(ASI) “La libertà è partecipazione”, cantava Gaber negli anni Settanta del secolo scorso. Il nesso stringente tra la libertà e la partecipazione costituiva, a quel tempo, il cuore pulsante della democrazia. La democrazia è l’espansione della “politica dell’esperienza”, per citare un guru della nuova psichiatra di quegli anni, Ronald Laing.
Ma l’illusione è durata poco. Dopo la sbornia antifascista e i cosiddetti “Trenta gloriosi”, dal 1948 al 1978, l’Italia si è risvegliata con un cadavere importante nel bagagliaio di una macchina, quello di Aldo Moro, e un combinato disposto di fattori non esattamente rubricabili alla voce “democrazia”. Potere al popolo, per il popolo, attraverso il popolo: ne vogliamo parlare?
Arriva poi l’anno fatale, il 1992, dopo alcuni eventi, tra i quali il divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia, che trasforma quest’ultima in un società per azioni controllata dai maggiorenti bancari privati, mentre la politica regredisce al rango di cameriera di alto rango del sovrano, che domina la società con i suoi capricci. E il “sovrano” non è quel popolo citato nel secondo comma dell’art. 1 della “Costituzione più bella del mondo” e, nella sua parte sociale, debitrice in larga misura dello Stato sociale costruito dal Fascismo. La magra consolazione degli antifascisti di oggi è urlare a gran voce “W l’Italia antifascista”, dopo aver pagato profumatamente il loggione alla Scala, assenti perfino gli ultimi “radicali di sinistra”, impegnati con Casarini e soci, complici anche alcuni Vescovi e il nuovo gruppo dirigente della Chiesa bergogliana, a far cassa sulle pelle dei migranti. Ecco, questo è lo scenario che ha fatto strame del motto cantato a suo tempo da Gaber e recitato a dovere dai militanti e dagli anarchici. Le lotte sociali degli anni Settanta, a cominciare dal movimentismo nichilista del Settantasette, hanno rappresentato l’espressione più codina dei traffici orchestrati dai maggiorenti dello Stato e dei servizi segreti. Moro ci ha rimesso la pelle e l’America aveva già mandato pieno su quest’operazione, leggi alla voce Kissinger, oggi, dopo la morte, a cento anni, venerato come semidivinità del mondo “libero”. Appunto, la libertà è “partecipazione” a questo comitato di affari internazionale. Nel 1974, Moro in visita in America, e Kissinger così reagisce di fronte al “compromesso storico” (di cui non sono mai stato né apologeta né sostenitore, ma non è questo il punto): “Se ne pentirà”. Una minaccia mafiosa e, insieme, una profezia che si autoavvera.
La condizione postmoderna, ovvero come creare la globalizzazione nichilista su base ideologica
Tutti “democratici” in quel tempo? Certo, il mondo occidentale era il cuore della democrazia e, nel 1979, due anni dopo il Sessantasette, il sociologo francese Lyotard - amico di Deleuze, Guattari e soci, nichilisti accademici d’assalto, mentori ideologici di Negri e compagnia operaista di complemento al gran completo – scriveva il famoso rapporto sulla “condizione postmoderna”. In parole povere, in quel rapporto si annunciava la fine delle “grandi narrazioni”, della verità, dei legami sociali e della politica. Al posto di tutto questo, c’erano i sentimenti, le emozioni, lo spontaneismo sociale e naturalmente i nuovi padroni del pensiero già pronti a portare a casa il risultato. Una società di sradicati e smarriti, senza più fede, verità e, in ultima analisi, libertà. Anche se la cosa fu edulcorata dicendo che, in realtà, si trattava della libertà “debole”, ma possibile, altro che progetti totalitari e totalizzanti, avanti tutta con il “micro” che si muove per favorire il “macro”. E quel “macro” era già pronto all’uso: fatto fuori il comunismo statolatrico, ecco la democrazia mercatista. La globalizzazione nasce qui, trent’anni prima della realizzazione contemporanea su vasta scala. Se per Lenin, la rivoluzione era soviet + elettrificazione, per i padroni della globalizzazione, lo schema è democrazia delle regole + società di mercato. Ecco la rivoluzione postmoderna, che poi ha assunto varie forme, dettate, soprattutto dal 2001, da una congerie di emergenze e stati emergenziali con i quali le élites dominanti nella società, nel mercato (per loro, è la stessa cosa), nella sanità e nell’Europa dei mandarini tecnocrati hanno plasmato il mondo vitale dei cittadini-sudditi, in un’orgia collettiva di terrore e paura, complici la stampa finanziata da chi gestisce questo Hotel Abisso.
