(ASI) Chiamare in causa l’ideatore del settimanale che ad inizio di secolo stava mettendo alle corde le anime nere del calcio italiano, ci è sembrata l’idea più giusta: Gianfranco Teotino, pur tra mille impegni, ci ha dedicato del tempo prezioso per comprendere meglio un progetto che faceva bene al calcio di ieri e, magari, anche al giornalismo d’inchiesta. 

Che, purtroppo, sembra essere andato in pensione. L’intervista contiene momenti di grande riflessione per chi ama davvero il calcio.

Oltre ad aver fondato e diretto “Rigore”, Gianfranco Teotino è stato responsabile dei servizi sportivi e della redazione politica romana del “Corriere della Sera”, vicedirettore de “Il Mattino” di Napoli, condirettore e direttore editoriale de “L’Unità”, coordinatore de “Il Riformista” e vicedirettore di “Tuttosport”. Attualmente è opinionista de “La Gazzetta dello sport”. Ha pubblicato tre libri, “Il calcio ai tempi dello spread”, realizzato con Michele Uva e con la collaborazione di Niccolò Donna, “La ripartenza”, realizzato con Michele Uva e “Il calcio conta” con Michele Uva e Niccolò Donna. È stato, inoltre, direttore della comunicazione della Fiorentina e consulente marketing della Lega calcio di serie B.

 

1. Come nacque l’idea di Rigore e chi furono i soci fondatori?

L’idea nacque da una serie di conversazioni con due giornalisti non sportivi ma molto tifosi: Lucio Caracciolo e Paolo Franchi. Io stavo concludendo un’esperienza professionale piuttosto deludente, cercavo qualcosa di stimolante e soprattutto nuovo. Lucio e Paolo, da appassionati di calcio ed esperti di comunicazione, ritenevano che l’offerta informativa sul mondo del pallone, nonostante i tre quotidiani sportivi italiani, fosse insufficiente e soprattutto un po’ reticente. “Non ci raccontate tutto quello che sapete”, mi dicevano. “Quando chiacchieriamo con i giornalisti sportivi- insistevano- veniamo a sapere un sacco di cose che poi però non leggiamo da nessuna parte”. Avevano ragione. Studiammo così un prodotto che poteva venire incontro a queste esigenze. Per loro naturalmente era un gioco, per quanto preso seriamente, per me una interessante opportunità di lavoro. Quando il progetto fu pronto, Franchi e Caracciolo tornarono alle loro più serie occupazioni politiche e geopolitiche, pur restando sempre vicini al giornale.

 

2. Come sceglieva la squadra – comitato scientifico - che ruotava numero dopo numero?

La squadra la sceglievo ogni settimana a seconda degli argomenti del numero e delle conversazioni con gli stessi componenti del “comitato scientifico” che lo preparavano. Avevo per mia fortuna una rosa molto profonda, come si dice adesso: esperti, amici e prestiti di giornata, tutti di grandissima competenza.

 

3. I protagonisti erano tanti, a cominciare da una redazione poggiata su pilastri del giornalismo come Andrea Di Caro ed Enzo D’Orsi . E poi articoli realizzati da penne illustri ed altri ancora da protagonisti indiscussi dello sport. Come riusciva a coinvolgere e far convivere tutti armonicamente?

La redazione era alla base di tutto. L’esperienza di Enzo e la freschezza e la voglia di emergere di Andrea contribuivano in modo determinante alla pesca delle notizie, alla scelta degli argomenti e ai rapporti con amici e nemici del giornale. Come in tutte le redazioni c’era un “culo di pietra” indispensabile, Francesco Ghidetti. Vorrei ricordare che a Rigore hanno lavorato giovani che cominciavano allora la carriera, come Jacopo Arbarello, oggi a Sky TG24, e Andrea Scanzi, che arrivò su segnalazione di un collega amico, Luca Valdiserri, che lo leggeva su “Il mucchio selvaggio”. Mi sono sempre domandato perché Scanzi nei suoi curriculum e nelle sue biografie non ricordi mai l’esperienza a Rigore, che di sicuro ha contribuito a formarlo.
Le grandi firme arrivarono tutte per conoscenze dirette o indirette. L’armonia era conseguenza della qualità di tutti gli articoli e della franchezza nei rapporti.

