Attualmente la Cina sta cercando di riequilibrare la sua economia puntando sui consumi come maggiore fattore di crescita e su investimenti più produttivi, deregolamentazione dei tassi d’interesse, sviluppo dei mercati del capitale di debito, deregulation di settori fortemente statali e liberalizzazione degli investimenti internazionali per una più efficiente allocazione delle risorse. Senza dimenticare tre potenziali rischi: disordini politici e sociali, carenti investimenti aziendali, contrasti militari con i paesi limitrofi.
Osservato speciale il Pil del Paese, che negli ultimi anni è aumentato in modo vertiginoso e che ormai non interessa solo le grandi città ma anche le campagne, o quanto meno quel poco che ancora ne rimane. Nel nuovo piano quinquennale di Pechino, per la cronaca il dodicesimo, è infatti stabilita urbanizzazione forzata del 70% del suolo cinese con un investimento di circa 5mila milioni di euro.
A Pechino ovviamente non sono preoccupati delle possibili ripercussioni che una simile cementificazione - si parla di 37 milioni di nuove abitazioni - potrebbe avere sul settore terziario.
Da anni, del resto, la Cina ha iniziato ad investire la sua grande ricchezza per comprare non solo il debito pubblico estero ma anche veri e propri Paesi all’estero; dalle Filippine, tanto per citare un esempio, non mancano accuse di land grabbing (accaparramento dei terreni) nei confronti della Cina. Attraverso questo sistema, oltre che di un ulteriore incremento dell’agricoltura intensiva, potrà essere garantita l’industrializzazione selvaggia entro i propri confini sfruttando le terre altrui.
Totalmente votati alla causa cinese gli intervenuti hanno anche ricordato che ora i salari cinesi stanno perdendo competitività a livello mondiale a causa dei tanti aumenti imposti dal Governo in questi anni.
Fabrizio Di Ernesto e Federico Cenci – Agenzia Stampa Italia
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