Il Re è nudo
Oggi il Re è nudo, la maiuscola è d’obbligo, perché perfino il capitalismo, quello appunto “postmoderno”, detta regole auree su come deve essere l’uomo nuovo e perfetto per il sistema dominante. Anche la scuola è allineata a questo schema di dominio plasticamente avanzante nella società: l’uomo nuovo dalla culla alla bara, ieri, oggi dalla scuola materna alle secondarie di secondo grado. La natura, il genere sessuale, se sei maschio o femmina è materia di dibattito, mentre tutto il resto, il fatto che tu sia un consumatore e che questo sia il tuo Dna ontologico, che tu debba vivere con niente, e farti transitare da un mondo ecologico ad un altro, perdendo casa e risparmi, che tu debba solo far incassare soldi alle banche con la carta di credito, bestemmiando il contante, invero autentico presidio di libertà, ecco tutto questo è dogmatica pura, con vescovi esigenti pronti a battere cassa ed a dichiarare eretico chiunque osi dissentire.
L’ultimo baluardo di resistenza, la cosiddetta restaurazione della “sovranità”, avrebbe dovuto alimentare la rinascita nazionale, ma il turbocapitalismo nichilista e globalizzatore non sente storie e incorpora tutto, destra, sinistra e frattaglie laterali, tutto fa comodo al nuovo Leviatano, il “dio mortale” che tutto brama e tutto pretende, secondo l’inquietante definizione di Thomas Hobbes.
La riforma dei trattati della Ue, inclusi i documenti sulla cosiddetta “libertà digitale” è una trattatistica che fa impallidire “1984” di Orwell: la democrazia è ormai ontologicamente separata dalla libertà.
In cauda venenum
Craxi tentò la militanza sovversiva contro questa Europa, è morto per Sigonella e per la sua resistenza da patriota ragionevolmente orientato alla costruzione di un’alternativa economico-sociale al nuovo Leviatano imperante nel quadrante occidentale. Dopo di lui, da Berlusconi in poi, la politica è stata sfrattata dalla casa nazionale, il mondo è diventato un gigantesco mercato, che oggi ha preso perfino il calcio e lo sport, comprati a colpi di miliardi di dollari dagli arabi più filo-occidentali e interni al sistema di dominio, e la dinamica di spinte e controspinte sociali ha ridotto l’Italia in una sfera di gioco a somma zero. Il Censis dice che gli italiani sono “sonnambuli”, io dico che si tratta di una profezia che si autoavvera: desertificando tutto, oggi non cresce più nulla. E allora ti alzi e punti il dito sullo stato di cose presenti, quando chi ti ha finanziato ha prodotto il disastro. Niente di nuovo sotto il sole.
Le regole e le procedure hanno sostenuto una democrazia che scientemente ignora la libertà dei singoli e delle organizzazioni sociali, i vecchi corpi intermedi, e ciò a misura di un disegno preciso e puntuale articolato alla fine dei cosiddetti “Trenta gloriosi”. Una democrazia delle regole fatta per svuotare la libertà come lotta e capacità di generare, nelle comunità umane, il possibile e il nuovo.
Questa è l’analisi. Non ho mai venerato il motto gramsciano “pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”. Al contrario, la ragione si definisce secondo la categoria della possibilità e si muove secondo la volontà rettamente orientata e ordinata alla verità. Quindi, per procedere innanzi, occorre sempre recuperare la verità delle cose. Contra factum non valet argumentum. Le narrazioni dominanti non sono argomenti, sono soltanto retoriche del potere.
Raffaele Iannuzzi – Agenzia Stampa Italia
- Fonte foto Ecate Dea deklla libertà: Drawing by Stéphane Mallarmé., Public domain, via Wikimedia Commons