ai contendenti.

Malgrado i toponimi anglofoni e lusofoni siano ancora utilizzati in via esclusiva dalla stampa generalista, soprattutto occidentale, questi in realtà rimandano al periodo coloniale e gli arcipelaghi contesi avevano già da molto tempo prima una denominazione in lingua cinese. Nel Libro Bianco sulla Questione della Giurisdizione nel Mar Cinese Meridionale, pubblicato da Pechino il 7 dicembre 2014, si sostiene infatti che «le attività cinesi in queste acque risalgono a più di 2000 anni fa» e che «la Cina fu il primo Paese a scoprire, nominare, esplorare le isole del Mar Cinese Meridionale e a sfruttarne le risorse, ed il primo Stato ad esercitare una costante sovranità su di esse». Sul piano giuridico, la Cina si appella alla Dichiarazione sulla Condotta delle Parti nel Mar Cinese Meridionale, ratificata nel 2002 insieme ai Paesi dell'ASEAN, che, all'articolo 4, subordina la giurisdizione internazionale alle «consultazioni amichevoli» e ai «negoziati tra gli Stati sovrani direttamente coinvolti».

Lo scorso autunno, tra ottobre e novembre, prima due bombardieri strategici americani B-52 avevano sorvolato le Nansha, poi il cacciatorpediniere USS Allen aveva violato le acque territoriali cinesi, entrando nel raggio delle 12 miglia nautiche dalla Barriera di Zhubi. Di fronte alla furente reazione di Pechino, Washington si giustificò appellandosi al diritto di navigazione e di sorvolo garantito dalla Convenzione ONU sul Diritto del Mare. La Cina, però, aveva denunciato il carattere pretestuoso di una simile interpretazione sulla base del fatto che la stessa Convenzione stabilisce che si intendono libere tutte le manovre di navigazione a patto che non pregiudichino «la pace, il buon ordine o la sicurezza del Paese costiero». L'ingresso di una nave da guerra in acque territoriali straniere non può certo rientrare in questa fattispecie. Tuttavia, il Pentagono sta continuando ad inviare navi e mezzi aerei nei territori delle isole contese sotto il comando dell'ammiraglio Harry Harris Jr.

Lo scorso 28 aprile, il portavoce del Ministero della Difesa cinese, Wu Qian, ha definito ancora una volta «molto pericolose» le «cosiddette operazioni per la libertà di navigazione» condotte dagli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale. Secondo Wu, «la libertà di navigazione è stata strumentalizzata dagli Stati Uniti come pretesto per intervenire nelle dispute del Mar Cinese Meridionale», ma in realtà «tale libertà non è mai stata in discussione» ed è «già garantita». In sostanza, secondo il Ministero della Difesa di Pechino, le operazioni statunitensi sono semplici «provocazioni politiche e militari contro la Cina che potrebbero facilmente generare incidenti imprevisti».

Manovre difensive congiunte nel Sud-est asiatico

In uno scenario di tensione simile, si avvicina - ironia della sorte - la scadenza del nuovo ADMM-Plus, il Vertice dei Ministeri della Difesa dell'ASEAN allargato ad altri otto partner per il dialogo, tra cui proprio Cina e Stati Uniti. Dal 2 al 12 maggio, il cacciatorpediniere cinese Lanzhou si troverà faccia a faccia con altre imbarcazioni da guerra degli Stati Uniti e delle Filippine, nelle acque comprese tra Singapore e il Sultanato del Brunei, per affrontare una serie di esercitazioni navali ed anti-terrorismo congiunte assieme alle forze armate degli altri Paesi coinvolti.

Stando alla Carta dell'ADMM-Plus, adottata nel secondo vertice di Singapore del 2007, gli obiettivi principali del confronto restano vincolati alla massima cooperazione, nell'interesse primario dell'ASEAN:

1. Aiutare i Paesi del Sud-est asiatico ad acquisire la capacità di affrontare le sfide comuni in campo di sicurezza;

2. Promuovere la fiducia reciproca tra le strutture difensive attraverso il dialogo e la trasparenza;

3. Rafforzare la pace e la stabilità della regione attraverso la cooperazione nei settori della difesa e della sicurezza;

4. Contribuire alla realizzazione di una Comunità per la Sicurezza dell'ASEAN;

5. Facilitare l'attuazione del Programma di Azione di Vientiane finalizzato a creare un'ASEAN pacifica, sicura e prospera.

Le esercitazioni non coinvolgeranno le acque oggetto delle dispute regionali, ma di certo durante gli incontri di routine non mancheranno polemiche e accuse incrociate tra le due delegazioni.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

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