(ASI) La settimana scorsa, la Commissione Permanente della 12a Assemblea Nazionale del Popolo Cinese ha approvato, nel corso della Quarta Sessione plenaria, il 13° Piano Quinquennale, che sancisce le linee-guida dello sviluppo economico, politico e sociale del Paese per i prossimi cinque anni.
La redazione e l'approvazione del documento, come sempre attesissimo dalla popolazione e dagli addetti ai lavori, hanno catalizzato più del solito l'attenzione di tutto il mondo. Le preoccupanti prestazioni delle piazze cinesi tra l'estate e il gennaio scorsi, la svalutazione controllata dello yuan da parte della banca centrale, il calo della manifattura e il rallentamento della crescita avevano generato moltissimi timori, non di rado distorti o infondati.
Il testo del piano di lavoro pensato dal governo da qui al 2020 doveva perciò rispondere con chiarezza ai dubbi sollevati da più parti, in patria ma soprattutto all'estero, sull'effettivo stato di salute dell'economia cinese. Nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione, le borse hanno risposto positivamente con importanti rialzi nei listini di Shanghai e Shenzhen che rafforzano il trend di ripresa già registrato nelle ultime settimane, dopo la forte volatilità generale dei mesi precedenti. Segno evidente che il nuovo piano quinquennale potrebbe aver fugato gran parte delle preoccupazioni, mostrando il volto di un governo sicuro e determinato ad individuare le giuste soluzioni per superare le difficoltà, senza lasciarsi troppo condizionare dagli umori cangianti ed incerti dei mercati internazionali e dalle crisi geopolitiche in atto tra Europa e Medio Oriente.
Innovazione e nuovo consumo
Il documento rimarca il tasso di crescita del 6,9% mantenuto nel 2015, sostanzialmente in linea con le previsioni iniziali del governo, indicandolo come un dato «superiore a quello di molte altre grandi economie del mondo». E', tuttavia, il peso specifico della crescita ad essere cambiato ed aumentato, al di là dei semplici raffronti contingenti. In termini reali, ogni punto percentuale di crescita del PIL, infatti, ormai equivale «a 1,5 punti percentuali del PIL di cinque anni fa o a 2,5 punti di dieci anni fa». Anche il mercato del lavoro si è mantenuto stabile, con l'incremento di ben 13,12 milioni di posti di lavoro nelle aree urbane nel corso del 2015.
Pechino fa poi sapere che alla complicata congiuntura internazionale si aggiunge un generale processo di riforma già pensato negli anni scorsi che vedrà la Cina investire maggiormente nei servizi e nell'alta tecnologia. Si tratta di un passaggio fisiologico per tutte le economie emergenti e la Cina - che ne è quella più forte e più popolosa - non potrà certo attraversare questa nuova trasformazione in modo "neutrale" e privo di ripercussioni anche a livello mondiale.
Proprio dal piano di lavoro del governo, si apprende che i servizi hanno aumentato il loro peso tanto da contribuire, per la prima volta nella storia contemporanea, al 50,5% del PIL. A beneficiarne sono state soprattutto quelle aziende che hanno puntato sull'innovazione e su Internet, aprendo la strada a nuove start-up (+21,6% nel 2015), sorte ad un ritmo medio di 12.000 al giorno. Nel campo della scienza e della tecnologia, settori da molti anni al centro dei pensieri di Pechino, la Cina ha registrato «numerosi successi di livello mondiale», tra cui «lo sviluppo della tecnologia nucleare di terza generazione, il completamento dell'assemblaggio dell'aereo di linea C919 e la premiazione della scienziata Tu Youyou con il Nobel per la Medicina».
