Racconto: "Le tre chiavi, come immaginiamo i templari dopo il rogo" di Elettra Puletti, II parte

 La missione di João

La mattina del 18 João e i suoi tre sergenti lasciarono per sempre la rocca. Il tempo volgeva al brutto e attraversare i Pirenei non sarebbe stato facile, ma niente avrebbe potuto fermare i quattro giovani. Decisero di fingersi pellegrini diretti a Santiago e iniziarono il lungo cammino. La stagione non consentiva di attraversare le montagne dal centro, si diressero quindi verso l’Atlantico che raggiunsero dopo tre giorni. Giunti nelle Asturie trovarono un riparo per pellegrini dove poter alloggiare e far riposare cavalli e muli. Nel gran refettorio tutti parlavano dell’arresto dei templari. João seppe le novità: in una notte i cavalieri di tutta la Francia erano stati presi; il Magister Generalis Jacques de Molay, il Siniscalco, i procuratori, i marescialli e tutti i priori rifiutavano orgogliosamente di difendersi dalle accuse infamanti di sodomia, eresia e idolatria imputate loro da Filippo. Il popolino, malgrado avesse sempre avuto munifiche elemosine ed ogni tipo di aiuto dal Tempio, sembrava essere dalla parte del re. Sempre più triste, consapevole che l’ignorante è disposto a credere ad ogni nefandezza, soprattutto se rivolta ad un mondo intriso di ideali superiori che non capisce e nel quale gli è interdetto entrare, il cavaliere tornò dai compagni e rifiutò il cibo che gli era stato offerto. Come poteva mangiare sapendo che tutto ciò in cui credeva veniva infangato ed oltraggiato? Il mattino seguente i quattro ripresero il cammino. Si erano muniti di conchiglia e bordone per far credere di essere stati a Santiago e di star tornando alle proprie case in Portogallo. Il viaggio, seppure lungo, non fu funestato da incidenti e dopo quattro interminabili giorni raggiunsero le porte della la corte di Dionigi. Una guardia li fermò João allora si tolse la chiave che teneva al collo e pregò di consegnarla al re sicuro che questi avrebbe capito. Perplesso l’uomo la prese e disse a quelli che sembravano pellegrini di attendere; tornò dopo pochi minuti e, inchinandosi, li fece entrare. Re Dionigi si fece loro incontro, il cavaliere gli si avvicinò e sussurrò: ”Vengo a nome del Tempio, ecco la lettera con il sigillo del Magister generalis che lo attesta”. Il re lo abbracciò poi lo condusse nei suoi appartamenti riservati. In una piccola stanza ben nascosto c’era lo scrigno. Insieme lo aprirono, dentro trovarono numerosi e precisi studi cartografici, alcune carte nautiche, molto oro ed argento ed una lettera che diceva: ” Mio buon re il tuo paese è come una barca rivolta verso il mare e proprio il mare e le terre sconosciute che di certo lambisce sono il futuro del tuo regno. Aiuta i miei cavalieri così come loro hanno aiutato la tua gente nella Reconquista e sarai certo ricompensato. Alcuni templari del nord, esperti naviganti, dovrebbero essere già in Algarve ad aspettare di mettersi ai tuoi ordini. Salva i miei fratelli e che tu sia benedetto.Jacques de Molay”

Re Dionigi, con le lacrime agli occhi giurò solennemente che nel suo regno nessun templare sarebbe stato processato. L’ordine avrebbe dovuto cambiare nome, restare per qualche tempo in disparte, ma non sarebbe certamente stato sciolto. Il vecchio appellativo di Poveri Cavalieri di Cristo che gli era stato dato all’origine poteva essere ripristinato: il Portogallo avrebbe avuto l’Ordem de Cristo. La missione di João era terminata, i confratelli portoghesi erano salvi, il Tempio non sarebbe morto!

