(ASI)- Un vecchio assunto per indicare sorpresa recitava “sogno o son desto?”. Ebbene la politica americana sembra che in Iowa si sia destata da una concezione del candidato che ormai pare non essere più al passo con i tempi. Trump ha rischiato di arrivare terzo, battuto di misura dal senatore Ted Cruz, governatore de
l Texas, incalzato dal senatore Marco Rubio, governatore della Florida, che precede un appannato Jeb Bush in netta difficoltà. La Clinton invece è riuscita nell’impresa di perdere il vantaggio di oltre il 30% di cui era accreditata all’inizio della campagna elettorale delle primarie democratiche, e ha vinto con meno dello 0,3% di vantaggio sul candidato “socialista” Bernie Sanders. Donald Trump e Hilary Clinton, rispettivamente il favorito per i repubblicani e la favorita in casa democratica. Due figure “forti” come tradizionalmente gradite all’elettorato statunitense che da sempre ricompensa i candidati dotati di maggior carisma, fascino e audacia. I sondaggi erano tutti concordi nell’affermare la vittoria di Hilary e Trump nei rispettivi schieramenti. Da una parte Trump si era costruito la “solita” immagine cara all’elettorato repubblicano di uomo forte, imprenditore spregiudicato e portatore di valori ultraconservatori, che gli aveva consentito apparentemente di sbaragliare la concorrenza partendo da zero. Dall’altra parte una Hilary Clinton che come prassi nel partito democratico partiva con la “benedizione” dei vertici del partito, e ha avuto fin da subito il sostegno del presidente Obama, vero e proprio portabandiera vivente dell’immagine democratica. Ciò aveva consentito alla Clinton di accumulare un vantaggio di oltre il 30% sugli altri candidati, contando su un immagine femminista, filantropica, multiculturalista e filo riformista da sempre cari all’elettorato democratico. In entrambi i casi si è trattato di due candidati che hanno potuto contare su ingenti risorse finanziarie e propagandistiche. Sia la Clinton che Trump sono infatti stati i candidati che hanno maggiormente occupato i media statunitensi, e che hanno goduto di una macchina elettorale messa a punto dai migliori esperti con i mezzi e le tecniche più moderne. Sembrava dunque che entrambi fossero l’incarnazione perfetta degli ideali e dell’immagine dei rispettivi partiti. Eppure stavolta l’elettorato statunitense ha chiesto a gran voce una svolta.
Tra i repubblicani il deludente risultato di Trump è stato decretato da un forte desiderio di una destra al tempo stesso più aperta all’elettorato ispanico e alle minoranze etniche che condividono le tradizioni religiose cristiane e i valori culturali del libero mercato e dell’imprenditoria all’insegna dell’ “american way of life”. Dall’altra parte, proprio l’attenzione all’aspetto culturale e religioso, alla promozione del sogno americano e della piccola e media iniziativa privata, hanno penalizzato il più laico e monopolista Trump. Ted Cruz, il vincitore delle primarie repubblicane, di origini italo – cubane, grazie alle numerose citazioni della Bibbia durante i suoi discorsi, e alla più volte ribadita volontà di riportare l’America sulla “retta via” dei valori giudeo – cristiani, ha ottenuto la vittoria con il 28%. In sostanza cruz ha incassato i voti dell’elettorato cristiano conservatore da sempre tra le componenti più importanti del partito repubblicano. Secondo è arrivato Donald Trump con il 24% delle preferenze. Quest’ultimo ha però smorzato le polemiche sulla propria mancata affermazione alle primarie di dichiarando alla stampa –“Mi era stato detto che in Iowa non sarei potuto arrivare nemmeno tra i primi dieci. Sono arrivato secondo. Onore al vincitore e mi preparo per la successiva sfida nel New Hampshire”. Ma alle prossime primarie sembra proprio che Trump dovrà guardarsi le spalle poiché il terzo arrivato, Marco Rubio, di origini cubane, con il suo 23% è alle calcagna del magnate newyorkese. Il suo 23% di consensi è basato in buona parte sull’elettorato repubblicano laico e moderato che lo ha preferito al massimalista Trump. Da vincitore annunciato, in sostanza Trump si è visto ridurre a “coperta corta”. Troppo laico per i cristiani conservatori, ma troppo conservatore per i laici moderati. Il partito repubblicano non è in sostanza riuscito ad esprimere un candidato che sapesse rappresentare in egual misura tanto l’anima laica, quanto quella conservatrice. L’elemento di forte novità imposto dalla prepotente presenza dell’elettorato ispanico, italiano e di colore, che hanno fortemente avvantaggiato tanto Cruz quanto Rubio, ha ulteriormente scompaginato le carte ponendo le basi per quello che si annuncia essere un vero e proprio rimpasto ideologico in seno al partito. Se da una parte si preannunciano dunque revisioni d’intenti politici, dall’altra si è verificato un vero e proprio terremoto. Rispetto al partito repubblicano, tradizionalmente abituato alle contrapposizioni interne tra moderati e massimalisti, il fatto che il candidato democratico, appoggiato dal partito e dal presidente quint’essenza dei valori democratici stessi, non sia riuscito ad ottenere più che una risicata vittoria è un fatto senza precedenti. Hilary Clinton, ex avversaria