(ASI) Altra fattispecie sottoposta all’attenzione della dottrina e giurisprudenza in tema di fattispecie di danno da morte del congiunto è l’ipotesi della perdita del frutto del concepimento per fatti imputabili a terzi (si pensi al caso principe dell’automobilista che investe ed uccide una donna incinta o ancora alla morte del feto durante la gestazione per negligenza dei medici).
In queste fattispecie il soggetto che lamenta il danno non è il nascituro non venuto al mondo, bensì gli aspiranti genitori di un essere concepito, ma non venuto alla luce.
Legittimati attivi alla richiesta risarcitoria risultano essere, quindi, i famigliari del concepito per il tragico evento della sua perdita, posto che l’evento di danno li priva della possibilità di godere di rapporti affettivi tutelati dalla Costituzione (artt.2, 29, 30 Cost).
Tale voce di pregiudizio non può essere catalogata quale danno da perdita di chance, bensì quale vero e proprio danno-evento attuale con conseguenze pregiudizievoli future.
E’ notorio, infatti, come una relazione tra il feto e i genitori si instauri fin dalla notizia dell’evento, per cui la sua perdita comporta comunque un lutto con tutte le conseguenze connesse.
Il danno non patrimoniale in questione è quindi ravvisabile sia a livello di danno emergente che nella sua proiezione futura.
Ciò premesso, va detto che non sono stati registrati in seno alla magistratura particolari problemi nell’ammissione di queste pretese risarcitorie: la giurisprudenza ha costantemente fornito risposte del tutto positive a questa prospettiva risarcitoria, ritenendo senz’altro i genitori ma anche gli altri prossimi congiunti del feto (si pensi ai nonni, ma anche i fratelli e le sorelle del feto) quali soggetti legittimati alla richiesta risarcitoria per la perdita del frutto del concepimento, qualificando il pregiudizio subito come sofferenza morale ed esistenziale per la perduta possibilità di programmare e attuare lo sviluppo della famiglia.
Occorre infine evidenziare come ad una impostazione sostanzialmente analoga a quella sin qui descritta si giunse in relazione al caso simile della soppressione di embrioni.
Emblematica al riguardo fu la pronuncia del Tribunale di Milano (Trib. Milano, sez. IV, 24 maggio 2013), ove un black-out elettrico spense gli incubatori, provocando così, la morte degli embrioni che in essi erano custoditi e che il giorno dopo avrebbero dovuto essere impiantati ad una donna la quale si stava sottoponendo ad un intervento di procreazione medicalmente assistita.
Orbene il Tribunale, condannando l’Ospedale per responsabilità contrattuale, ha ritenuto senz’altro configurabile un danno non patrimoniale anche in questa ipotesi.
In tale fattispecie il danno risarcibile non è stato individuato nella “perdita del figlio” ma quale danno-conseguenza del diritto al concepimento della coppia.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia