Amore e Odio tra il Duce e il Vate

(ASI) Chieti - Un rapporto di amore e odio, quello tra il Duce Benito Mussolini e il Vate Gabriele d'Annunzio.

Un rapporto, quello tra il poeta immaginifico e lo statista in parte basato sulla stima reciproca tra i due personaggi protagonisti della storia d'Italia nella prima parte del Novecento, in parte segnato dalla rivalità tra i due, con il capo del Fascismo che non voleva  inimicarsi d'Annunzio che da sommo poeta dell' Italia Vivente era diventato un mito nel primo dopoguerra, un punto di riferimento per quegli italiani che avevano speso gli anni migliori della propria vita per la Patria durante la Grande Guerra, guidati da quegli ideali nazionalistici e patriottici insiti nell'Interventismo e nell'Arditismo, che collegavano attraverso un sottile filo l'adunata fascista di Piazza San Sepolcro a Milano con Fiume Città di Vita (di cui parla lo studioso dannunziano Ruggero Morghen nel suo libro, edito da Tabula Fati di Marco Solfanelli), ma anche il socialismo rivoluzionario che sfocerà nel Fascismo ( in cui in seno allo Stato nazionale la lotta di classe fra borghesia e proletariato viene meno sacrificata sull'altare del supremo interesse della Patria e si trasferisce nella lotta fra popoli capitalisti e popoli proletari) col socialismo rivoluzionario fiumano ben visto  dall'Urss che tenterà di mettere vanamente Gabriele d'Annunzio alla guida dei movimenti rivoluzionari socialisti in Italia, come dimostra l'incontro al Vittoriale degli Italiani fra il ministro degli esteri sovietico Cecerin e il Vate che tanto allarmò la Chiesa Cattolica, la monarchia e i capitani d'industria del Nord Italia e porterà questi ultimi a stringere alleanza con il Fascismo e a favorire cosi la Marcia su Roma, a discapito del d'Annunzio e dei suoi legionari che rimasero fermi nelle loro sedi in quei momenti storici per il Paese.

A tal proposito, chissà che sarebbe successo se il d'Annunzio non fosse precipitato da una finestra del Vittoriale ad agosto del 1922, ossia pochi giorni prima del previsto incontro politico a tre tra Nitti Mussolini e d'Annunzio; probabilmente la storia d'Italia avrebbe preso in quei frangenti una piega diversa. Il cosiddetto "Volo dell'Arcangelo" del 13 agosto 1922 resta uno dei tanti misteri insoluti dell'Italia contemporanea.

Comunque sia, appare evidente che il rapporto fra Mussolini e d'Annunzio, essendo principalmente basato su ragioni politiche, è influenzato dalla situazione politica del momento.

Infatti, se nel periodo dell'Interventismo, ma soprattutto della "Vittoria Mutilata", Mussolini si rivolgeva in modo reverenziale e rispettoso verso il d'Annunzio che considerava il punto di riferimento ideologico (da cui, tra l'altro, il Fascismo prese riti e simboli, ovviamente adattandoli ai propri interessi), con la fine dell'Impresa di Fiume i rapporti tra i due divennero più tesi allorché le camicie nere non fecero nulla per aiutare la Reggenza del Carnaro (e d'Annunzio scrisse a Mussolini una lettera assai critica), come durante la Marcia su Roma, allorché d'Annunzio rimarcò la sua fedeltà al Re, scrivendo a Mussolini che intanto cercava di approfittarsi degli esiti nefasti della Vittoria Mutilata: "La Vittoria ha gli occhi chiari di Pallade, non la bendate".

A tal proposito, ho scritto su LaNotizia.net in "Patria Risorta col Risorgimento muore con Gabriele d'Annunzo: "Addirittura, si dice che prima della Marcia su Roma ci sono stati dei gerarchi fascisti che volevano sostituire Benito Mussolini con Gabriele D’Annunzio alla guida del PNF, non condividendo l’accordo fatto dal capo del Fascismo con gruppi di socialisti rivoluzionari e di tentennare nella presa del governo e delle sorti della Patria.

A capeggiare la fronda fascista pro dannunziana Dino Grandi (1895-1988), il triumviro Italo Balbo (1896-1940) e altri ras locali. Viene avanzata la proposta di un “blocco fascista Veneto-Emiliano-Romagnolo-Tosco- Umbro con quotidiano proprio”.

Grandi e Balbo, per questo loro progetto scelsero come guida proprio il Vate, così ai primi di autunno del 1921 si recarono segretamente alla villa di Gardone Riviera, cercando inutilmente di convincere d’Annunzio a prendere la guida dei fasci, approfittando del raduno nazionale di ex combattenti del 4 Novembre, anniversario della Vittoria, per dare l’avvio ad una Marcia su Roma coordinata da Gabriele d’Annunzio anziché da Benito Mussolini.

Il Vate, che li aveva ricevuti vestito da sacerdote romano a capo coperto rispose alla loro proposta: “Fratelli, prima di prendere una decisione così grave, debbo consultare le stelle”, e li rimandò all’indomani. Il giorno dopo disse loro che “le stelle, coperte dalle nuvole, non si sono rivelate” e così andò avanti per quasi una settimana, finché Grandi e Balbo rinunciarono. Furono momenti importanti per la sorte della Patria".

Ma, misteri della storia, se d'Annunzio aveva così tanti seguaci anche fra i fascisti, perché si è pressoché ritirato a vita privata nel Vittoriale degli Italiani? 

