Ci sono corsi e ricorsi storici e la storia ci insegna che certi eventi sono epocali e che possono ripetersi. Nel 2001 ci fu quello che sappiamo che anticipò la crisi finanziaria che era già nei fatti in stato di maturazione, anche se non era ancora esplosa. Secondo lei, i fatti che stanno accadendo nel nord Africa a che cosa preludono?
Sono sintomi generali di un disordine non programmato che deriva dall'inizio della fine del dominio imperiale statunitense. Una parte dell'umanità avverte che sta venendo meno la funzione di dominio. E comincia a cercare proprie risposte ai drammatici problemi che vive. L'età media dei paesi in rivolta è vicina ai 30 anni. Una nuova generazione – la generazione non di Twitter o di Facebook, ma di Al Jazeera, che legge gli avvenimenti mondiali su una tv in arabo.
Siamo in una nuova fase sperimentale di esportare la democrazia? Se fosse così, cosa ci attende dietro l'angolo?
L'esportazione della democrazia è già finita. L'Occidente non può più esportare quello che non ha più.
Gli interessi economici sono tantissimi. Nei territori dove sono partite le rivolte si concentrano affari geopoliticamente enormi. Quali effetti potrebbero avere per Stati Uniti, Israele e Italia?
La partita non sarà cortissima. Quei movimenti non hanno ancora una leadership, una visione alternativa. Vogliono consumare come fa l'Occidente. Ci vorrà del tempo perchè si strutturino e si diano degli obiettivi politici. Nel frattempo Stati Uniti e Israele (l'Italia non conta niente) cercheranno di volgere le situazioni a loro vantaggio, comprando i nuovi gruppi dirigenti che si formeranno. Ma non sarà la ripetizione delle partite precedenti. Questa volta gli USA non sono più così forti. E non hanno molto da proporre. E' possibile allora che puntino a un caos programmato. In fondo a questa parabola c'è infatti una guerra di grandi dimensioni. Chi sa come stanno le cose veramente, è cioè che gli USA non sono più in grado di ridurre il loro debito, si dovrebbe rendere conto che per Washington la soluzione più logica, ed effettiva, è organizzare la guerra.
In Libia i combattimenti continuano, sono in corso scontri per il controllo di Ras Lanuf, porto petrolifero del golfo della Sirte. L’economia italiana è strettamente collegata a quella della Libia. Come sono cambiati i rapporti tra i due stati?
Se Gheddafi riconquista Bengasi, i rapporti Italia-Libia si normalizzeranno dopo una certa, non lunga, fase di freddezza. Sempre che Francia, Inghilterra e USA non decidano di rompere gl'indugi: o fermando Gheddafi prima che vinca, o punendo Gheddafi dopo che ha vinto.
Crede che le notizie che ci danno i mass media siano attendibili?
Le notizie dei mass media sono sempre inattendibili. Salvo rare eccezioni che confermano la regola. Noi viviamo nella società dello spettacolo e della pubblicità. Lo spettacolo e fiction, la pubblicità è banalmente menzogna allo stato puro.
Per concludere, secondo lei, è in pericolo la libertà di stampa in Italia e nel resto del mondo?
In Italia, più che nel resto del mondo, la libertà di stampa è divenuta un concetto assai relativo. Si può ancora scrivere quello che si vuole, ma non conta quasi niente, perchè 40 milioni di italiani non comprano mai un libro nella loro vita , né leggono mai un giornale. Vedono solo la televisione, che è appunto intrattenimento e pubblicità. Per questa ragione la tv è il luogo del dominio più sfacciato. E' la vera sede del potere. E non è affatto vero che Anno Zero sia diverso e all'opposizione. In un certo senso lo è; in altri è perfettamente funzionale al sistema del dominio. E' anch'esso un format che segue gli stessi criteri spettacolari di Porta a Porta. In ogni caso le poche cose di “resistenza democratica in tv” sono relegate ai margini del palinsesto, a tarda ora. Sono quindi dirette a un pubblico chic. Non contano per il grande pubblico, che non le vede.