Renzi in Africa per parlare di economia e terrorismo.

Il premier risponde alle polemiche UE di fronte al parlamento ghanese

(ASI) Con un'Italia in fermento, avvinghiata  dai dibattiti sulle Unioni Civili, dalle vicende bancarie, dalle solite discussioni sull'immigrazione, da gestire nonostante il poco simpatico handicap delle polemiche europee, il presidente del Consiglio Matteo Renzi onora la sua fitta agenda di inizio 2016 partendo alla volta dell'Africa.
Dopo l'incontro con Merkel a Berlino e prima di raggiungere gli altri capi di governo per parlare di Siria il 4 febbraio a Londra, il premier italiano ha scelto di visitare tre Paesi strategici del continente africano quali Nigeria, Ghana e Senegal.
Sul tavolo ci sono ovviamente il solito tema del terrorismo, soprattutto in una Nigeria afflitta dalla piaga sociale della potente Boko Haram, argomento ampiamente discusso con il presidente Buhari, e fortunatamente anche nuove partnership economiche degne di nota per l'Eni in ripresa e per una prospettiva politica di Renzi che mira a un nuovo ruolo dell'Italia nel contesto internazionale, meno suddita e più propositiva.
"L'Africa è da sempre una grande opportunità - aveva detto Renzi appena accolto dall'omaggio floreale di una bambina ad Abuja e lo ha ribadito con parole chiare di fronte al parlamento ghanese di Accra - Paesi come la Cina lo hanno già capito da molto tempo e vengono qui ad investire, noi abbiamo già un ottimo progetto con la nostra Eni."
Non solo negoziati e partnership economiche però, perché la visita del premier è rivestita da toni squisitamente politici, rivolti ancora una volta alla lotta contro il terrorismo. "Gli autori degli attentati vogliono distruggere la società costituita facendoci vivere nella paura. Il nostro deve essere uno sforzo culturale condiviso, perché l'educazione è l'unico vero antidoto e anticorpo contro il terrore. Dovete essere orgogliosi della vostra democrazia, base per ogni libertà politica e civile."

Ad ogni modo, intenzionalmente o meno, è però sempre la polemica a prevalere, perché Renzi ha consigliato anche all'Unione Europea che venga qui ad investire. "Noi depositiamo venti miliardi alle istituzioni europee ricevendone undici - ha ricordato Renzi - Per risolvere il problema dell'immigrazione nel nostro continente serve una strategia di lungo periodo che renda più solide le frontiere esterne dell'UE lasciando in vigore gli accordi di Schengen, non le solite polemicucce da quattro soldi."

Si sa, il clima è tutt'altro che disteso con la Commissione Europea, soprattutto con il suo presidente Jean-Claude Juncker, il quale ha inviato una lettera direttamente all'Italia per chiarire l'esclusione dei fondi da trasferire alla Turchia per la gestione dell'accoglienza dei rifugiati dal computo del deficit. Juncker ha in questa  ricordato che tutto era stato già chiarito il 18 dicembre in occasione dell'ultimo meeting in merito, ma "evidentemente l'Italia preferiva ignorarlo per farne interessata strumentalizzazione politica".
Renzi ha definito Kafkiani la risposta di Bruxelles e il parere dell'UE, rinunciando volontariamente a ogni futura polemica a riguardo.

Se il premier italiano viene infine attaccato sia dall'opposizione di Forza Italia con Paolo Romani, che definisce ancora una volta inadeguato il presidente del Consiglio, e giudizio avverso proviene anche dal commissario europeo per gli affari economici Moscovici, che torna sul tema dei fondi replicando che l'Italia è il Paese membro che gode maggiormente della flessibilità attraverso la gestione dell'emergenza migrazione e della sicurezza contro il terrorismo, di tutt'altra idea rimane Gianni Pittella, europarlamentare e presidente dei socialisti europei.
"La visita di Renzi in Africa è un ottimo segno di dinamismo per un Paese chiave di cui l'UE non potrà mai fare a meno, soprattutto ora che gli Stati del nord Europa si chiudono in se stessi, Spagna e Portogallo sono in ricerca di strade alternative e la Gran Bretagna sta progettando l'uscita dall'Unione. L'Italia pagherà i suoi 280 milioni alla Turchia, ma nessuno deve avere nulla da dire se l'asse Renzi-Merkel risulta più forte della Commissione Europea, come lo fu a suo tempo quello della cancelliera con l'allora presidente francese Nicolas Sarkozy".

Se a questo punto nemmeno andare in Africa può aiutare nel sfuggire alle questioni domestiche, Renzi è già sulla via del ritorno perché l'agenda non può aspettare e neanche le polemiche a quanto pare, sebbene queste da tempo immemore siano come un fuoco che riesca ad ardere perennemente anche senza combustibile.

Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia 

 

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