Dalla fantasia alla storia:

L’ordem de Cristo nacque ufficialmente nel 1314 e raccolse oltre ai templari portoghesi molti cavalieri sfuggiti alla persecuzione. Ai primi del 1400 il figlio di João I Avis, l’Infante dom Henrique o Navegador divenne Regeador e Governador do Maestrado da Ordem da Cavaleria de Nosso Senhor Jesus Cristo cioè gran maestro dell’Ordine di Cristo; grazie alla sua preveggenza, alle conoscenze e alle immense risorse finanziarie dei templari aprì la strada alle grandi scoperte portoghesi. Istituì la facoltà di astronomia presso l’università di Coimbra per lo studio delle stelle in navigazione La sua scuola di Sagres in Algarve ideò e costruì la prima caravella. Si devono agli uomini di Enrico il Navigatore il cui motto era “navigare è indispensabile, vivere non è indispensabile” le scoperte di Madeira, delle Azzorre, di Capo Verde e l’esplorazione delle coste occidentali africane. Alla morte di Enrico il Navigatore le esplorazioni e le scoperte continuarono. Tutte le caravelle portoghesi hanno sempre avuto dipinta sulle vele la croix paffée, la croce patente dei templari.

La missione di Roger

Roger era perplesso. Perché gli si ordinava di andare proprio da Robert Bruce, uno scomunicato[5], un uomo che re Eduardo d’Inghilterra aveva duramente sconfitto nella battaglia di Methven? Ma bisognava ubbidire e così la mattina del 17, dopo una breve colazione, si mise in cammino insieme ai suoi sergenti. Bisognava arrivare al mare, trovare una nave ed imbarcarsi per raggiungere la Scozia. La sera del terzo giorno di viaggio i quattro si fermarono in una locanda sulla strada. Mentre mangiavano in silenzio zuppa di farro, formaggio e fichi secchi, furono avvicinati da un uomo ben vestito, dal viso scurito dal sole e dalla salsedine, sicuro indice di una vita passata sul mare, che chiese di potersi sedere alla loro tavola. Per non creare sospetti i ragazzi, con un segno annuirono. Il nuovo venuto si accomodò e, con un forte accento veneziano, cominciò a chiedere di dove venissero e se avevano saputo quanto era appena successo ai templari. Insospettito Roger affermò di aver sentito solo delle voci, ma che non aveva idea di quanto fosse realmente accaduto. A questo punto l’uomo quasi per caso disse: “Poveri diavoli rossi, cavalleria celeste semper, non pensate?”e fissò i quattro che all’unisono chiesero “chi siete, cosa volete, perché chiamate così i cavalieri del Tempio?”Il marinaio sorrise perché finalmente aveva trovato le persone che cercava. Si palesò ai suoi interlocutori: apparteneva alla Repubblica di Venezia e, come tanti altri dislocati nella vicinanza dei porti atlantici, attendeva un templare da condurre in Scozia, lui aveva avuto fortuna e lo aveva trovato. Venezia era molto legata all’Ordine al quale doveva molto. La sua flotta, infatti, aveva trasportato pellegrini e cavalieri in Terra Santa durante le Crociate e ne aveva avuto enormi vantaggi; al doge Pietro Gradenico in segreto era stato richiesto di aiutare un templare a concludere una missione che sembrava essere vitale e lui aveva giurato di farlo. Marco, così si chiamava il marinaio, disse che una nave della Serenissima era in attesa ben nascosta in un’insenatura; assicurò Roger che l’indomani mattina ce lo avrebbe accompagnato e gli fece vedere il sigillo della precettoria templare di Venezia per far sì che lo credesse e avesse fiducia in lui.
La mattina seguente i quattro guidati da Marco si misero nuovamente in cammino e giunsero al mare solo in piena notte. Sulla spiaggia erano in attesa due robusti marinai che li fecero salire su un battello e li portarono fino alla nave in attesa. Il capitano li accolse affettuosamente disse loro con orgoglio che un suo antenato era stato un Cavaliere e che era morto combattendo i mongoli nella battaglia di Liegnitz[6]. Li avrebbe condotti in Scozia in tutta sicurezza, poiché nessuno avrebbe osato fermare una nave che innalzava il vessillo della Serenissima. I quattro giovani ringraziarono e furono accompagnati nella parte della prua che era stata predisposta per loro con tutti i confort dovuti a personaggi di rango, c’era perfino una piccola cappella dove potersi ritirare in preghiera.

