Fabio Savi, intervistato il “Lungo” della Banda della Uno Bianca

unobianca(ASI) Per l'inchiesta storico – giornalistica che sto portando avanti su Agenzia Stampa Italia, abbiamo contattato Fabio Savi (1960), il “Lungo” della Banda della Uno Bianca per una intervista.

Fabio Savi che sta scontando la sua pena all'ergastolo presso la Casa Circondariale di Bollate, ha cordialmente accettato la nostra richiesta e ci ha fatto pervenire le risposte scritte tramite il suo legale di fiducia Avv. Fortunata Copelli. 

1) Lei nell'intervista concessa anni fa nella trasmissione "Storie Maledette" di Franca Leosini ha dichiarato che per la vostra cattura c'è stata la telefonata di una donna agli inquirenti, è vera questa notizia? Che ne pensa della versione ufficiale di Rimini sulla individuazione della sua persona e residenza a Torriana? Corrisponde al vero?

“Si,  - ha affermato Fabio Savi - dichiarai in intervista con Franca Leosini di una telefonata da parte di una donna sconosciuta che ci denunciava, non so chi fosse, forse la stessa che notò ed annotò i primi numeri di targa della mia Mercedes, oppure una donna che conoscendo qualcuo di noi ci vide scendere da un'auto utilizzata per qualche rapina, ed in seguito seppe che quell'auto era stata utilizzata da “quelli della Uno Bianca”, e per senso civico ci denunciò. Sinceramente,- ha continuato Savi -  non mi sono mai posto questa domanda, qualcuno doveva fermarci, e non ha importanza chi fosse. Non ho nemmeno certezza che vi fu realmente questa telefonata, magari fu solo detto come pressione psicologica al fine di fare scaturire qualche reazione a scopo investigativo....non saprei. Per quanto riguarda la versione degli inquirenti riminesi, è ovvio che vi siano palesi incongruenze e si sia fatta un po' di confusione, forse per la concitazione del momento e la ricerca di maggiori meriti, forse per banali equivoci,ma di fatto sono giunti fino a noi seguendo piste riconducibili alla Uno Bianca, e certamente non per fantasie provenienti dall'Est Europa, tra l'altro dichiarazioni calunniose perseguibili penalmente”.

2) Come è andata in realtà la sua cattura?

“Se per cattura – ha dichiarato l'esponente della Banda della Uno Bianca -  si intende il momento dell'arresto, il verbale di rinvenimento della mia pistola completamente smontata e rinchiusa in una sacca che io stesso indicai agli agenti, e che avevo lasciata lontana da me, è sufficiente a smentire ogni altra ipotesi. Ero psicologicmaente giunto al capolinea ed era il momento di pagare per tutto ciò che avevo commesso, e di cui in solo in quel momento mi rendevo conto dell'estrema gravità...diversamente avevo con me cinque caricatori pieni e non avrei smontato l'arma per renderla inoffensiva qualora avessi avuto un ripensamento improvviso su ciò che avevo deciso”.

 

3) É vero che andavate a sparare al poligono di tiro utilizzando a volte la pistola di ordinanza di suo fratello Alberto? Avete rischiato di essere scoperti quando vi hanno chiesto spiegazioni per questa vicenda? 

“Si entra al poligono con regolare porto d'armi, vengono registrate le matricole delle armi che si intende usare, ed in poligono sono presenti anche appartenenti alle forze dell'ordine che vi si recano per allenarsi, per cui nulla di strano se qualche volta vi si recava anche mio fratello. Quindi non potevamo rischiare di essere identificati in questo momento” ha commentato Fabio Savi.

 

4) Perché al poligono di tiro raccoglievate le pallottole per ricaricarle?

“Al poligono – ha spiegato Savi -  si raccoglievano i bossoli unicamente per ricaricarli, esattamente come fanno tutti coloro che hanno la passione del tiro a segno”.

5) Secondo lei c'ė stato un momento, prima del 1994, in cui avete rischiato di essere scoperti? 

“Ritengo che anche prima del 94 vi sia stato il rischio di essere scoperti, in una occasione io fui convocato dalla polizia per un controllo delle armi detenute, ma era tutto in regola. Probabilmente, vi furono anche altri momenti di cui ne rimanemmo all'oscuro, ma sapevamo che comunque sia vi erano indagini in corso, era ovvio che fosse così, per cui questa possibilità non era affatto esclusa” ha risposto il secondo dei fratelli Savi.

 

6) Quali eventuali coperture e/o protezioni a livello di criminalità, magistratura, politica o forze dell'ordine vi hanno permesso l'impunità per oltre sette anni di attività della Banda della Uno Bianca?

“Non vi furono coperture di nessun genere. Successivamente – ha raccontato Fabio Savi -. si apprese di legerezze nelle indagini, ma con il senno del poi è troppo facile giudicare. Al momento delle indagini, su 60 milioni di italiani, almeno 20 milioni di questi potevano essere sospettati, per cui io non le definirei leggerezze, ma semplicemente impossibilità a rivoltare le vite di tante persone per poi rischiare di non scoprire nulla di illecito”.

7) Come è andato lo scontro a fuoco al Pilastro di Bologna? Chi era presente oltre a voi?

“Lo scontro a fuoco del Pilastro andò esattamente come più volte dichiarato, ed oltre a noi non vi era nessuno. Si parla da 30 anni di altre auto presenti, ma in una città come Bologna appare impossibile che non ve ne fossero in transito e non necessariamente devono essere coinvolte”.

8) Il 7 marzo 1991, rispondendo a una richiesta della Criminalpol del 18 febbraio 1991, il vicequestore di Rimini informa che "presso l’Armeria Savini di Rimini", il 18 gennaio 1989 Fabio Savi aveva acquistato "una carabina semiautomatica Sig Manurhim cal. 222". Però, il 18 gennaio 1995, i dirigenti Digos, in risposta a una richiesta della Dda, informano che "il Sig Manuhrin 222", parte dell’arsenale sequestrato ai Savi, e compatibile con la strage del Pilastro, fino a quel momento era "inedito". Su questo fatto è stato presentato recentemente un esposto per accertare se non ci fu solo un errore comunicativo. Che ne pensa?

“Il Sig Manhurin – ha commentato Fabio Savi - che acquistai era regolarmente denunciato come carabina, una normalissima carabina da caccia come tante ce ne sono, ma diversa  nell'aspetto, e che privandola di calcio era di dimensioni accettaibli per essere occultata facilmente. Il raccoglitore per i bossoli impediva poi che venissero disseminate tracce qualora si fosse usata, ed i proiettili si distruggevano completamente per l'altissima velocità. Certo fu dichiarata compatibile con le armi utlizzate, ma l'essere compatibile porta unicamente a quel tipo di calibro, e non a quell'arma specifica. So che è stato presentato un esposto per accertare se vi fu errore comunicativo, ma poteva trattarsi di arma legale, come di arma illegale proveniente da altri paesi, per cui come comunicare il semplice acquisto di un'arma di cui non si ha nulla, se non una vaga indicazione sul calibro?”.

 

9) Cosa è la Falange Armata che ha rivendicato alcune delle più gravi azioni della Banda della Uno Bianca?

“Penso che la Falange Armata  - esprime la sua opinione in merito il “Lungo” della Uno Bianca - non sia altro che una sigla inventata da qualche mitomane, poiché mi risulta che di fatto non vi siano mai state richieste di alcun tipo da parte di questa fantomatica organizzazione, ma solo rivendicazioni di fatti accaduti, spesso sconclusionate, e non credo che il mettere in collegamento i fatti rivendicati sia una valida pista da seguire, data inoltre la diversità di tipologia fra questi”.

10) Quali errori investigativi sono stati commessi o quali abilità avete avuto voi,secondo lei, che non hanno mai permesso agli inquirenti di arrivare alla Banda prima del 1994?

“Non credo vi siano stati errori investigativi, o abilità a non farsi trovare, semplicemente noi eravamo persone incensurate ed insospettabili e se non si lasciano tracce, è impossibile trovare i colpevoli di determinati delitti fra decine di milioni di persone. Nemmeno con il senno del poi riesco a trovare correlazioni in molti casi”.

 

11) Luciano Verlicchi, marito di Licia Ansaloni, titolare dell'Armeria Volturno, uccisa il 2 maggio 1994, si dice sicuro, in una intervista a me rilasciata, che non è stato lei a sparare al Carabiniere in congedo Capolungo e a sua moglie, perché sia l'identikit, sia la voce (non romagnola), non corrisponde alla sua. Inoltre, lui ritiene che le pallottole e l'arma usata non siano quelle indicate nella perizia degli inquirenti. Ma, lui parla di una pistola ungherese FEG (replica della Browning HO ma con doppia azione) e di  pallottole 9x19 di piombo nudo teflonate, che ne pensa?

“Vorrei tanto che avesse ragione il marito della signora Licia Ansaloni, ma purtroppo all'Armeria Volturno andò esattamente come dichiarato. Le FEG non le avevamo ancora in quel periodo” ha risposto così alla nostra domanda Fabio Savi.