Di pari passo con l'innovazione, va segnalato il contributo fornito allo sviluppo economico dai consumi, che ha raggiunto quota 66,4%. Durante il quinquennio da poco conclusosi, nelle aree urbane sono stati creati 64 milioni di nuovi posti di lavoro e, attraverso gli stanziamenti del governo, sono stati costruiti 40,13 milioni di nuove unità abitative, mentre nelle aree rurali 100 milioni di contadini e agricoltori sono usciti da condizioni di povertà. Soltanto nel 2015, inoltre, il reddito disponibile pro-capite è aumentato del 7,4% mentre i depositi bancari sono cresciuti dell'8,5%, cioè di 4.000 miliardi di yuan (circa 548 miliardi di euro). In particolare, i consumi sono stati stimolati in «aree-chiave» quali «i viaggi turistici, la compravendita on-line ed i servizi e i beni informatici». Nelle aree rurali, invece, laddove le condizioni sociali risentono di uno sviluppo chiaramente meno dinamico, il 2015 ha visto «14,42 milioni di persone oltrepassare la soglia di povertà» e «altri 64,34 milioni di persone accedere al consumo di acqua potabile sicura».
Letti alla luce dei dati degli ultimi decenni, questi numeri consegnano un quadro sociale impressionante che ha visto aumentare vertiginosamente la classe media cinese nelle aree urbane - McKinsey&Company nel 2013 parlava di un aumento del 64% soltanto nel periodo 2000-2012 - e strappare alla povertà estrema circa mezzo miliardo di persone, tra cui molti contadini e agricoltori.
Meno tasse, meno burocrazia e mercato più forte
Il 2015 sarà senz'altro ricordato come l'anno del rallentamento globale, dell'incertezza e della volatilità. Il prolungato ribasso del prezzo del petrolio, simbolo di un'economia mondiale densa di dubbi, ha messo in difficoltà molti Paesi produttori, ma non solo. Cina ed India, produttori ma soprattutto importatori, ne hanno risentito solo in parte e, grazie anche alla forza dei loro investimenti all'estero, hanno mantenuto una forza ancora impensabile per molte altre potenze mondiali, dagli Stati Uniti alla Germania, dalla Francia alla Gran Bretagna. Eppure, la Cina non vuole rischiare di trovarsi impantanata in una nuova grande stagnazione globale o, peggio ancora, in una spirale recessiva che metterebbe a quel punto in difficoltà tutto il pianeta. Pechino ha così giocato d'anticipo adottando una «regolazione ponderata» in base agli obiettivi e ai tempi richiesti.
In materia di tassazione, la Cina ha applicato una «politica fiscale pro-attiva che si è concentrata sull'aumento dell'intensità e dell'efficacia attraverso l'espansione della portata delle riduzioni fiscali strutturali, la riduzione delle imposte su tutta la linea e la messa a frutto dei fondi di bilancio dormienti». Sul piano amministrativo, Pechino ha introdotto una consistente deregolamentazione, delegando o eliminando l'obbligo della revisione governativa per 311 categorie, cancellando l'approvazione centrale per 123 qualifiche professionali e bloccando la pratica delle revisioni governative non-amministrative. Il numero delle categorie che richiedevano l'approvazione governativa per la registrazione di nuove imprese si è ridotto dell'85% e, grazie all'introduzione della licenza commerciale unica, sono stati snelliti i meccanismi di concessione dei permessi e di codificazione creditizia.
A questo generale processo di riforma della macchina amministrativa, si è accompagnata una «politica monetaria prudente», che ha «apportato diversi tagli ai tassi d'interesse e al coefficiente di riserva obbligatoria, creando nuovi strumenti di politica monetaria ed aumentando il sostegno all'economia reale». Questo ha stimolato gli investimenti in diversi settori ed in particolare in quelle aree che richiedevano la massima attenzione, quali ad esempio «la tutela delle acque, i quartieri urbani degradati, le abitazioni rurali abbandonate, le ferrovie e le autostrade nelle regioni centrali e occidentali». Alla fine del 2015, inoltre, lo yuan è stato inserito nel paniere dei diritti speciali di prelievo del FMI, avviando l'iter che entro l'autunno del 2016 lo innalzerà definitivamente al livello di valuta di riserva mondiale al fianco del dollaro, della sterlina, dell'euro e dello yen.