Il periodo non era certo dei migliori per andare per mare, soprattutto se si era diretti al nord. Pioggia, vento, nebbia e anche qualche fiocco di neve accompagnarono la nave per tutto il tragitto, ma i marinai erano esperti, coraggiosi e disciplinati e dopo dodici giorni, senza intoppi, finalmente giunsero sulle rive scozzesi. Marco e il capitano salutarono Roger e i sergenti, offrirono loro caldi mantelli, viveri e un salvacondotto della Repubblica di Venezia. Grato il cavaliere ringraziò, li abbracciò e si avviò alla ricerca di Robert Bruce.

Arrivati alla più vicina locanda i quattro giovani, fingendosi viaggiatori veneziani, si unirono agli avventori scozzesi chiesero quale fosse la situazione e dove poteva trovarsi re Bruce.Seppero che aveva da tempo lasciato l’isola di Rathlin dove si era ritirato dopo la sconfitta di Methven e che era a Aberdeenshire. Grazie alle numerose birre offerte da Roger il locandiere ed i suoi clienti non smettevano più di parlare; brindarono all’indipendenza della Scozia, alla memoria dell’amato Willian Wallace[7], alla morte di Eduardo I, inveirono contro il re di Francia e contro il papa suo fedele cagnolino e più d’uno disse che sarebbe volentieri andato a liberare i templari, sempre vicini alle istanze della Scozia.

Soddisfatti delle notizie ottenute i quattro andarono a riposare e il mattino seguente partirono per Aberdeenshire.

Il castello di Robert era circondato da uomini armati che si fecero incontro a Roger e i suoi sergenti e sgarbatamente chiesero chi fossero e cosa volessero. Il cavaliere mostrò immediatamente il salvacondotto fornito dal capitano della nave della Serenissima e chiese di poter conferire con il re per comunicazioni importanti; dette poi a quello che sembrava essere il capo la chiave che si tolse dalla catena che aveva al collo.

“Mostra questa al tuo re ed egli ci accoglierà con gioia e con il rispetto che ci è dovuto” disse Roger seccato per la strafottenza dimostrata dai soldati. Il tono imperioso sortì i suoi effetti, infatti immediatamente l’uomo al quale era stata data la chiave entrò nel castello; poco dopo tornò di corsa dicendo che il re stava venendo loro incontro. Robert Bruce li accolse sulla soglia, li fece immediatamente accomodare e ordinò ad uno dei servi accorsi di portare birra, miele e frutta e dichiarò che non voleva essere disturbato per nessun motivo. Dopo aver portato quanto richiesto i servi se ne andarono chiudendosi la pesante porta alle spalle. A questo punto Roger si presentò e chiese dello scrigno. “Dopo quanto è successo in Francia ero certo che sareste venuti. Lo scrigno è qui ben nascosto, mi ha seguito in tutte le mie peregrinazioni Devo confessarvi che ho tentato in tutti i modi di aprirlo, ma senza successo. Ora finalmente saprò cosa Jacques de Molay vuole da me. Ho giurato che farò quanto mi si chiede, soprattutto se dovrò andare contro il papa e Filippo.”. dichiarò con enfasi Robert. Accompagnò i quattro nelle segrete del castello dove, ben celato sotto una catasta di legna e pietre, c’era lo scrigno. Fu aperto e dentro molte monete d’oro, i documenti attestanti i debiti di Bruce strappati, un cofanetto dorato con incise lettere nell’antica lingua dei celti chiuso e ben sigillato ed una lettera del Magister Generalis che diceva: “Caro Robert, vecchio imbroglione, re senza regno e senza Dio, a te, proprio a te affido i miei cavalieri di Scozia e tutti quelli che, anche da terre lontane, ti chiederanno asilo; difendili e loro saranno al tuo fianco nella lotta infinita contro l’Inghilterra. Chiama a te Henry Sinclair de Rosslyn, la sua famiglia ha tra i suoi gloriosi antenati il nostro amato fondatore Hugh de Payen; lui stesso è un uomo dell’Ordine e affidagli il cofanetto e la tua vita, così avrai il tuo regno e la Scozia sarà indipendente e libera. Tieni infine Roger con te ed accetta i suoi consigli. Malgrado tu sia stato scomunicato, io ti benedico. Jacques de Molay.”

