Autobomba ad Ankara, massacro ad Abidjan, 60 vittime in due attacchi
(ASI) Sentir parlare di vittime e attentati non è certo una novità, eppure il 13 marzo ha segnato il passo per una nuova fase del terrorismo internazionale, non inaspettata, ma per questo non meno preoccupante.
In Turchia l'autobomba che è esplosa nel centro di Ankara, provocando quasi 40 vittime e circa 125 feriti, non è altro che il quarto attacco in tre mesi al presidente Erdogan che aveva di recente promesso stabilità e sicurezza. In Costa d'Avorio, Paese dove negli ultimi anni si stava consolidando una convivenza pacifica tra diverse confessioni religiose e buoni numeri dal punto di vista turistico, i cittadini sono di punto in bianco piombati in un terrore tradizionalmente proprio di altri stati africani come la Nigeria per via di Boko Haram e la Somalia per via di Al Shebaab.
Tayyip Erdogan, pur con i suoi successi elettorali, è sempre meno padrone del proprio Paese, tanto che il primo ministro Ahmet Davutoglu ha convocato subito una riunione urgente con il Capo di Stato Maggiore. Da una parte il malcontento dei cittadini di fronte a libertà sempre più limitate per questioni di sicurezza, dall'altra queste che servono a ben poco al fine di prevenire attacchi come quello appena portato a segno dai responsabili.
I primi sospetti cadono ancora una volta sui Curdi del PKK, come già era avvenuto lo scorso 17 febbraio, ma quanto è chiaro che non ci sia la matrice dello Stato Islamico, sebbene la Turchia sia malvista perfino dalla coalizione occidentale per le sue ambiguità?
Se la Ankara diventa gradualmente un capitale sempre più a rischio, tutt'altro che sorprendente è invece l'attacco di Abidjan, nota località balneare ivoriana, dove un commando armato venuto dal mare ha riversato raffiche di kalashnikov in una spiaggia dove trascorrevano le vacanze principalmente turisti stranieri.
L'attacco segna il contagio del terrorismo nei confronti dell'Africa, sebbene qui, a differenza del caso turco, la rivendicazione sia chiaramente dell'Aqim, i gruppi Qaedisti presenti nel Maghreb.
Questi combattenti non sono altro che cellule salafite nate in Algeria e diffusasi nella parte occidentale dell'Africa, marcando una chiara espansione del terrorismo in aree dove questo era stato fino a qualche tempo fa completamente assente.
Un mezzo colpo di scena che porta una nuova condizione di timore e sospetto sia a livello locale che in ambito internazionale.
Così, mentre sembra che i vertici sulla Siria e la tregua in un Paese martoriato da cinque anni di guerra, stiano andando, almeno nei propositi, nella giusta direzione, ecco che nuovi fronti e mosaici complessi si aprono e intersecano in altri fronti nevralgici dello scacchiere internazionale.
In Mali era servito l'intervento francese, in Libia lo stato anarchico della regione fa fronte alla titubanza europea e americana, in Medio Oriente la Russia ha annunciato un parziale ritiro da molte basi.
Il mondo sembra un malato asfissiato da un male contagioso e aggressivo, ma le medicine occidentali sono state finora solo pretesto per nuove metastasi, a meno che, tristemente, ogni male e ogni cura abbia perso ormai la sensibilità degli occhi del mondo, dove un giorno si annuncia un attentato, e l'indomani pure.
Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia
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