di Obama alle primarie presidenziali del 2007, e anche allora data per favorita e sostenuta dall’entourage democratico, ma che si dovette arrendere all’effetto “Obama”, sta volta ha incassato una vittoria con solo lo 0,3%. Al 49,9% di Hilary è stato infatti incalzato dal 49,6% di Bernie Sanders. Senatore del Vermont, Sanders è l’unico politico americano ad auto definirsi pubblicamente un socialista. Nato a Brooklyn da genitori ebrei polacchi, Sanders ha imposto il suo ritmo movimentista rompendo quella che è la tradizionale tendenza dell’elettorato democratico a focalizzarsi sui grandi temi e sulle battaglie ideologiche. La Clinton infatti sembrava avesse ottime possibilità di replicare una propria versione dell’effetto “Obama” visto anche il fatto che le primarie si svolgevano proprio nello stato che sancì la vittoria dello stesso presidente Usa che l’ha sostenuta fin dall’inizio delle primarie. Grazie ad una campagna che ha posto grande attenzione sulle attività e sugli impegni filantropici e sociali della Clinton, unita ad una forte attenzione ai temi femministi, molti dei sondaggi aveva già consacrato la Segretaria di Stato come la miglior rappresentante dell’elettorato democratico dopo Obama stesso. Sanders, partito da zero, è riuscito ad incrinare l’immagine della Clinton ponendo in evidenza i legami tra quest’ultima e l’alta finanza di Wall Street. Ha inoltre più volte sottolineato che, nonostante due mandati presidenziali democratici, nulla di concreto sia stato fatto sui temi cari all’elettorato democratico. In particolare Sanders ha lamentato lo strapotere dell’alta finanza e ha denunciato la corruzione insita nello stesso partito democratico scagliandosi contro le laute donazioni private ricevute dai candidati favoriti dal partito. “All’inizio della mia campagna ero staccato di 40 punti. Ho fatto una campagna senza mezzi e senza grandi finanziatori” – ha puntualizzato Sanders al termine dello spoglio delle schede. Il partito democratico si è dunque ritrovato diviso esattamente a metà tra l’anima più ortodossa del partito, che ha sostenuto la Clinton, e l’emergente desiderio di una svolta movimentista che ha premiato Sanders. Dalla parte di quest’ultimo infatti si sono schierati la quasi totalità dei giovani elettori democratici e buona parte dell’ex-ceto medio, deluso dalle politiche di Obama e di cui la Clinton ne viene percepita come un prosecutore. Altro aspetto che ha favorito il senatore del Vermont, una campagna elettorale totalmente opposta a quella della Clinton.Mentre Hilary ha frequentato i “salotti buoni”, Sanders ha sempre rifiutato qualsiasi coinvolgimento con rappresentati della finanza, impostando una campagna elettorale caratterizzata da un forte impegno e vicinanza ai problemi giornalieri della gente. La campagna elettorale del senatore del Vermont ha inoltre potuto contare su un gran numero di volontari e di libere associazioni che hanno saputo far presa sull’elettorato democratico. Ciò è avvenuto anche grazie alle proposte di forte rottura con il passato di Sanders il quale in sostanza chiede una forte tassazione sui ceti ricchi della finanza pubblica e privata i cui proventi sarebbero poi destinati alla costruzione di un inedito stato sociale a beneficio dei ceti più poveri. Tutto ciò ha evidentemente messo in difficoltà la Clinton che di fatto ha semplicemente riproposto generici impegni sui temi tradizionalmente cari al partito democratico come scuola, ambiente, sanità e razzismo, che consacrarono Obama presidente degli Stati Uniti.
I deludenti risultati di Donald Trump e di Hilary Clinton, malgrado tutte le differenze del caso, presentano però un aspetto comune. In entrambi i casi l’elettorato ha punito i candidati percepiti come distanti dalla “vita di tutti i giorni”. Trump, che è stato sicuramente il più penalizzato, ha infatti condotto una campagna elettorale caratterizzata da frequenti apparizioni tv ed interventi direttamente dal proprio studio sia sui media nazionali che via web. Per contro gli altri due candidati Rubio e Cruz si sono avvalsi di numerosi comizi pubblici. Dall’altra parte la Clinton, pur avvalendosi tanto di grandi incontri pubblici, quanto di frequenti apparizioni sui media nazionali, è stata messa in difficoltà dalla dinamica strategia di Sanders incentrata su numerosi incontri pubblici di medie o piccole dimensioni organizzati da volontari e associazioni che hanno dato una dimensione molto più familiare e coinvolgente rispetto ai grandi incontri organizzati dalla macchina elettorale della Clinton. L’elettorato americano ha quindi marcatamente sottolineato la propria disaffezione per i candidati classici. L’immagine di vincente, ottenuta tramite campagne elettorali in grande stile, non è più dunque condizione irrinunciabile per l’americano medio come lo era in passato. La svolta delle primarie in Iowa ha visto infatti buona parte dell’elettorato accordare i propri favori ai candidati di sostanza e di fatto inaugurare un nuovo metro di valutazione del candidato fortemente incentrato sui contenuti più che sull’immagine.
Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia
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