In parte ciò è dovuto sicuramente alla incertezza politica che regnava in quel momento in Italia, in parte al fatto che il d'Annunzio non ebbe gli appoggi di Mussolini fra i poteri forti, in parte perché in questo modo il d'Annunzio esprimeva passivamente il suo dissenso alla politica del Regime, in parte perché dopo la fine della Reggenza Italiana del Carnaro il Vate non più giovanissimo si sentiva stanco e, infine, perché il poeta - soldato da sempre indebitato e costretto ad andare via anche dalla Casetta Rossa di Venezia, ottenne dallo Stato Italiano il titolo di Principe di Montenevoso e un vitalizio che gli permetteva di vivere come un signore rinascimentale al Vittoriale degli Italiani (coronando uno dei sogni di gioventù del d'Annunzio poeta - esteta edonista), accontentandosi (si fa per dire) di entrare nel mito, come il Vate d'Italia, incarnazione vivente della Patria e  quindi come ultimo dei padri del Risorgimento, soddisfacendo l'ego del d'Annunzio superomista.

Moralmente e culturalmente il Vate si sentiva superiore a Mussolini, ma il denaro era indispensabile per la vita inimitabile di Gabriele d'Annunzio e il Duce glielo fece avere, sperando di essere ricevuto al Vittoriale degli Italiani per avere un riconoscimento e una legittimazione politica del Fascismo da parte del Vate. Il d'Annunzio glielo concesse dal 25 al 27 maggio 1925, ma Mussolini non fu accolto a braccia aperte come il salvatore dell'Italia come sperava, anzi dopo due ore di attesa fu preso in giro con comiche dissertazioni filologiche, come quella di cercare una parola italiane che corrispondesse al bidet francese. A un certo punto del discorso, il d'Annunzio interpellò un seccatissimo Mussolini, per sapere come lo chiamassero in Romagna e Mussolini gli rispose imbarazzato che i romagnoli non l’usavano. Per il Vate, ogni occasione era utile per rimarcare con i suoi discorsi una sua superiorità sociale e culturale.

Nel 1919, quello che diventerà il Duce e quello che era già il Vate, avevano in comune l'amore per la Patria, l'esaltazione del patriottismo italiano e le origini socialiste, ma per cultura, formazione, mentalità e idee politiche, erano completamente diversi: entrambi provenivano dalla provincia italiana, ma sé Mussolini veniva dai ceti popolari ed era un maestro elementare, il d'Annunzio era di estrazione notabile ed aristocratica (il padre era Stato Sindaco di Pescara e lui era stato già deputato) ed è uno degli intellettuali più conosciuti del suo tempo; Mussolini e d'Annunzio non sono coetanei e dunque si trovano in una fase della vita diversa, Mussolini era più giovane e umile, aveva fame di affermarsi, il d'Annunzio più maturo, era già comunque sia una personalità affermata e molto più sicura di sé (pertanto, il Vate, quando Mussolini prese il potere con l'appoggio anche della monarchia, vedendosi riconoscere glorie, onori e ricchezze dallo Stato decise di restare a fare il Principe di Montenevoso al Vittoriale in attesa di una nuova opportunità che non ci sarà); infine la figura di Mussolini rassicurava maggiormente l'ambiente più conservatore italiano,  marito e padre esemplare (nonostante le scappatelle extraconiugali in puro stile italico), aveva accettato di buon grado di fare compromessi con i poteri forti, mentre il d'Annunzio famoso per il suo stile di vita libertino e senza regole e limiti, di certo ispirava meno fiducia ed era meno favorevole a compromessi a scatola chiusa. 

Così, il dado fu tratto e il 28 ottobre 1922 le camicie nere del Fascismo, guidate dai quadrumviri De Bono, De Vecchi, Bianchi e Balbo, presero il potere in Roma.

Ma, anche durante il Regime continuarono fra alti e bassi i rapporti fra Mussolini e d'Annunzio: quando ci fu il delitto Matteotti, verso la fine di luglio del 1924 le cose per il Duce sembrarono volgere al peggio, e il deputato socialista ed eroe pluridecorato della Prima Guerra Mondiale Tito Zaniboni (noto per aver ricoperto alla caduta del Regime l'incarico di alto commissario per le sanzioni contro il Fascismo) dichiarò su "Il Mondo" che d’Annunzio aveva scritto in una lettera a un legionario di essere "molto triste di questa fetida ruina"; il poeta non smentì, ma neanche confermò, d'altronde non voleva fare un torto a Mussolini che gli aveva anche fatto concedere dal Re Vittorio Emanuele III il titolo di Principe di Montenevoso, ma neanche deludere i suoi seguaci antifascisti. Quando il Vate fu accostato a personaggi politici dell'Aventino, al dire il vero, neanche Mussolini fu tenero con d'Annunzio (controllato sempre dalla polizia politica durante la sua vita al Vittoriale) e scrisse in toni velatamente minacciosi "...Mi viene tra i piedi quello che si definisce poeta dell' Italia vivente e vuole anche lui salvare la Patria". Alla fine il Vate fu costretto a smentire gioco forza qualsiasi collegamento con gli antifascisti.

Ma, successivamente, il 25 luglio 1934, con l'opposizione dell'Italia alla annessione dell'Austria al redivivo Reich tedesco col Nazismo di Adolf Hitler (che in modo dispregiativo d'Annunzio paragonava a un imbianchino e a un pagliaccio feroce), poi con la guerra d'Etiopia e la proclamazione dell'Impero, i rapporti fra d'Annunzio e Mussolini tornarono buoni, per poi raffreddarsi definitivamente con l'avvicinarsi dell'Italia Fascista alla Germania Nazista nel 1937- 1938.

 

Cristiano Vignali - Agenzia Stampa Italia

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