12) Sempre sull'azione della Uno Bianca presso l'Armeria di Via Volturno a Bologna, la Falange Armata ha rivendicato il delitto come la correzione di alcuni "errori del passato", di alcune "smagliature" prima di disarmare il commando romagnolo e passare a una nuova fase, che ne pensa?

“Che ancora una volta la Falange Armata dimostra la propria natura mitomane”.

13) Ad un certo punto, la vostra versione era che voi avete solo fornito le armi di alcuni crimini a terze persone, senza commettere direttamente i delitti. Cosa c'è di vero? Il Giudice Giovanni Spinosa sostiene che prendevate ordini dalla Falange Armata o comunque sia da una organizzazione superiore....

“So che ad un certo punto la versione cambiò e divenimmo semplici fornitori di armi a coloro che in realtà avrebbero commesso di fatto i reati, ma non fui io a cambiare versione, anche se in un primo momento la assecondai vedendo che tutte le nostre confessioni spontaneee erano improvvismente divenute clamorose scoperte di altri. Prendere ordini dalla Falange Armata, o comunque sia da una organizzazione superiore? Non comprendo questa teoria, dato che sia la storia, che la giurisprudenza italiana portano chiari esempi sia passati che presenti, e se fossi realmente “appartenuto” a qualche organizzazione sia eversiva, che mafiosa, e cosiderato il basso livello di partecipazione ipotizzato, mi sarebbe bastato dissociarmi e sarei già uscito di galera da molto tempo. Non esistono inoltre sentenze in questo senso” ha risposto Fabio Savi.

14) Avevate un traffico di armi con l'Europa dell'Est? Ci parli in breve del suo rapporto con Tamas Somogyi...

“Comprai alcune armi da Tamas Somogyi a Budapest, persona che mi fece conoscere Eva Mikula allo scopo di procurarle documenti falsi per l'ingresso in Italia, dato che io non parlando ungherese non potevo certamente conoscere personaggi della malavita del luogo,mentre lei, che non era una cameriera come anche a me aveva dato a credere per i primi mesi di frequentazione, ne incontrava tutti i giorni nei “ristoranti” ove lavorava. Il mio rapporto con il Somogyi si limitò a quello, oltre a perdere oltre cento milioni di lire dell'epoca per i quali Eva accusò il Somogyi, mentre solo recentemente venni a conoscenza di una società da lei aperta in Romania, non so con chi, poi andata fallita” ha rivelato Fabio il “Lungo” della Uno Bianca.

15) Il Carabiniere Vito Tocci, da me intervistato, capopattuglia dell'auto di servizio che avete aggredito presso Marebello a Miramare di Rimini, sostiene che avete agito col chiaro intento di ucciderli in un vero e proprio agguato. Che dice a tal proposito? Vito Tocci mi ha detto che gli è parso di notare una seconda auto pronta ad intervenire dopo il cavalcavia a destra. Cosa c'è di vero? Alcuni testimoni parlano della presenza di due uomini con capelli impomatati dietro la vostra auto. Chi era presente nel suddetto attentato all'interno della Uno Bianca?

“Comprendo il Carabiniere Vito Tocci, in certi momenti si può vedere di tutto, è comprensibile,  anche in una città come Rimini vi sono tante macchine in transito, ed anche in quella occasione il tutto avvenne per non essere fermati, in quanto ci trovavamo su di un'auto rubata. Più volte è stato detto che noi eravamo “protetti” dal tesserino che avrebbero potuto mostrare i miei fratelli, ma non lo portavano nemmeno con loro per il semplice fatto che non avrebbero potuto mostrarlo, eravamo comunque sia su un'auto rubata e se anche ci avessero lasciato andare, era poi concreto il rischio che fossero tornati a prenderci singolarmente, magari nel sonno, come sarebbe stato più semplice fare” ha chiarito Fabio Savi.

16) Come passa le sue giornate in carcere? Cosa ha fatto in questi lunghi anni di detenzione?

