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(ASI)Per il presidente statunitense Barak Obama questo non è certo uno dei periodi migliori, politicamente parlando. Nei giorni scorsi gli Usa sono entrati nello shutdown e la recente crisi siriana ha mostrato l’inizio della fine dell’egemonia americana a livello mondiale.

Un nuovo duro colpo all’amministrazione Obama potrebbe ora venire dall’ambizioso progetto Keystone XL, un nuovo e mastodontico oleodotto che partendo dal Canada e attraversando tutto il territorio a stelle e strisce dovrebbe arrivare fino al Golfo del Messico. Proprio in merito a questa infrastruttura sembra legato il destino del primo presidente nero degli Usa visto che sia l’opposizione interna sia quella internazionale lo attaccano su questo tema.

Il petrolio da sfruttare arriverebbe dalla regione canadese dell’Alberta, attualmente tra le trainanti dell’economica del paese dell’Acero che beneficia di una industria petrolifera in costante crescita, basata principalmente su petrolio ricavato da bitume impastato con sabbia e terreno. Sotto accusa però proprio il meccanismo di raffinazione di questo petrolio che richiede enormi quantità d’acqua e rilascia emissioni di gas serra in quantità molto maggiori della produzione tradizionale di petrolio. Per sfruttare questa risorsa si ha bisogno di una procedura particolarmente invasiva per l’ambiente: oltre a inquinare, la trasformazione in petrolio delle sabbie oleose devasta il territorio circostante.

Come anticipato sopra, questa tecnica estrattiva non è molto ben vista dalla comunità internazionale, anche se l’amministrazione Obama in merito a questo progetto è attaccata anche per altri motivi, in primis i costi visto che una volta ultima la conduttura sarà costata ben 7 miliardi di dollari. I difensori del progetto continuano a ripetere che questo garantirebbe molti posti di lavoro aumentando le entrate fiscali e arricchendo le riserve americane, ma i detrattori replicano ricordando i potenziali problemi legati alla sua costruzione ed al suo utilizzo. In particolare un recente studio realizzato dal Consiglio per la Difesa delle Risorse Naturali del governo americano dimostra che la produzione e raffinazione del petrolio attraverso l’utilizzo di sabbie bituminose produce molto più inquinamento del petrolio convenzionale. Applicando i risultati di questa ricerca al progetto Keystone si arriverebbe a produrre circa 1,2 miliardi di metri cubi di sostanze inquinanti; pressappoco quanto ne emette l’insieme di tutte le vetture circolanti negli Stati Uniti nel corso di dodici mesi.

Trattandosi di un progetto che interessa due Stati, gli Usa ed il Canada, l’ultima parola spetta al governo statunitense ed al presidente Obama che nelle sue campagne elettorali ha sempre promesso una grande impegno in difesa dell’ambiente. Nonostante cinque anni di trattative e pressioni della lobby per il momento la Casa Bianca ha sempre mostrato la proprio contrarietà a questo progetto; nelle settimane scorse però il governatore dello Stato del Nebraska ha approvata alcune modifiche al percorso e così gli ingegneri della società Transcanada, titolare dell’oleodotto, è tornata alla carica verso il Primo mandatario statunitense. In questa occasione Obama, pur ritirando fuori le critiche degli ambientalisti, si è mostrato possibilista pur ribadendo che non sarà dato il via libera fino a quando non verrà risolto in modo significativo il problema dell’inquinamento da diossido di carbonio.

Per il presidente il progetto Keystone rappresenta un vero e proprio bivio come sottolineato nei giorni scorsi anche dal new Yorker che ha evidenziato come opporsi a questo progetto sia ormai l’ultima possibilità per i democratici di opporsi alle pressioni delle lobby in un campo delicato come quello ambientale ed il tempo stringe visto che l’ultima parola dovrà essere detta entro la fine di questo anno.

 

Fabrizio Di Ernesto – Agenzia Stampa Italia

 

 

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