C’era una volta lo Stato sociale. Storia troppo nota per essere davvero conosciuta

(ASI) Il vecchio Hegel, tutt’altro che un “cane morto”, affermò, nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito (1807): “Ciò che è noto, proprio perché tale, non è conosciuto”.

Raffaele Iannuzzi – 24 agosto 2023

(ASI) Il vecchio Hegel, tutt’altro che un “cane morto”, affermò, nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito (1807): “Ciò che è noto, proprio perché tale, non è conosciuto”.

Ecco, applichiamo alla lettera questa grande verità all’oggetto “Stato sociale” e vediamo che succede.

In primo luogo, per molti, anche per la Treccani, lo Stato sociale nasce in Inghilterra, negli anni Trenta del XIX sec., con la legislazione, in seguito sviluppatasi nel continente europeo tra il 1885 e il 1915.

C’è anche la nota da archivio: nel 1601, una Legge sui Poveri, sempre in Inghilterra, avrebbe dato inizio, seppur con approccio filantropico, a ciò che, in seguito, avremmo definito “Stato sociale”. Se prendiamo la strada dello svolgimento del nastro all’indietro all’infinito, arriviamo al monachesimo del VI sec. D.C., i Benedettini, in particolare, e, se spingiamo sull’acceleratore, ci ritroviamo ad Hammurabi, nel secondo millennio a.C. Il rischio è quello del “Fascismo eterno” di Umberto Eco: dai Fenici ai nostri giorni.

In realtà, lo Stato sociale, che si lega alla parola “benessere”. C’è il Wohlfahrtsstaat, lo “Stato del benessere”, che, in inglese, suona Welfare State. Il benessere che implica anche il ben-essere, ossia la dimensione che lega il pane sulla tavola al perché si vive mangiando tanto il cibo che perisce quanto il cibo che non perisce. La mensa dei poveri è la metafora, ma il disegno complessivo è interamente politico, con tanto di etica sociale a sostenere l’intero “principio-responsabilità” (Hans Jonas).

Chi diede la stura a tutto questo bendidio?  Una personalità granitica, il “Cancelliere di ferro”, Otto von Bismarck (1815-1898), che, per mettere all’angolo i socialisti tedeschi in aria da Seconda Internazionale e solida organizzazione partitica, si inventa una nuova storia, un modello di riformismo conservatore, descritto, in un discorso, con efficacia argomentativa:

«Tutta la questione si pone in questi termini: ha o non ha lo Stato il dovere di prendersi cura di quei suoi cittadini che sono nella miseria? Per mio conto, affermo che questo dovere gli spetta, e non solo lo ha lo Stato cristiano – come mi son fatto lecito di esprimermi una volta colla frase “cristianesimo pratico” – ma qualsivoglia Stato in quanto tale”.

In altre parole, uno Stato che voglia legittimamente definirsi tale o è “sociale” o non è.  I socialisti del tempo hanno subito l’iniziativa del grande statista conservatore, anzi social-conservatore.

Dopo Bismarck è la volta di Sir William Henry Beveridge (1879-1963), barone inglese coltissimo e liberale, ma non liberista. Suo il “piano Beveridge”, con la formula “dalla culla alla bara”: assicurazione sanitaria obbligatoria, misure contro la disoccupazione, certezza del lavoro, assicurazione sociale, ecc. Il nostro mondo social-cattolico condiviso anche dalla destra sociale: tutto nasce non dal “mercatismo” o dal liberismo, anche quando le origini sono liberali. Direi liberal-sociali, qualcuno ha parlato di “planismo sociale”. Certamente questa dimensione politico-economica ed etico-sociale è frutto del primato della politica, il grande faro collettivo del Novecento. La cosiddetta “terza via”, in Inghilterra e non solo, nasce in questo contesto.

La Francia arriva alla “Securité sociale” generalizzata negli anni Settanta del Novecento, dopo aver costantemente combattuto con il liberismo, dominante oltralpe sin dal1815, e con ciò dobbiamo ricordare che il modello mercatista continentale francese ha dato origine a molto liberismo europeo.

Il Partito socialista guidato da Craxi, nel 1982, con la conferenza programmatica di Rimini del 1982, apre la nuova partita dello Stato sociale, facendo leva anche sul pensiero di John Rawls. Formula politica efficace: “un’alleanza riformatrice tra il merito e il bisogno”. Ossia fra “coloro che possono agire “ mettendo a frutto i propri talenti e “coloro che devono agire” per uscire dall’emarginazione. Oggi tutti si sciaquano la bocca con il “merito”, i socialisti di quel tempo avevano già pensato l’essenziale del “politico” che vuol farsi “sociale” diffuso, e poi sono stati fatti fuori dai nipotini post-Beveridge, nel frattempo diventati compagni di merende dei post-comunisti, con entrature solide nei palazzi di giustizia. E siamo nel 1991.

Da quella fase storico-politica in poi, è scomparso dal radar lo Stato sociale, oggi in svendita al “migliore dei mondi possibili”, global, neoglobal e sorosian-elonmuskista, i nuovi trotzkisti della “rivoluzione permanente”, la loro, con il motto esposto sul pennone più alto: “Il Dio (denaro) è con noi”. La folla plaudente risponde: “Amen”. La liturgia continua, senza sosta, è l’unica chiesa che non soffre crisi, anche perché, in genere, le causa agli altri, quindi, per loro, va tutto bene, madama la marchesa.

Seneca affermava: «Estremamente breve e travagliata è la vita di coloro che dimenticano il passato, trascurano il presente e temono il futuro».

Orwell, nel suo leggendario romanzo 1984: «Chi controlla il passato, controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato».

Tra Seneca e Orwell, la mappa è segnata, pericoli del viaggio inclusi.

 

Raffaele Iannuzzi  per Agenzia Stampa Italia

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