(ASI) L’AQUILA - A Tornimparte, comune di tremila anime in provincia dell’Aquila,  la notte tra il 30 aprile ed il 1 maggio, folti gruppi di uomini danno vita al rito de “Ju Calenne”.  Ognuno di questi gruppi si reca nei boschi prossimi ai borghi del Comune per abbattere un albero non da frutto.

Una volta spogliato dei rami, “Ju Calenne” viene trasportato in paese ed alzato prima dell’alba, in prossimità della Chiesa del borgo.  Antiche tradizioni regolano lo svolgimento del Rito che esplicita una sorta di sospensione del diritto di proprietà: l’albero viene rubato ed il proprietario può rientrarne in possesso solo se sorprende gli uomini all’interno del proprio fondo o non si riesce ad alzarlo prima dell’alba.

 

Questo straordinario Rito è stato recentemente al centro di un interessante progetto editoriale a cura della One Group Edizioni di L’Aquila: Ju Calenne, L’albero del maggio a Tornimparte di Vincenzo Gianforte e Giacomo Carnicelli. Nell’agile testo di Vincenzo Gianforte, il Rito viene “fissato” nel Territorio, nei racconti dei pastori, nei gesti misurati dei carbonai. La montagna ed il bosco sono i protagonisti del racconto, essendo la culla in cui la Tradizione si è tramandata. Trova degno spazio, in questo testo, una folta pattuglia di anziani del Paese che racconta la propria interazione con Ju Calenne.  

Il racconto fotografico di Giacomo Carnicelli ripercorre le fasi del rito, e ne offre una diversa chiave di lettura: il Rito è quanto mai vivo e proiettato verso il futuro! il corposo materiale fotografico racconta i gesti del rito, sottolinea la grande partecipazione della comunità, esalta la comunione di intenti tra i vecchi ed i giovani tesa a realizzare un rito comune.

 

L’introduzione è stata curata dalla professoressa Lia Giancristofaro mentre la prefazione è opera dell’antropologo Mario Santucci. A testimonianza della coralità del progetto editoriale, coordinato dal giornalista e scrittore Angelo De Nicola, si aggiungono le note a firma del Sindaco di Tornimparte e del Presidente della Pro Loco. La scorsa edizione ha visto la partecipazione attiva del gruppo aquilano di azione civica “Jemo ‘nnanzi”, formatosi dopo il terribile sisma del 2009 con lo scopo di aggregare cittadini Aquilani sensibili alla rinascita della propria città. Ecco come Cesare Ianni, presidente di questo sodalizio, racconta questo Rito così straordinario.

 

***

 

All’imbrunire gli uomini erano tutti riuniti sul sagrato dell’antica chiesa. Sardella li chiamò uno per uno, ma non con i loro nomi, bensì con i loro soprannomi, quelli che li contraddistinguevano da generazioni, ed i loro padri prima di loro, ed i padri dei loro padri ancor prima, e così da sempre. Chiamò anche coloro che non c’erano più, che sentivano presenti, anche se non fisicamente. Tanti erano i giovani, molti più degli anziani.

 

Man mano che venivano chiamati, gli uomini si recavano sotto il portico della chiesa e adempivano alla vestizione, un altra parte del rito. Indossavano lunghi sai fatti di tela di juta, che li rendevano tutti uguali. Iniziava il corteo, preceduto dai labari, uno per ogni contrada. La lunga fila degli uomini lasciò il paese, dirigendosi verso il bosco, là dove era stato individuato il Grande Albero, quello che sarebbe divenuto ju calenne. Nel bosco fitto, nel buio della notte, arrivarono presso il Grande Albero e gli passarono intorno due lunghe funi di canapa. Il prescelto cominciò ad intaccarne la base con una grande ascia, sempre di più e sempre più profondamente.

 

Fu allora che Sardella gridò: TIRATE!

 

Come un sol uomo, tutti insieme si misero a tirare, i giovani, gli anziani, persino i bambini.

Il Grande Albero cedette a quell’enorme sforzo unanime, come inchinandosi alla volontà coesa e determinata di tutti quegli uomini. Cadde esattamente ove Sardella aveva previsto.

Cominciarono quindi a sfrondare i rami, tranne quelli posti intorno alla punta, altrimenti non sarebbe stato possibile tirare fuori dal bosco il Grande Albero.

