(ASI) Come va sostenendo praticamente sin dall'inizio della crisi nel marzo 2011, per la Siria Pechino predilige una soluzione politica e pacifica.
Da allora molte cose sono cambiate. In particolare, è emerso in tutto il suo famigerato terrore il sedicente Stato Islamico dell'Iraq e del Levante che ha di fatto egemonizzato gran parte del fronte anti-Assad, già caratterizzato dalla presenza di gruppi ribelli integralisti come Jabat al-Nusra e Jabat al-Islamyya. Il governo cinese, come di norma, ha sempre predicato l'importanza della stabilità e della pacificazione del Paese rispetto allo status quo pre-bellico, secondo un leit-motiv tipico della sua politica estera fondata sui cinque principi della coesistenza pacifica.
I quattro veti posti consecutivamente, insieme alla Russia, sulle risoluzioni che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno cercato di far passare al Consiglio di Sicurezza dell'ONU tra il 2011 ed il 2014 allo scopo di approvare un'unanime condanna del presidente Bashar al-Assad e di semplificare l'iter per un intervento militare sul modello libico, hanno fattivamente esposto la Cina.
La potenza asiatica non ha esitato a schierarsi con il governo di Damasco, contro il terrorismo e qualsiasi altro tentativo di rovesciare l'ordine politico siriano attraverso il ricorso alla forza e alla violenza. Tuttavia, se la Russia è passata ai fatti durante l'autunno, intervenendo nel teatro siriano coi mezzi dell'Aviazione Federale, la Cina è fin'ora rimasta fuori dal conflitto evitando qualsiasi tipo di coinvolgimento diretto nello scenario mediorientale.
Un cambio di approccio in atto
Lo scorso 4 dicembre, la portavoce del Ministero degli Esteri Hua Chunying, incalzata da una domanda specifica in sala stampa, aveva affermato: "Per quanto riguarda la campagna anti-terrorismo della Russia in Siria, la Cina ha appreso che questa è stata avviata su richiesta del governo siriano allo scopo di sferrare un colpo decisivo contro le formazioni terroristiche attive in Siria. La Cina comprende e sostiene sempre le attività anti-terrorismo che sono in linea con il diritto internazionale e con il consenso del governo coinvolto". A questo attestato di fiducia va inoltre aggiunta la formazione di una coalizione attorno all'asse Mosca-Damasco estesasi anche ad Iraq ed Iran, col supporto degli Hezbollah libanesi nelle attività di terra, che ha dunque conferito una solidità politica al fronte anti-ISIS grazie alla sostanziale unità del mondo islamico sciita di fronte alla minaccia genocida dell'estremismo sunnita.
Negli ultimi mesi si erano rincorse diverse indiscrezioni sul possibile impiego della portaerei cinese Liaoning e dei circa 30-35 caccia multiruolo J-15 che è in grado di imbarcare. Ovviamente, si era trattato di semplici voci poi smentite dai fatti, oltre che dal Ministero degli Esteri cinese. Era lecito, tuttavia, supporre che, al di fuori delle ipotesi più azzardate, l'Esercito Popolare di Liberazione potesse comunque prendere parte attiva alle operazioni anti-ISIS inviando direttamente a Damasco (o a Baghdad) propri uomini con compiti di addestramento e formazione del personale militare locale, tanto più dopo gli attacchi di Parigi del 13 novembre scorso e la conseguente decisione dell'ONU di autorizzare "qualsiasi misura contro l'ISIS". Finora, però, anche questa opzione risulta soltanto sulla carta.
Se la posizione politica cinese sul confronto in atto in Siria era ed è molto chiara, fino a pochi giorni fa altrettanto non poteva dirsi delle modalità di assistenza e supporto pratico che Pechino intende adottare rispetto a questa coalizione. Eppure, prima di Natale qualcosa è cambiato. La Cina mantiene ancora ferme le sue posizioni non-interventiste sul piano militare, confermando il suo 'appoggio esterno' alla Russia, ma al contempo infittisce la cooperazione con la Siria e l'Iraq attraverso gli investimenti e il commercio a tutto campo.
Al-Abadi in Cina per pianificare il nuovo Iraq
Lo scorso 22 dicembre il primo ministro iracheno al-Abadi, espressione dell'Islam politico sciita riemerso in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003, ha raggiunto Pechino dove ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping per avviare l'iter di un partenariato strategico che dovrebbe portare l'Iraq a diventare uno dei pivot strategici del piano 'One Belt, One Road', elaborato dal governo cinese per ricostruire l'antica Via della Seta in chiave moderna.
Xi ha elogiato il governo di Baghdad per i progressi compiuti "nella pianificazione delle riforme, nell'accelerazione della ricostruzione economica e nel miglioramento della sicurezza", sottolineando il sostegno cinese agli sforzi iracheni per la salvaguardia della sovranità nazionale, dell'indipendenza e dell'integrità territoriale. Nel settore tradizionalmente ritenuto trainante dai cinesi, cioè quello economico, Pechino prevede di supportare l'Iraq nel consolidamento della ricostruzione "in aree-chiave quali l'energia, le reti elettriche, le comunicazioni e le infrastrutture", anche stimolando le imprese cinesi a prendere parte in progetti su larga scala nel Paese mediorientale.