Robert avrebbe voluto aprire il cofanetto, ma Roger glielo impedì. Un messaggero fu immediatamente inviato da Sinclair per invitarlo a presentarsi al più presto. Giunse il mattino seguente, assicurò il suo aiuto a Bruce, prese il cofanetto e, malgrado le insistenze di Robert non volle aprirlo, abbracciò il templare e tornò nelle sue Orcadi. La missione di Roger era compiuta.

Dalla fantasia alla storia:

Il 23 e 24 giugno 1314 Robert Bruce nella battaglia di Bannockburn sconfigge definitivamente le truppe inglesi di re Eduardo II ( il padre Eduardo I era morto il 7 luglio 1307). Sinclair partecipò con 9000 uomini. L’assalto finale della sua cavalleria formata da “cavalieri dal bianco mantello”, evidentemente templari, fu decisivo per dare agli scozzesi la vittoria e a Bruce il titolo incontestato di re di Scozia. Un discendente di Henry, William Sinclair nel 1446 fece costruire la gotica cappella detta di Rosslyn, terzo tempio di re Salomone, che affascina ancora per i suoi simboli templari e per i misteri che l’avvolgono.

 

La missione di Boemondo

Il viaggio per Boemondo si presentava lungo e irto di difficoltà. Per trovare una nave che lo portasse fino in Sicilia doveva raggiungere Marsiglia o Genova, attraversare cioè la Francia dove le truppe di re Filippo erano a caccia di possibili templari sfuggiti alla cattura. Il giovane ed i suoi sergenti partirono il 16 ottobre con i loro cavalli e dei muli carichi di mercanzie, avevano pensato di fingersi mercanti; decisero di evitare le strade più trafficate e presero quindi per i boschi. La notte dormivano all’addiaccio; poiché ai templari era proibita la caccia, tranne quella ai leoni, si nutrivano di ciò che si erano portati dalla rocca e di quanto la natura poteva loro offrire. Il viaggio durò dieci lunghi giorni durante i quali Boemondo non smise di pensare al perché lo avevano destinato a raggiungere proprio Federico d’Aragona. João era andato da un re, Roger da un quasi re lui invece doveva incontrarsi con un personaggio che aveva sì un titolo reale, ma inventato per lui: re di Trinacria e il re di Napoli Carlo d’Angiò continuava a mantenere anche il titolo di re di Sicilia! Inoltre alla sua morte avrebbe dovuto restituire l’isola agli angioini[8]. Una notte finalmente pensò di aver capito e immensa fu la sua gioia. Federico e la Repubblica pisana erano l’ultimo baluardo ghibellino della penisola italica, inoltre il re di Trinacria era in lotta aperta contro Filippo ed il papa. Clemente aveva abbandonato Roma quindi lo Stato pontificio non aveva più un capo, Federico forse era destinato a riunire sotto di sé tutti i piccoli stati italiani e fare dell’Italia una sola nazione, così come lo stavano diventando Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra e forse anche Scozia.

