Uno dei settori su cui l’avanzata islamica potrebbe determinare le novità maggiori è sicuramente quello relativo all’economia ed alla finanza.
Negli ultimi due anni oltre all’avanzata demografica degli immigrati in Europa è stata registrata anche un forte crescita della finanza islamica, in particolare grazie a mirabolanti operazioni portate avanti da appositi fondi sovrani dei Paesi del Golfo Persico; tra i settori che maggiormente hanno colpito l’interesse di questi nuovi investitori quello bancario, un esempio lampante è quello rappresentato dal colosso italo-europeo Unicredit, con i Paesi arabi che detengo ormai oltre un decimo dell’intero pacchetto azionario.
Queste operazioni stanno però creando un piccolo problema religioso interpretativo in questi fondi dal momento che anche l’economia, come tutti i settori della vita civile e militare di quei Paesi deve essere conforme ai dettami del Corano.
In queste nazioni la Sunnah, ovvero la corretta ed unica interpretazione del testo sacro ai seguaci di Maometto, è l’unica fonte del diritto riconosciuta; essere atei in questi paesi significa infatti porsi al di fuori della società, perdendo ogni relativo diritto. Fatta questa doverosa premessa è più facile capire perché la tanto contestata, nei paesi occidentali, Shari’ah costituisca la legge e sia considerata nella cultura islamica che, nello specifico è l’insieme di vari testi giuridici alla cui interpretazione ricorrono i giudici per risolvere le varie controversie che si presentano di volta in volta. E questo vale non solo nei Paesi più fondamentalisti ma anche in quelli più laici dove, nonostante la distinzione tra profilo laico e profilo religioso la Shari’ah continua a costituire l’inesauribile fonte del diritto.
In campo economico-finanziario gli obiettivi da raggiungere sono comuni a quelli della cosiddetta cultura occidentale, ovvero aumento dell’occupazione, crescita dell’economia e diffusione del benessere, a differire sono le intenzioni che spingono gli operatori.
Secondo il Corano infatti concetti come la proprietà, la ricchezza, il profitto derivante dall’esercizio di un qualche mestiere sono accettati, ma solo ed unicamente a condizione che questi siano stati ottenuti dopo un attento rispetto delle inviolabili norme contenute nei testi religiosi.
L’avidità è fortemente vietata in quanto, secondo gli islamici, genera fenomeni deprecabili quali l’azzardo, la speculazione, il commercio immorale e, soprattutto, la concentrazione di ricchezza nelle mani di un numero ristretto di persone. Il profitto è invece tollerato ma purché derivante da transizioni riguardanti beni reali e non meramente finanziarie.
Tutta queste serie di rigide norme ovviamente incide anche sull’attività delle banche islamiche, molto distanti da quelle con cui occidentali siamo abituati a rapporti quasi quotidianamente.
Quattro in particolare sono i dettami religiosi che determinano la differenza tra le banche del mondo occidentale e quelle del mondo islamico.
Per i mussulmani è infatti vietato praticare la riba, ovvero l’usura, la gharar, ovvero l’incertezza, il masir, la nostra speculazione, e l’haram, l’insieme di tutte le attività considerate illecite. La grande differenza è data infatti sopratutto dal fatto che per il Corano non si possono ottenere interessi sui prestiti, con la Shari’ah che vieta espressamente, come già anticipato, la riba, che letteralmente significa aumento.
Il divieto di ottenere più denaro di quello inizialmente prestato si estende praticamente a tutti i campi, anche a quei negozi giuridici nei quali è insito lo sfruttamento speculativo di una qualche situazione d’incertezza, dalla quale può derivare un ingiusto guadagno.
Regolati dal Corano anche i contratti, dal momento che la legge sacra invita ai fedeli a porre per iscritto tutti gli accordi presi con persone terze. Questi contratti, inoltre, devono essere chiari, precisi, documentati per evitare ogni possibile incomprensione o ambiguità inoltre l’oggetto che vanno a regolamentare deve necessariamente essere religiosamente lecito, pena la decadenza immediata per via di una profonda irregolarità.
Per la Shari’ah inoltre il fedele osservante dei dettami religiosi deve onorare i propri contratti e quindi venire meno agli obblighi assunti in modo ufficiale significa venire meno alle leggi del profeta ed equivale a commettere un reato.
Nei contratti non partecipativi, ovvero dove ambo le parti hanno diritto a eventuali guadagni o rispondono ad eventuali perdite, gli istituti bancari assumono la veste di fornitori di servizi e beni reali.
In pratica la banca islamica concede i finanziamenti a chi ne fa richiesta partecipando al rischio d’impresa e percependo per questo motivo una quota, stabilita a priori, degli eventuali utili dell’impresa finanziata.
I beneficiari del mutuo invece dovranno restituire un ammontare variabile di denaro in relazione ai risultati conseguiti nell’esercizio dell’attività svolta grazie al finanziamento elargito dall’istituto di credito.
Per la legge/cultura islamica è poi immorale, e quindi vietata, ogni interesse legato alla presenza di rischio o incertezza, la gharar; da questo precetto scaturisce il divieto delle polizze assicurative.
Poiché, inoltre, tutti gli investimenti devono essere orientati in senso produttivo si ha anche il divieto di della speculazione, il maisir.
La Shari’ah proibisce inoltre gli investimenti nell’ambito di quelle attività espressamente proibite dal Corano come ad esempio la produzione e distribuzione degli alcolici, il tabacco, le armi, la carne suina ed il gioco d’azzardo.
Per quanto attiene ai conti correnti e ai conti deposito le banche islamiche ne prevedono due tipologie distinte: da una parte quelli privi di ogni qualsivoglia remunerazione e dall’altra quelli che, a pura discrezione dell’istituto bancario possono essere utilizzati per il finanziamento di attività partecipate, con conseguenti rischi per i titolari dei conti.
Qualora la profezia di Gheddafi sull’Europa nera dovesse avverarsi e le banche occidentali divenissero sempre più terreno di conquista per i fondi sovrani dei paesi arabi quindi le due culture andrebbero a scontarsi inevitabilmente.
Una eventuale vittoria del sistema economico finanziario porterebbe benefici ai cittadini, ma appare molto più realistico ipotizzare che alla fine, anche in nome di una laicizzazione forzata della cultura islamica avranno la meglio le norme economico-finanziarie di stampo occidentale.