Palermo, 30° Anniversario della morte del Beato Pino Puglisi. Omelia del Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI

(ASI) Palermo - Che gioia ritrovarsi in tanti in questa magnifica Cattedrale, in comunione con il Vescovo Corrado, che ringrazio di cuore per l’invito: mi permette di condividere questa grazia con i Vescovi della Sicilia, con i confratelli di Padre Pino e con tutto il Popolo di Dio, rendendo lode a Dio per un fratello la cui beatitudine ci indica qual è la via per non perdere la nostra vita e trovare anche noi felicità.

È un amico attraente, umile e grande. Continua con il suo sorriso a farci vergognare di tanta nostra sufficienza, prudenza, paura e con la sua indiscussa passione evangelica ci spinge, individualmente e insieme, a metterci a servizio di Dio e del prossimo, a lavorare nel campo di questa nostra città, bellissima e piena di sofferenze.

Riviviamo anche il dolore e l’intimo senso di sdegno per la violenza brutale che lo ha ucciso. Quella violenza ha un nome che contiene tanti nomi, ma tutti di morte: mafia. Il suo assassinio lo unisce a tanti martiri che si sono contrapposti alla mafia e alle mafie, composte tutte da vigliacchi, da uomini senza onore, che sono forti perché si nascondono, untuosi e abili a corrompere e che si arricchiscono vendendo morte. Hanno ucciso a freddo un povero indifeso che ha solo amato e lo ha fatto fino alla fine. Il sorriso è stato la sua risposta, per certi versi il suo perdono.

Vale ancora oggi, però, per loro e per tutti noi il monito, che incute timore e tremore, lanciato con commovente sdegno e incredibile forza, proprio trenta anni fa, da San Giovanni PaoloII: “Convertitevi! Verrà il giudizio di Dio!”.
Oggi le mafie sono meno evidenti, ma diffuse e ramificate in molti Paesi, penetrate nell’economia con affari e metodi di corruzione (i regali che legano e condizionano, le minacce evidenti o raffinate, le convenienze opache o i vari modi per intimorire!). Le mafie gestiscono traffici di persone ridotte a merce, di droghe che disumanizzano e creano schiavi e schiavitù. Sono produttori di morte eguadagnano sulla morte.

E la vostra Chiesa, con Padre Puglisi e tanti testimoni, aiuta tutta la Chiesa, specialmente in Italia, a comprendere e contrastare con consapevolezza il fenomeno. Sono passati trent’anni da quel 15 settembre, giorno del suo compleanno e giorno della sua nascita al cielo, giorno nel quale la Chiesa celebra la Madre di Dio addolorata.

La nostra madre Chiesa resta con Lei sotto tutte le croci che gli uomini insensati continuano a fabbricare per distruggersi. Molti di voi custodiscono ricordi personali di Padre Pino, indelebili nell’anima. Altri, come me, non lo hanno conosciuto personalmente, ma spiritualmente e direi anche umanamente, affettivamente, perché sentiamo la sua esperienza di vita e di fede fraterna e personale. È sempre così la santità: si diffonde da sola e fa sentire amico e vicino chi la trasmette. Questa è la comunione dei santi, legame affettivo che ci unisce e supera il tempo e le distanze, generativa di vita e di amore.

La Chiesa è comunione tra i suoi figli e tra la comunità del cielo e quella della terra. La voce di Padre Pino, schiva ma chiarissima, non urlata, non esibita, da innamorato di Cristo che per questo faceva innamorare del Vangelo, ci incoraggia a spenderci per il bene e richiama le nostre coscienze assopite o pavide a non abituarci o giustificare atteggiamenti e sistemi ingiusti, disumani e non cristiani. Il male lo vincono gli umili e i semplici. Padre Pino lo ha vinto anche con il sorriso, che ricorda la gentilezza indicata da
Papa Francesco come il primo modo per essere fratelli tutti. Il sorriso mette a proprio agio il prossimo, fa sentire chi lo riceve accolto e libera dal sussiego e dall’alterigia chi si prende troppo sul serio invece di prende sul serio l’altro.
Padre Pino con il sorriso disarmato disarmava e dava cuore a chi incontrava, creava casa. Non era un prete antimafia secondo le etichette sociali e mediatiche. Peraltro, un cristiano, se è tale, è sempre contro le mafie! Era un prete, un prete buono, un cristiano, che divorava la Parola di Dio e non si è mai stancato di spezzarla per tutti e, proprio perché uomo di preghiera, combatteva per la
libertà dei suoi ragazzi. Non condannava nessuno, ma cercava di salvare tutti come poteva, più che poteva.