 

Ed allora, nuovamente, tutti gli uomini tirarono e tirarono e tirarono. Muovere il Grande Albero richiedeva uno sforzo enorme, farlo girare nel fitto del bosco per arrivare alla strada era un’impresa titanica. Ma la determinazione degli uomini, il loro afflato corale, la loro volontà era tale da non poter essere fermata. Il Grande Albero arrivò infine sulla strada.

 

Gli uomini erano esausti, sfiniti, grondanti di sudore, imprecavano ed urlavano, ma si leggeva chiaramente nei loro occhi la grande soddisfazione, perché il momento più difficile e pericoloso del rito era stato superato. Ed allora tutti gli uomini si disposero da una parte e dall’altra del Grande Albero.

 

Sardella formava le coppie, secondo l’altezza e la prestanza fisica, acciocché il peso enorme fosse distribuito in modo equanime. Gli uomini, così predisposti, si guardavano negli occhi, le loro fronti quasi si toccavano, solo il tronco li separava.

 

Ad un momento si sentì un urlo, era di nuovo Sardella: PRONTI!

Tutti gli uomini, come un sol uomo, si chinarono sul tronco, afferrandolo.

Poi si sentì un altro grido: AL PETTO!

Come per incanto, come in un sogno, il Grande Albero, che con la sua mole enorme pesava tonnellate, venne sollevato come un fuscello.

Poi si sentì un altro grido: A SPALLA!

Ed il Grande Albero salì sulle spalle degli uomini, così vicini, così fitti che le loro spalle si toccavano.

Poi si sentì un altro grido: AVANTI!

 

Ed il Grande Albero avanzò, ma non lentamente, gli uomini camminavano normalmente, come un sol uomo, spinti dalla gioia del rito che andava nuovamente compiendosi. Il sudore imperlava le fronti, nonostante la notte fosse fresca e ventilata, lo sforzo era davvero enorme.

Ad un tratto si sentì un grido: SI ABBASSA, SI ABBASSA!

Erano gli uomini che, al fianco dei portatori, controllavano il cammino del Grande Albero.

Urlavano perché gli uomini di testa, quelli che portavano la base del Grande Albero e, quindi, il peso maggiore, non riuscivano a reggere più l’enorme sforzo ed il peso li spingeva inesorabilmente verso terra.

Tutti gli uomini, allora, immediatamente si fermarono e deposero il gigante a terra.

Ma fu una breve sosta, il rito esigeva tempi brevi.

E di nuovo si sentì: PRONTI!

E poi: A SPALLA!

E poi: AVANTI!

 

Ed il Grande Albero riprese il suo cammino. Arrivarono alla chiesa, dov’era gran folla di popolo, e si dovettero salire le scale per raggiungere il sagrato. Fu l’impresa nell’impresa, forse il momento di maggior sforzo, ma gli uomini, benché esausti, erano galvanizzati dal momento finale del rito, e nulla avrebbe potuto fermarli. Il Grande Albero arrivò così sul sagrato della chiesa e la sua base venne indirizzata verso una buca anzitempo predisposta.

Ed allora venne imbracato con delle funi, alcune poste anche sul campanile, e, a forza di braccia, tra le urla della folla, venne tirato su e divenne “ju calenne”!

 

Il rito si era compiuto nuovamente, e nuovamente, come da sempre, rinsaldava la comunità tornimpartese nello sforzo comune di raggiungere, tutti insieme, il medesimo obiettivo ed onorare la tradizione secolare.

 

Testo di Cesare Ianni e Giacomo Carnicelli

 fotografie di Giacomo Carnicelli

 

Il vessillo del Gruppo Aquilano di Azione Civica campeggia sulla facciata della Chiesa di San Panfilo insieme alle corde che serviranno ad issare il Maggio ed ai labari delle Contrade

Prima di procedere con il taglio occorre legare al tronco delle lunghe funi di canapa che, opportunamente manovrate dai maggiaioli, guideranno la pianta nella caduta, in modo da non farla incastrare con altri alberi

L’albero, sfrondato di tutti i rami ad eccezione della fronda apicale, viene posto su un carro e trainato a forza di braccia. Occorre molta maestria ed una buona dose di adrenalina per guidarlo tra gli stretti vicoli dei borghi!

Nell’ultimo tratto del percorso il tronco viene portato a spalla dai maggiaioli e degli attivisti di “Jemo ‘nnanzi”

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