(ASI) In un recente incontro, il segretario di Stato del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture Digitali tedesco e l’entourage della presidenza boliviana hanno vagliato le opportunità di cooperazione nella pianificazione e costruzione di un corridoio ferroviario capace di collegare il porto di Ilo (Perù) al porto di Santos (Brasile), passando per il territorio boliviano.

Si tratta di un progetto in realtà non nuovo e già sottoposto ad attenta perizia nel 2014, quando era stata la Cina a farsene promotrice. Tuttavia, negli anni il piano originale ha subito svariate modifiche tanto da creare veri e propri attriti tra i Paesi coinvolti. Il progetto iniziale prevedeva il collegamento interportuale, con un interessamento territoriale della Bolivia, per 3.750 km complessivi di ferrovia, utili a ridurre tempi e costi dell’interazione commerciale tra l'America Latina (Brasile in testa) e la regione asiatica orientale.

Su iniziativa del governo peruviano guidato da Humala, però, il progetto subiva alla fine del 2014 un’importante modifica, finendo con l’escludere la Bolivia da ogni coinvolgimento. Una manovra che sposterebbe il percorso verso l’alto, intersecando la regione amazzonica per un percorso totale di circa 5.000 km, per un investimento stimato in oltre 10 miliardi di dollari. Chiaramente, la modifica non è gradita dal governo boliviano che proprio lo scorso 13 novembre, ha accolto la delegazione tedesca al fine di riportare all’ordine del giorno, in ambito regionale, l’ipotesi di un corridoio transoceanico inclusivo del territorio boliviano.

Le traiettorie ferroviarie sviluppate nei due progetti. Quello cinese, prima identico al progetto tedesco, ha subito un allungamento a seguito degli interessi peruviani

Prima di tutto occorre soffermarsi sulle ragioni di investimento, ossia sui motivi per cui prima Pechino e poi Berlino, si sono prodigate nella progettazione e nel finanziamento di questo progetto. Se da un lato, la Germania si muove per il semplice desiderio di riposizionarsi nel mercato sudamericano e quindi aggiudicarsi commesse per migliorare i propri bilanci, la situazione cinese è più complessa.

Occorre, innanzitutto, osservare le ragioni geopolitiche. Se consideriamo la presidenza di George W. Bush (2000-2008) negli Stati Uniti, notiamo che questa si è contraddistinta sul piano delle relazioni internazionali per un deterioramento delle relazioni con l’intera regione sudamericana. L’amministrazione Bush jr. ha inteso concentrare il proprio operato sul consolidamento della presenza statunitense nella politica e nell’economia di Medio Oriente ed Europa, "trascurando" di fatto il Sud America. Una "distrazione" che ha permesso, all’interno del sub-continente latino, la formazione e l’ascesa di figure politiche forti, svincolate dai dettami della Dottrina Monroe. Chavez in Venezuela, Lula in Brasile o Kirchner in Argentina sono solo i più famosi politici di un processo di rinnovamento che ha interessato gran parte del continente.

Inoltre, la crisi finanziaria del 2008 ha contratto le interazioni commerciali tra gli Stati Uniti ed il resto del mondo, un fattore determinante nella costruzione di una relativa "indipendenza commerciale" nei Paesi sudamericani che, per arginare ogni pericolo di contagio della crisi mondiale, hanno repentinamente ampliato il portfolio dei propri partner commerciali.

In sintesi, la prima decade del XXI secolo si è contraddistinta per l'attivismo politico ed economico dei Paesi sudamericani, colto quale opportunità per le economie emergenti (in primis è stata la Cina ad inserirsi nel mercato latino-americano ed in seguito la Russia, seguita dall’India). Opportunità che Pechino ha inteso sfruttare appieno ponendosi quale principale interlocutore nell’implementazione di numerosi progetti infrastrutturali nella regione. Da un lato, lo fa in modo informale, come nello studio di fattibilità del nuovo Canale di Nicaragua, dove Pechino ha spesso ribadito di non avere alcun coinvolgimento istituzionale nel progetto intrapreso dell’azienda privata cinese HK Nicaragua Canal Development Investment. Dall'altro, come nel caso del Corredor Ferroviario Bioceánico Central (CFBC), si pone ufficialmente quale interlocutore istituzionale.