«Rafforzare il mercato» in Cina significa anzitutto implementare le zone economiche speciali, frutto ormai maturo dello spirito riformatore incarnato da Deng Xiaoping negli anni Ottanta, e stimolare gli investimenti all'estero delle aziende cinesi secondo la politica di internazionalizzazione ("Andar fuori") promossa nel 1999 da Jiang Zemin. Con la riduzione del 50% delle voci che componevano il quadro delle restrizioni per gli investimenti all'estero, la Cina ha ampliato lo spazio di manovra per le imprese, registrando un aumento del 5,6% nel volume degli investimenti esteri e del 14,7% in quello degli IDE non-finanziari verso l'esterno. Le opportunità si sono poi moltiplicate grazie all'apertura di tre nuove zone-pilota di libero scambio nel Guangdong, a Tianjin e nel Fujian «basate sul modello della Zona-Pilota di Libero Scambio Cinese di Shanghai», una superficie di 120,72 km2, inaugurata nel settembre 2013, suddivisa in quattro aree: una centrale, dedicata alla logistica e allo scarico dei cargo navali, l'area di Lujiazui, dedicata alla finanza e allo studio delle riforme e delle regolamentazioni commerciali, l'area di Jinqiao, dedicata alla produzione, alle industrie emergenti e allo sviluppo sostenibile, ed infine l'area di Zhangjiang, un parco tecnologico focalizzato su ricerca e innovazione.
Gli investimenti passeranno soprattutto per le grandi opere infrastrutturali legate all'iniziativa Belt and Road, cioè la Cintura Economica della Nuova Via della Seta, e all'Asian Infrastracture Investment Bank (AIIB), avviata definitivamente proprio all'inizio di quest'anno.
Rilanciare il "Sogno Cinese"
Su queste basi generali di riforma, le direttrici dello sviluppo economico cinese nei prossimi cinque anni avranno lo scopo di:
- Conservare un tasso di crescita medio-alto e promuovere lo sviluppo industriale verso una fascia medio-alta;
- Porre l'innovazione al centro dello sviluppo per fare in modo, entro il 2020, che gli investimenti nella scienza e nella ricerca raggiungano almeno il 2,5% del PIL e che il contributo degli avanzamenti scientifici e tecnologici allo sviluppo economico raggiunga il 60% del totale;
- Rinnovare l'economia attraverso l'approfondimento delle riforme su tutta la linea e nuove legislazioni sui diritti di proprietà, sugli investimenti e sul meccanismo di allocazione delle risorse, ambito nel quale il mercato dovrà «giocare un ruolo decisivo» ma anche lo Stato potrà «svolgere meglio» il proprio.
- Individuare nuovi criteri nell'urbanistica e nella modernizzazione agricola e ridurre il divario socio-economico tra città e campagna e tra le regioni occidentali e quelle centro-orientali;
- Incentivare nuovi metodi di lavoro più attenti all'ambiente e alla conservazione dell'ecosistema, migliorando ed estendendo quanto già fatto negli anni precedenti, per costruire «una Cina meravigliosa, dove il cielo sia blu, la terra sia verde e le acque scorrano limpide»;
- Procedere lungo la direzione di uno «sviluppo centrato sul popolo» per aumentare la qualità della vita, «lottando duramente contro la povertà nelle aree e nelle contee più disagiate», migliorando i sistemi di sicurezza sociale e l'edilizia popolare, creando altri 50 milioni di posti di lavoro nelle aree urbane e riducendo il divario tra le fasce sociali, non solo sul piano retributivo ma anche culturale per «diffondere la moralità pubblica e mantenere fiorente la cultura cinese».
Nel discorso tenuto il 17 marzo 2013, in occasione della Prima Sessione della 12a Assemblea Nazionale del Popolo, Xi Jinping pronunciò per la prima volta dalla sua nomina presidenziale il termine "Sogno Cinese, definendolo come il triplice scopo di «rendere la Cina prospera e forte, ringiovanire la nazione e portare la felicità al popolo cinese». Insieme all'impegno per la «costruzione di un moderno Paese socialista florido, potente, democratico, culturalmente avanzato e armonioso», il Sogno Cinese «incarna l'ideale del popolo cinese di oggi e rappresenta l'instancabile ricerca del progresso inscritta nella gloriosa tradizione dei nostri antenati».
Il 13o Piano Quinquennale si propone dunque di realizzare le basi fondanti di questo grande obiettivo di lungo termine, rigenerando un sistema economico forse in affanno ma sicuramente ancora fortissimo e con molte carte da giocare.
.Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia
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