Sinisa Mihajlovic "Uno di Noi"
(ASI) Con Sinisa Mihajlovic che, con la sua forza e dignità nell'affrontare la battaglia dal 2019 con una brutta forma di leucemia che il 16 dicembre 2022 non gli ha lasciato scampo, é stato un esempio, un incoraggiamento, uno sprone per tutti, non solo per quelli che soffrono, ma anche un monito per chi vive nel mondo del grande calcio, fatto di stelle che credono di essere quasi come Déi.
(ASI) Con Sinisa Mihajlovic che, con la sua forza e dignità nell'affrontare la battaglia dal 2019 con una brutta forma di leucemia che il 16 dicembre 2022 non gli ha lasciato scampo, é stato un esempio, un incoraggiamento, uno sprone per tutti, non solo per quelli che soffrono, ma anche un monito per chi vive nel mondo del grande calcio, fatto di stelle che credono di essere quasi come Déi immortali, scompare una icona del calcio mondiale che é stato durante la sua carriera prima di calciatore poi di allenatore un simbolo sportivo della lotta contro la tendenza omologatrice e l'eccessivo materialismo del globalismo che vorrebbero cancellare le identità dei popoli e disumanizzare l'uomo. 

Sinisa Mihajlovic (53 anni),  nazionalista serbo,  era un giocatore simbolo della mitica Stella Rossa di Belgrado campione d'Europa e del mondo nel 1991, amico personale di Zeliko Raznatovic, più famoso come la Tigre Arkan, capo ultras della Stella Rossa  e comandante di una formazione paramilitare che combatté durante le guerre jugoslave, amicizia che Sinisa non tradì mai, nonostante le accuse di crimini di guerra rivolte a Raznatovic. 

 Ma, Sinisa, famoso per le sue botte da fuori  potentissime e precisissime cheo fanno uno dei migliori tiratori di sempre,  era ormai italiano di "adozione", non solo perché aveva sposato una ragazza italiana, ma in quanto era da ormai una trentina di anni nel Belpaese, dove ha giocato prima nella Roma di Ciarrapico nella quale l'ha portato il maestro Boskov e dove ha visto esordire Totti, poi nella Sampdoria dove avviene la svolta della sua carriera in positivo attraverso l'incontro  col mister Eriksson che lo inventerà regista di difesa, ruolo che lo consacrerà fra i migliori della sua epoca e l'amico di sempre Roberto Mancini che seguirà come giocatore anche nella grande Lazio di Cragnotti (dove vinceranno tantissimo ancora con Eriksson) e nell’Inter come vice allenatore, fino ai suoi funerali del 19 dicembre 2022, celebrati a Roma dal Cardinale di Bologna Zuppi nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli in Piazza della Repubblica, dove sarà l'amico di sempre a portare la sua bara, insieme ad altri amici - compagni come Lombardo e il connazionale Stankovic, alla presenza di migliaia di persone fra autorità, tifosi, addetti ai lavori del mondo del calcio, rappresentanti delle squadre nelle quali ha militato e delle varie tifoserie italiane alle quali Sinisa era legato, soprattutto a quella della Lazio che gli ha dedicato lo striscione "Sinisa uno di noi".

In effetti, Mihajlovic era una persona di una certa morigeratezza nei costumi, un uomo di una grande moralità, un esempio soprattutto per i più giovani che proteggeva dalle pressioni interne ed esterne allo spogliatoio fino alla fine, doti che dimostrò ad esempio quando durante una conferenza stampa del 2016, al termine della gara vinta dal Torino contro il Palermo, da allenatore del Toro gli chiesero se era difficile per un ragazzo di 22 anni (all'epoca Benassi) essere capitano granata, e lui elogiò chi si alza la mattina alle quattro per andare al lavoro e fare i sacrifici per arrivare alla fine del mese: https://youtu.be/gvUey0iKAXs .

Passato dall’altra parte della barricata, in qualità di allenatore, Sinisa ha condotto le redini dell’èlite della serie A del calcio italiano: Bologna, Catania, Fiorentina, Sampdoria, Milan, Torino e, ultimo in ordine di tempo, il ritorno a Bologna a chiudere il cerchio di una carriera impeccabile, onorando fino a quando ha potuto il suo lavoro, rimanendo in panchina fino a settembre 2022. 

Mihajlovic che amava e veniva spesso nel mio Abruzzo per le vacanze estive e invernali, e più precisamente a Cappadocia nella Marsica in Provincia di L'Aquila, paese di origine della moglie Arianna Rapaccioni conosciuta nel 1995 ai tempi della Sampdoria, non aveva mai nascosto la sua malattia che voleva sconfiggere all'attacco e a testa alta, e idealmente lo ha fatto come ha dichiarato durante l'omelia del funerale l'Arcivescovo di Bologna il Cardinale Matteo Maria Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI):  “’Il guerriero’, l’orso, ha vinto con la dolcezza della fragilità, insegnando che la vera forza non sta nel sentirsi invincibili, ma nel provare sempre a rialzarsi e nel rialzare chi è caduto. La fragilità infatti, è una porta, non un muro davanti a cui sbattere...". 


L'ultimo pensiero di Sinisa, come ha rivelato sui social la moglie Arianna, é andato ai figli, perché nonostante l'animo da duro nel mondo del calcio, in famiglia era un tenero marito, padre e da poco tempo anche nonno. 


Cristiano Vignali - Agenzia Stampa Italia

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