La realizzazione di tali progetti permette al colosso asiatico di conseguire due importanti obiettivi: consolidare la sua posizione in Sud America ed abbattere i costi commerciali, sia in termini di importazioni che di esportazioni. In merito al primo punto, Pechino ha la possibilità di attivare una vasta rete di relazioni economico-politiche, con la prospettiva di ampliare l’interazione economica mediante lo sviluppo di joint-venture lungo il percorso ferroviario. Inoltre, non va sottovalutata la commessa in sé, che permetterebbe a Pechino di attivare la propria industria nella realizzazione dell’opera e nella successiva gestione e manutenzione. Prendiamo quale esempio di riferimento il Canale del Nicaragua, dove la stessa HK Nicaragua Canal Development Investment ha inteso procedere alla realizzazione dell’opera, garantendone la gestione esclusiva nei 50 anni successivi alla sua realizzazione. Dal punto di vista commerciale, invece, Pechino riuscirebbe ad abbattere notevolmente i costi di import-export soprattutto rispetto al Brasile, partner importante ma "impegnativo" a causa del rincaro commerciale della merce, costretta a circumnavigare il continente in direzione Panama per poi accedere all’Oceano Pacifico mediante il canale interoceanico. Per capire l'entità dei risultati commerciali cinesi nell'interazione con America Latine e Caraibi (ALC) nel periodo 2000-2013, ci viene incontro uno studio Cepal molto interessante:

Dal 2000 al 2014, l’interazione commerciale tra Cina e America Latina è cresciuta di 22 volte contro una semplice triplicazione degli scambi tra l'America Latina e il resto del mondo (esclusa, ovviamente, la Cina).

Veniamo ora alle ragioni geopolitiche ed economiche dei Paesi interessati fisicamente da questo progetto. Osservando le due varianti del progetto ferroviario, si nota bene che il Perù ha visibili interessi nell’attivare un corridoio infrastrutturale più a nord, in quanto capace di coinvolgere una porzione di territorio superiore con tutti i vantaggi derivanti dallo sviluppo di attività collaterali. Optare per il progetto oggi presentato dalla Germania, vorrebbe dire interessare una piccola area peruviana che, di per sé, ha un proprio dinamismo economico legato all'area del porto commerciale. Il passaggio a nord, di contro, permetterebbe a Humala e al suo governo di presentare il piano come un’opportunità per l’entroterra andino e amazzone. Un tema importante che darebbe respiro al presidente, attanagliato dall’incapacità di risolvere il disagio sociale derivante dal divario economico presente tra costa e sierra.

Dal canto suo, la Bolivia ha tutto l’interesse nell’esser parte attiva del progetto, in quanto La Paz soffre gravemente l’handicap di non avere sbocco al mare. La ferrovia interoceanica darebbe alla Bolivia la possibilità di accedere agevolmente al principale mercato mondiale nel quale riversare a prezzi competitivi il proprio export energetico e minerario. Allo stesso tempo la Bolivia diverrebbe più appetibile per i flussi di IDE poiché connessa ad una branca importantissima del commercio regionale e mondiale. Una prospettiva alla quale il presidente boliviano Evo Morales sa di non poter rinunciare e per la stessa ragione continua il reclamo internazionale in seno all’Aja per ottenere nuovamente un accesso sovrano all’Oceano Pacifico, a scapito del Cile. Vecchi dissapori tra La Paz e Santiago, che risalgono ad una guerra persa proprio da La Paz (e Lima) nel 1879, e costata tanto la sovranità costiera quanto le risorse minerarie (rame anzitutto) presenti negli stessi territori.

Le ragioni in ballo sono molteplici e variano a seconda della prospettiva d’analisi. Unica costante resta il Brasile, Paese imprescindibile per giustificare la necessità di connettere i due oceani ed abbattere i costi commerciali di due economie emergenti come Cina e Brasile che, malgrado i recenti rallentamenti (soprattutto in Brasile), stanno ridisegnando il mondo in base a nuovi equilibri di potere.

William Bavone

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