 

4. Il suo settimanale ha avuto vita breve, ma ha aperto tanti armadi. Un esempio da seguire. Leggerlo anche a distanza di anni è fonte inesauribile di arricchimento culturale e spirituale. Come faceva la redazione a trovare tanti scheletri?

In parte perché avevano ragione Franchi e Caracciolo: molte cose erano risapute, ma nessuno le scriveva. In parte per la bravura della coppia D’Orsi-Di Caro. I rapporti diretti con tanti protagonisti di peso del calcio italiano, la loro fiducia nei nostri confronti e la voglia di molti di cambiare certe cattive abitudini facevano il resto.

 

5. Con Rigore avete anticipato Calciopoli, e questo è un dato di fatto. Moggi, Giraudo e tanti altri potenti del mondo del calcio dell’epoca come reagivano di fronte ai vostri articoli di denuncia?

Dipende. Con Giraudo, ad esempio, ho sempre avuto rapporti personali molto diretti e improntati a una stima che, credo, fosse reciproca. Se non si fosse occupato di arbitri, sarebbe stato di gran lunga il migliore dirigente del calcio italiano. Anche con Moggi ci siamo incontrati e talvolta scontrati molto apertamente. Certo, alcune loro responsabilità dirette sono emerse soltanto dopo. Più isteriche erano talvolta le reazioni di altri personaggi minori, arrivati a posizioni di potere in ambito calcistico per tutelare in modo servile interessi maggiori.

 

6. In quanto tempo gli appassionati di calcio hanno rimosso gli scandali? È corretto sintetizzare Calciopoli con la decisione di retrocedere la Juventus in serie B e di revocare alla Vecchia Signora due scudetti?

Calciopoli è stato il peggiore scandalo della storia del calcio italiano. Alla fine, le sentenze sono state quello che sono state. Sostanzialmente corrette, anche se forse qualcuno se l’è cavata con sanzioni troppo leggere rispetto alle responsabilità. E’ un discorso lungo e complicato, ma penso che leggendo le cronache di Rigore ed ascoltando con maggiore attenzione i segnali d’allarme lanciati, si sarebbe potuto evitare quel che è successo.

 

7. Oltre a Luciano Moggi, chi altro ha realmente pagato dopo Calciopoli? I giornalisti di denuncia spesso e volentieri si ritrovano a predicare nel deserto, ma non per questo si fermano. Lei ebbe dei ...consigli a soprassedere?

In realtà, hanno pagato in tanti, talvolta più le vittime dei colpevoli. In quanto ai consigli, non ne ricevetti perché sapevano che quel tipo di consiglio non l’avrei ascoltato. Per il resto, le storie finiscono e quando sono finite penso che sia inutile rivangare. Con il senno di poi, i fatti hanno dimostrato che Rigore per molti motivi fosse un’impresa economicamente non sostenibile, almeno non per il gruppo eterogeneo di amici e investitori che decisero di editarlo: costi di produzione relativamente elevati e numero insufficiente di copie vendute. Certo è che nessuno dei grandi inserzionisti dell’epoca, quei gruppi industriali che puntavano sul calcio alimentandolo con la loro pubblicità, gli sponsor istituzionali del pallone, chiesero mai spazi, neanche minimi, su Rigore. Su indicazione di qualcuno, viene da pensare. Del resto, avevano ragione: non potevano alimentare chi cercava di scoprirne i magheggi.

 

8. Cos’ha imparato il calcio di oggi dalle denunce di Rigore e dalle decisioni su Calciopoli e Passaportopoli?

Troppo poco, temo.

 

9. Un’ultima domanda: cos’ha provato il giorno in cui ha realizzato che la redazione di Rigore avrebbe chiuso per sempre? Ha mai pensato: “Ecco, hanno vinto loro”. A distanza di tanti anni cosa le resta dentro di quell’esperienza?

Sì, probabilmente l’ho pensato. Ma nella vita, come nel calcio, si vince e si perde. L’importante è giocarsela, provare a sostenere le proprie idee. Rigore è stata una esperienza bellissima, per certi versi anche eccitante. Ma sono passati vent’anni e tante altre esperienze, più o meno interessanti. Ora già penso alla prossima.

 

Raffaele Garinella - Agenzia Stampa Italia

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