La sera del decimo giorno i quattro giunsero finalmente a Marsiglia. Presero alloggio in una locanda ed il mattino successivo si recarono al porto in cerca di una nave che facesse rotta per la Sicilia. Parlarono con alcuni marinai che indicarono loro il luogo di riunione dei capitani. Era una bettola dove donne dalle ampie scollature mescevano vino e accettavano carezze e monete ridendo sguaiatamente. Boemondo chiese ad alta voce se c’era qualcuno disposto a portare lui ed i suoi amici in Sicilia. Gli si avvicinò un uomo non più giovanissimo che disse di essere il capitano della “Stella maris” veliero della Repubblica di Genova e che, se i venti lo avessero permesso, sarebbe partito per l’Africa il 30 ottobre, ma avrebbe fatto scalo anche in Sicilia e lo invitò a sedere accanto a sé. Una volta accomodatosi spiegò che il viaggio sarebbe costato molto ai quattro, Il giovane lo rassicurò, erano mercanti, avevano concluso buoni affari quindi avevano di che pagare ed avevano fretta di raggiungere la Sicilia. Fu invitato a bere, ma declinò garbatamente, una delle ragazze della bettola gli si avvicinò, lui finse di non vederla e continuò a parlare con il loquace capitano. Seduti ad un tavolo in ombra cinque uomini, marinai senza ingaggio, cacciati dal loro capitano perché indisciplinati, sempre pronti alla rissa e privi di ogni sentimento umano, seguivano con interesse la conversazione tra i due. I modi del giovane li avevano insospettiti, sembrava troppo educato per essere un mercante in più non aveva accettato né il vino né le attenzioni della ragazza e dimostrava di aver una gran premura di lasciare la Francia. Poteva trattarsi di un templare? Re Filippo offriva grosse somme a chi trovava un cavaliere sfuggito ai suoi soldati, quindi valeva la pena indagare, ma con molta cautela poiché se veramente si trattava di un templare attaccarlo era assai pericoloso, uno solo valeva per cento, lo sapevano tutti! Quando Boemondo con i suoi sergenti uscì dalla bettola uno dei cinque lo seguì, gli altri quattro andarono alla ricerca di rinforzi in previsione di un possibile agguato. I giovani entrarono nella locanda dove avevano preso alloggio e si diressero in silenzio nella loro stanza; l’inseguitore si mise in attesa e quando uscì uno dei servi gli dette una manciata di monete e chiese informazioni sugli ospiti appena entrati; il ragazzotto, ben felice per quel guadagno inaspettato, raccontò che erano arrivati sporchi di fango e stanchi, che non avevano merci, ma sembravano avere notevoli disponibilità finanziarie, che mangiavano frugalmente e non bevevano niente di alcolico, che non parlavano se non tra loro, non gridavano mai, ma sembravano molto interessati a quanto intorno a loro si diceva circa l’arresto dei templari senza però mai partecipare alle conversazioni, indicò inoltre la stanza che era stata loro assegnata. Il marinaio soddisfatto attese i suoi complici. Se non si trattava di templari erano sempre persone ricche e uccidendole lui e i suoi compari sarebbero entrati in possesso di un bel po’ di denaro. Senza difficoltà si sarebbero sbarazzati dei quattro cadaveri, avrebbero dato al servo, ormai complice, quanto dai quattro era dovuto per l’alloggio da consegnare al locandiere e nessuno avrebbe più pensato a quegli stranieri venuti da chissà dove. Il piano era ottimo e lui ed i suoi amici erano uomini avidi e senza scrupoli, quello non sarebbe certo stato il loro primo omicidio. Arrivarono infine gli altri marinai, erano in venti armati di coltellacci, spade, bastoni e falcioni. Piano entrarono nella locanda e arrivarono alla stanza dei quattro che, uditi leggeri rumori si erano svegliati; la porta si aprì prima che avessero impugnato le spade. Cominciò una vera battaglia, i marinai gridavano “Dai al templare, dai all’eretico.”Boemondo e i suoi sergenti, ormai scoperti, lanciarono il loro grido di guerra “Non nobis Domine, non nobis, sed nomine tuo da Gloriam” e combatterono come leoni, uccisero, ma furono uccisi; alla fine del combattimento venticinque cadaveri erano sparsi sul pavimento. Una delle sguattere della locanda il mattino seguente entrò nella stanza per le pulizie e alla vista di tutto quel sangue cominciò a gridare istericamente; subito il locandiere accorse, si rese conto di quanto era accaduto e, per non aver problemi, decise di sbarazzarsi dei morti. Chiamò i servi più fedeli e fece preparare un carro, avrebbe fatto gettare i cadaveri in mare. Si avvicinò ai morti e arrivato davanti al corpo di Boemondo, irriconoscibile a causa delle innumerevoli ferite, si accorse che portava appesa al collo una chiave che stringeva con la mano ormai gelida. Tentò di appropriarsi dell’oggetto così bello e prezioso, ma la mano del morto glielo impediva, non c’era modo di smuoverla, la stessa chiave sembrava viva, non voleva lasciare il suo padrone, scintillava e quando il locandiere cercò di toccarla divenne quasi di fuoco. Terrorizzato l’uomo si allontanò, c’era un mistero in quella chiave, un legame profondo con chi l’aveva posseduta e che forse era morto proprio per difenderla, era quindi giusto che restasse con lui per l’eternità.