“In carcere – ha spiegato Fabio Savi -  lavoro, ho lavorato cinque anni per una importante compagnia telefonica, quindi nel settore energia luce/gas, ove lavoro tuttora, sempre in costante contatto telefonico con clienti del mondo libero, pagando mensilmente le quote per rifondere i risarcimenti anticipati dallo Stato, e pagando inoltre le quote mensili per il mio mantenimento in carcere, come è giusto che sia, non pesando quindi sulla società. Ho imparato a cucinare e lavorato come cuoco, ho conseguito cinque certificazioni  CISCO NETWORKING ACADEMY, di cui l'ultima al primo step in Cyber Security, sostenuto e superato decine di esami on-line in lingua inglese. Ho scritto vari testi che forse un giorno diverranno libri, - ha rivelato Savi -  alcuni dei quali sottoposti al guidizio di importanti editori che hanno espresso ottimi consensi, ma non ancora pubblicati per il timore di suscitare ulteriori clamori, come accade ogni volta che viene citato il mio nome. Quando possibile gioco a tennis e faccio ginnastica per non ritrovarmi atrofizzato da una vita altrimenti oltremodo sedentaria, cercando di mantenere una dieta bilanciata per rimanere in salute.Da una parte in carcere riconosco il senso di rieducazione e reinserimento, un carcere che mi gudica pronto e vuole reinserirmi (non dimentichiamo che il primo programma di trattamento prevedente esperienze esterne risale al lontano 2008). Dall'altro vedo una inspiegabile ostinatezza negazionista che posso solo identificare in desiderio di vendetta ed arbitraria violazione dell'articolo 27 della Costituzione, non considerando inoltre che in tre decenni ho dimenticato il mondo là fuori, e sono consapevole che uscendo avrei solo difficoltà da superare, aggravate poi dalle ovvie restrizioni a cui sarei sottoposto, e ad una età che non è più quella di quando mi scattarono le manette ai polsi. Non ha un senso né per me, e nemmeno per tante persone che sono rinchiuse da una vita, quando si potrebbe essere invece utili in mille modi alla Società che si ha offeso” ha commentato l'esponente della Banda della Uno Bianca. 

17) Cosa pensa della violenza sulle donne? Cosa pensa delle persone di diversa cultura ed etnia che oggi vivono in Italia?

“Ritengo – ha affermato Fabio Savi - che questa domanda sia scaturita dalle recenti elucubrazioni della Mikula, non ho mai usato violenza su una donna e ritengo che chi giunge a tanto sia solamente perché teme un confornto diretto con gli uomini. Una sola volta la spinsi con una mano sul viso, avevo perso la pazienza perché insieme alla moglie di Tamas Somogyi si erano accordate per estromettermi da un progetto di lavoro all'estero per cui avevo già versato oltre cento milioni di lire, gli stessi per la cui scomparsa lei accusò poi il Somogyi, mentre a quanto pare aprì una società in Romania, poi finita male. Semplicemente diabolica, e capace di incantare chiunque se ne avesse avuto interesse, ma non era certamente la bambina sproveduta che vuol fare credere. Aveva 16 anni quando fuggì dalla Romania, lì abbiamo avuti tutti 16 anni, ma io la conobbi almeno due anni dopo, del resto persino l'esame delle ossa del polso stabilì senza ombra di dubbio che fosse maggiorenne. In Romania era da poco finita una rivoluzione ed in quei casi si sa che fine fanno gli archivi e come possono cambiare i dati anagrafici. Per ciò che penso delle persone di diversa cultura ed etnia, - ha puntualizzato Fabio Savi - stavo per sposare una rumena di diversa cultura, etnia e religione, ed aiutavo anche la sua famiglia, per cui già questo può essere una risposa alla domanda. Il popolo italiano – ha aggiunto Fabio Savi - è stato il primo ad emigrare, per cui chiunque vuole venire in Italia per lavorare ed essere utile, è il benvenuto. Discorso ovviamente diverso per chi vede questo Paese come terreno di saccheggio, esercitando violenza e prepotenza, rubando e stuprando, al punto che oggi una donna oggi deve avere paura di uscire di casa la sera....quelli no, non si accettano. Solo per fare un esempio, un giorno parlai con un nigeriano che si lamentava del razzismo, e gli domandai cosa sarebbe successo se noi italiani fossimo andati al suo paese ci fossimo comportati come molti di loro fanno in Italia. Non rispose con le parole, ma agitò forte le mani con un lungo “uuuuuuuuuu” a fare capire che la reazione sarebbe stata molto peggiore del razzismo italiano. Quindi sapeva perfettamente come si stavano comportando certi suoi paesani, ma non si dice. E soprattutto mai generalizzare, perché non tutti sono uguali”.

18) Cosa pensa della situazione politica attuale?

“Sono totalmente disinteressato dalla politica, mi piacerebbe però un mondo migliore, dove un padre di famiglia non abbia difficoltà a mettere un piatto in tavola, ed i pensionati non siano costretti dopo una vita intera di lavoro a raccattare verdura fuori dagli ortomercati, mentre altre persone vivono nel lusso riempiendosi la bocca di frasi perbeniste, ma forse è chiedere troppo” ha concluso Fabio Savi.

Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

 


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