Non si è mai risparmiato. Amava farsi aiutare da tanti, chiedendo a ciascuno di fare un pezzo, il proprio, dando valore a questo. E lui era sempre il primo a fare la sua parte. Ecco la differenza tra il protagonista e l’umile lavoratore: il primo si serve degli altri, il secondo li serve; uno brilla di luce e la tiene per sé, il secondo accende di luce il fratello e la dona a chi è nel buio. Il primo ha sempre bisogno di farsi vedere, l’altro vuole far vedere chi non è visto, far parlare chi non è ascoltato, far conoscere la sofferenza che non trova comprensione. Le mafie, cioè il male, si vincono tutti i giorni e con un amore fedele, che educa all’amore, senza opportunismi. Nella battaglia contro il male nessuno sia lasciato solo. Penso ai presbiteri, ai religiosi,
ai laici che rischiano quotidianamente; così come penso ai magistrati e alle Forze dell’ordine che tengono fede al proprio dovere di uomini e donne dello Stato, che è di tutti e per tutti. Lo fanno ordinariamente, tutti i giorni, perché tutti i giorni siano normali la giustizia e il diritto. Abbiamo proprio bisogno di Gesù per capire e scegliere. Ci è davvero “necessario”. Anche noi oggi poniamo
la stessa domanda del Vangelo: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21). In realtà ogni persona la pone, spesso in modi contraddittori e indiretti, qualche volta inconsapevoli. Significa: «Voglio vedere Dio con noi, con me; trovare la luce nel buio, accendermi di speranza nella desolazione, afferrare la vita e vincere la morte». Anche dopo anni non smettiamo di chiedere: «Dove trovo Gesù? Aiutami a vederlo! Cerco un amico vero, che mi ama per quello che sono, che non mi usa o non giudica, ma che non mi lascia solo, uno per cui desidero essere diverso!». Gesù risponde parlando di sé in modo inaspettato. Non descrive le sue personali capacità, non convince con promesse mirabolanti o soluzioni che si impongono da sole, non mostra prestazioni indiscutibili. No! Parla di sé come di un seme. «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Per capire la vita bisogna prendere quel seme, credendo che in esso già c’è tutto il frutto che ci sarà solo perdendola, generando vita in altri, regalandola, amando. Se la teniamo per noi, possederemo sì il nostro seme ma perderemo la vita!
E l’amore è un seme che non smette di crescere e dare frutto! Gesù sembra dire: «Mi cerchi, vuoi vedermi, vuoi conoscere me e il Padre che mi ha mandato? Cerca il chicco caduto in terra. Cerchi te stesso? Lasciati cadere in terra per amore e troverai chi sei!». Se a Palermo qualcuno vuol trovare Dio, quel Dio-Amore che Gesù ha mostrato, che non finisce e dona beatitudine, oggi lo trova nel corpo caduto in terra di Padre Pino Puglisi. Lui è il chicco di grano, caduto in terra e morto e lui, amico di Gesù, ci aiuta a non avere paura di amare sino alla fine. Il suo frutto lo viviamo anche noi oggi ed è la speranza che nelle situazioni più disperate si può sempre fare qualcosa, iniziando dalle cose piccole. Il suo frutto è un Vangelo vivo che ci fa scegliere di stare, senza pericolose titubanze che rendono vulnerabili, dalla parte della giustizia e, quindi, dei ragazzi per sottrarli alla strada, pereducarli ad amare amando Gesù e rendendoli consapevoli del valore che ognuno di loro è, della bellezza nascosta in ognuno di loro, che il male però cancella.
«Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1Gv 4,20-21). È l’esigente semplicità evangelica di Padre Pino: spiritualità e umanità, fede e vita, eucarestia e amore per i fratelli piccoli di Gesù, parola letta, riletta e condivisa, cura per i poveri amati fino alla fine. Mi colpisce pensare che Padre Pino abbia inciso nella vita di tante persone, soprattutto dei giovani, soltanto spiegando il Padre nostro. L’aver fondato il “Centro di Accoglienza Padre nostro” è stato uno dei gesti evangelicamente più rivoluzionari che potesse fare.
Lo possono testimoniare i suoi ragazzi, che sono ormai adulti formati, molti dei quali sono presenti quest’oggi. Padre Pino li conosceva uno ad uno. Era loro amico. Non erano per lui una categoria o dei casi, ma dei nomi e delle storie. Diceva: «Oggi alcuni pensano che l’amicizia sia una cosa da ragazzi, una esperienza poetica di gioventù, un’idea consolatoria per chi non ha cose serie da fare, o un trucco sofisticato per fare carriera e buoni affari. Al contrario l’amicizia è l’espressione di quella briciola di sacro, di etico, di spirituale presente in ciascuno di noi». Ecco cosa chiedono a tutti i recenti fatti di cronaca che hanno ferito anche la città di Palermo: serietà, educazione a una vita bella, più bella e appassionante di quella della strada e di quella strada che sono le pornografie digitali. E soprattutto tanta comunità! Così Padre Pino ci insegna che l’amore non è possesso o fisicità senza cuore, ma è sentimento, educati da Dio che insegna agli uomini ad essere umani. Padre Pino organizzò la mostra dal titolo “Sì, ma verso dove?”. È una domanda che ci riguarda e che poniamo a tutti, in particolare ai ragazzi. «Verso l’amore gratuito, verso la fraternità e l’amicizia vera».

Verso una città umana e solidale. Verso il Regno che è già in mezzo a noi e che ci attende. «Se il chicco di grano, caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto». Padre Pino il tuo frutto rimane. Grazie, Beato Puglisi. Insegnaci a scrutare la Parola di Dio e il cuore degli uomini, a servire e amare fino alla fine, a sorridere al prossimo e a costruire tanti centri
Padre Nostro dove i giovani possano trovare il loro valore, la bellezza che hanno dentro, formare una comunità che sia una famiglia ed essere figli e fratelli. Amen.

 

 

 

 

 

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