La notte due servi condussero il carro fino al mare e vi gettarono i corpi. Boemondo e la sua chiave scomparvero per sempre.

In Sicilia Federico, venuto a conoscenza di quanto stava accadendo ai templari, attendeva l’arrivo di un messaggero dell’Ordine con la chiave che avrebbe finalmente aperto lo scrigno che da tempo gli era stato affidato. Quando seppe che il 18 marzo del 1314 il Gran maestro Jacques de Molay e il precettore di Normandia Geoffrey de Charnay erano stati messi al rogo perse le speranze. I problemi interni al suo regno e la lotta continua con gli angioini fecero sì che pensasse solo di rado allo scrigno e al suo nascondiglio. Ammalatosi nel giugno del 1337 tentò di raggiungere Catania per comunicare al figlio Pietro l’esistenza dello scrigno, ma morì il 25 a Paternò in un convento degli ospitalieri e certo a loro non poteva parlare del suo segreto. Lo scrigno andò perduto così come ormai perduta era la sua chiave.

Dalla fantasia alla...fantasia con il rimpianto per qualcosa che sarebbe potuta accadere o meglio che mi sarebbe tanto piaciuto fosse accaduta. La chiave avrebbe dovuto aprire lo scrigno contenente la prova che il Constitum Costantini, la Donazione di Costantino, era un falso, che al papa non spettavano le insegne imperiali e la sovranità temporale (Disgraziatamente troppo tardi si è scoperto che il documento era stato redatto solo dopo l’800) e che quindi i pontefici non avevano alcun diritto di intromettersi nelle decisioni interne degli stati. Con l’aiuto dei templari e con la cancellazione dello Stato pontificio, costruito su un falso storico, la nazione italiana poteva nascere già all’epoca.

Elettra Puletti per Agenzia Stampa Italia

Parte prima: http://agenziastampaitalia.it/cultura/cultura-2/32338-racconto-le-tre-chiavi-come-immaginaimo-i-templari-dopo-il-rogo-di-elettra-puletti

[5] Robert Bruce fu scomunicato nel 1306 per aver accoltellato John Comyn, l’altro pretendente al trono scozzese, all’interno di una chiesa. Non lo uccise, lo finirono i suoi baroni davanti all’altare.

[6] Il 9 aprile 1241 i cavalieri teutonici, i templari e le truppe polacche e tedesche al comando del duca di Slesia Enrico II si opposero all’Orda mongola. La battaglia contò decine di migliaia di morti, ma i mongoli desistettero dall’occupare l’Occidente e si diressero a sud ovest. Degli oltre 500 cavalieri templari presenti se ne salvarono solo 33.

[7] Sir Willian Wallace, a torto considerato un popolano, fu un indomabile condottiero durante tutta la guerra d’indipendenza della Scozia; al contrario di Bruce non si sottomise mai agli inglesi. Tradito da un nobile scozzese amico di re Eduardo fu imprigionato, consegnato agli inglesi che dopo un processo farsa lo impiccarono e poi squartarono. E’ ancora oggi considerato tra i più grandi eroi scozzesi.

[8] La pace di Caltabellotta del 31 agosto 1302 sanciva il ritorno della Sicilia al regno di Napoli alla morte di Federico III, cosa che, però non avvenne poiché nel 1321 Federico associò al trono il figlio Pietro.

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