Al-Abadi ha rimarcato i legami storici tra le due civiltà, sorti e sviluppati lungo l'antica Via della Seta, ribadendone l'importanza anche durante l'incontro con il presidente della Commissione Permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo Zhang Dejiang, e ha accolto con favore l'idea di favorire non solo gli investimenti cinesi in Iraq ma anche il supporto di Pechino nel campo della sicurezza regionale, trovando dall'altra parte una Cina "che vuole rafforzare le comunicazioni e il coordinamento con l'Iraq ed impegnarsi congiuntamente per preservare la pace, la stabilità e lo sviluppo nella regione".
Il primo ministro cinese Li Keqiang ha osservato che l'Iraq è un partner di primo piano nel mondo islamico, ricorrendo all'espressione geografica "Asia Occidentale - Nordafrica" (WANA, per alcuni studiosi anglofoni). Una differenza non solo formale tra il linguaggio generalista dei nostri media e quello cinese, ma evidentemente anche semantica e concettuale nella misura in cui quest'ultimo riesce a connotare in modo più preciso l'eterogeneità di un'area geoculturale che, malgrado la sua enormità spaziale, in Occidente siamo soliti supporre monolitica e priva di sostanziali differenze interne.
Li è andato più in profondità, specificando che la Cina è pronta "ad espandere la cooperazione con l'Iraq, partecipando attivamente allo sviluppo dei giacimenti petroliferi e alla costruzione delle raffinerie". Secondo il primo ministro cinese, la Repubblica Popolare coopererà con Baghdad "allo scopo di assistere l'Iraq nell'incremento della sua produttività e nella formazione di tecnici attivi nei settori del cemento, dell'acciaio, del vetro e dell'ingegneria meccanica". In Iraq, la Cina parteciperà inoltre "alla costruzione infrastrutturale di reti elettriche, aeroporti, porti, sistemi di comunicazione e altri ambiti per sostenere la ricostruzione economica del Paese, rafforzare gli scambi nell'esperienza e nelle tecnologie agricole, estendere il volume commerciale dei prodotti agricoli, approfondire la cooperazione nello sviluppo delle risorse umane e facilitare lo circolazione di persone e merci".
Al-Moallem da Wang Yi per salvare la Siria
Appena due giorni dopo, il 24 dicembre, anche il ministro degli Esteri siriano, nonché vice-premier, Walid al-Moallem, di fede sunnita ma espressione del secolarismo ba'athista siriano, è arrivato a Pechino per un vertice con il suo omologo cinese Wang Yi. Il ministro cinese ha subito tenuto a precisare la gravità della situazione siriana, ospitando tuttavia un rappresentante dell'unico governo legittimo in Siria, senza avventurarsi in improvvisate aperture con entità non riconosciute. Wang ha indicato l'adesione ai tre punti principali della Risoluzione 2254 dell'ONU: primo, fissare la direttrice di una risoluzione politica della crisi siriana; secondo, rimarcare che il futuro ed il destino della Siria debbano essere decisi dal popolo siriano; terzo, porre l'ONU nel ruolo di mediatore principale. Wang Yi ha inoltre sottolineato che con l'egida dei comuni sforzi anti-terrorismo da parte della comunità internazionale, la soluzione politica del conflitto siriano può fruire di nuove opportunità.
Al-Moallem, da parte sua, ha garantito il massimo impegno della Siria nella lotta al terrorismo ribadendo anche la disponibilità del governo di Damasco "a partecipare al dialogo con le opposizioni" e mostrando, così, una posizione decisa ma non drastica, che Pechino ha particolarmente apprezzato nella speranza che "le trattative per la pace possano svolgersi prima possibile e procedere oltre". Al di là del sostegno per il cessate-il-fuoco e l'invio di aiuti umanitari, le due parti hanno discusso anche del futuro e della ricostruzione della Siria, martoriata da quattro anni e mezzo di guerra. Il ministro siriano ha assicurato che il suo governo, come rappresentante di un Paese membro dell'ONU, si assumerà la responsabilità di applicare la Risoluzione 2254, cesserà parzialmente il fuoco e coopererà con la comunità internazionale per facilitare il soccorso umanitario, nella speranza di "avviare la ricostruzione economica il prima possibile".
Le intenzioni manifestate da al-Moallem hanno convinto Wang Yi, che ha confermato l'impegno di inviare a Damasco altri 40 milioni di renminbi (circa 5,64 milioni di euro), pronti ad aggiungersi agli aiuti umanitari già spediti in Siria e in altri Paesi della regione, incassando anche una promessa di aiuto per il futuro "in linea con i bisogni del Paese".
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia