Colpire le auto cinesi e poi sorprendersi della reazione di Pechino: una strategia che rischia di costare cara all’Europa.

(ASI) Il recente scontro commerciale tra Cina e Unione Europea, innescato dai dazi europei sulle auto elettriche cinesi, ha portato Pechino a intraprendere una dura azione di risposta per difendere il proprio settore automotive.

Dopo che la Commissione Europea ha ufficializzato dazi fino al 35% sulle auto elettriche importate dalla Cina, il governo cinese ha rapidamente risposto, dichiarando la misura come “protezionistica” e minacciando ritorsioni su una vasta gamma di prodotti europei. Pechino ha così immediatamente portato la questione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), denunciando l’UE per pratiche anticoncorrenziali.

La Cina ha scelto una risposta incisiva e articolata. Da un lato, ha contestato i nuovi dazi direttamente all’OMC, tentando di invalidare le misure europee attraverso un appello formale. Dall’altro, ha attuato una serie di indagini antidumping su prodotti strategici per l’economia europea, come il cognac francese, i latticini e la carne suina spagnola.

Queste indagini rappresentano una mossa precisa per colpire settori chiave dei paesi europei, sfruttando la diversità delle economie nazionali e esercitando pressione sui paesi membri dell’UE affinché rivedano il proprio sostegno ai dazi.

La decisione europea di imporre dazi differenziati sui vari produttori cinesi è nata dall’accusa che le aziende cinesi godano di massicce sovvenzioni statali, capaci di garantire loro una significativa competitività nel mercato europeo. Il regolamento, pubblicato ufficialmente il 29 ottobre, stabilisce aliquote differenziate: dal 7,8% per i veicoli Tesla prodotti a Shanghai, fino al 35,3% per il marchio SAIC, con un dazio medio del 20,7% per gli altri marchi, come Geely e BYD.

Secondo Bruxelles, tali misure mirano a riequilibrare il mercato, proteggendo un settore cruciale per l’Europa, che dà lavoro a circa 14 milioni di persone. La crescita esponenziale della quota di mercato delle auto elettriche cinesi – passata dal 2% nel 2020 a oltre il 14% nel secondo trimestre del 2023 – ha spinto l’UE a questa drastica misura per evitare un’escalation simile a quella sperimentata nel settore del fotovoltaico, dove le aziende europee furono quasi eliminate dalla concorrenza cinese.

La Cina ha condannato apertamente le tariffe europee, definendole come un atto protezionistico che viola i principi del libero scambio. Un portavoce del ministero del Commercio cinese ha dichiarato che la Cina “non approva né accetta questa decisione” e che “adotterà tutte le misure necessarie per difendere con fermezza i legittimi diritti delle aziende cinesi.” Queste parole sottolineano la ferma volontà di Pechino di non cedere alle pressioni europee e di intensificare la pressione diplomatica e commerciale sull’UE.

La Cina ha poi avviato indagini e imposto dazi provvisori sui brandy francesi, con tariffe comprese tra il 30,6% e il 39%, ed ha annunciato che sta valutando possibili aumenti dei dazi su veicoli a benzina europei con motori di grandi dimensioni. Si tratta di misure studiate per colpire settori economici specifici e sensibili all’interno dell’UE, mirando soprattutto ai principali esportatori, come Francia e Spagna.

All’interno dell’UE, la decisione sui dazi non è stata priva di opposizioni. La Germania, insieme a Ungheria, Slovacchia, Slovenia e Malta, ha votato contro, temendo che la misura possa sfociare in una guerra commerciale e che le aziende tedesche, come Volkswagen, BMW e Mercedes-Benz, rischino pesanti perdite nel mercato cinese. Altri paesi, tra cui Italia, Francia e Polonia, hanno invece sostenuto i dazi, ritenendo prioritario proteggere il settore automotive europeo e ridurre la dipendenza dalle importazioni cinesi.

La posizione ambivalente di alcuni stati membri evidenzia la complessità del rapporto con la Cina, che rappresenta sia un mercato vitale sia un competitor minaccioso. La lobby dell’industria automobilistica tedesca (VDA) ha espresso preoccupazione, avvertendo che l’UE rischia di innescare un conflitto commerciale. Molte aziende europee sono infatti profondamente radicate nel mercato cinese, il più grande al mondo per i veicoli elettrici, e temono ritorsioni che potrebbero danneggiare la loro redditività.

Nonostante la fermezza delle due parti, c’è un’opportunità di negoziato. Il commissario europeo al Commercio, Valdis Dombrovskis, ha dichiarato che l’UE è disposta a continuare le consultazioni con la Cina per trovare un accordo sui prezzi. Tra le opzioni in discussione, una possibilità sarebbe l’introduzione di “impegni sui prezzi minimi” per i veicoli elettrici cinesi venduti in Europa. Tale misura potrebbe consentire un compromesso, bilanciando la protezione delle aziende europee e l’accesso di quelle cinesi al mercato europeo.

Allo stesso tempo, alcuni produttori cinesi stanno valutando l’opzione di aprire stabilimenti in Europa per evitare i dazi, come la BYD, che ha avviato un progetto in Ungheria, e Chery, che ha stretto un accordo per costruire in Catalogna. Questo approccio, se attuato, potrebbe attenuare l’impatto delle tariffe e promuovere la creazione di posti di lavoro locali, rispondendo in parte alle preoccupazioni dell’UE riguardo all’eccessiva dipendenza dalle importazioni.

 

Tommaso Maiorca – Agenzia Stampa Italia

 

 

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