(ASI) Perugia -In caso di lesione al diritto di autodeterminarsi, quali possono essere le conseguenze dal punto di vista del risarcimento? E quale prova bisogna fornire per poterlo dimostrare?
Quando un sanitario lede il diritto del paziente e non acquisisce il consenso informato si verifica una lesione del cosiddetto diritto all’autodeterminazione, che la giurisprudenza consolidata definisce un “danno conseguenza”, da ristorarsi autonomamente, sia nella componente fisica sia in quella psichica, senza la necessità di una prova ad hoc, anche se è, naturalmente consentito alla controparte di allegare e provare il contrario e al danneggiato di dimostrare ogni elemento ancor più vantaggioso.
Un paziente si rivolge al tribunale per chiedere il risarcimento, contro la struttura sanitaria ed il medico, dei danni fisici e psichici per non essere stato adeguatamente informato in merito ad un’operazione agli occhi, della quale gli venivano sottaciuti i rischi e le eventuali conseguenze. In pratica l’attore in causa si lamentava di non aver ricevuto un adeguato consenso informato e chiedeva il ristoro dei danni che ne derivavano. Il tribunale rigettava la domanda e lo sconfitto si rivolgeva alla corte d’appello competente la quale, a sua volta rigettava la domanda del malcapitato in quanto il danneggiato non aveva provato, concretamente, in che cosa fossero consistiti i pregiudizi non patrimoniali, diversi da quello alla salute e non aveva specificato la natura delle sofferenze fisiche e psichiche. Vistosi due volte sconfitto, il paziente ricorre alla Corte di Cassazione che, con una ordinanza del maggio 2018, mette un po’ di ordine e chiarezza nell’argomento.
Gli Ermellini chiariscono la nozione e la funzione del consenso informato partendo dall’impianto normativo e mettendo in evidenza che il sanitario è obbligato a fornire tutte le informazioni necessarie sulle verosimili e prevedibili conseguenze della cura medica; proseguono operando una netta distinzione tra il diritto alla corretta esecuzione del trattamento medico, che riguarda il diritto alla salute ed il diritto alla corretta informazione o consenso informato, che concerne il diritto del soggetto passivo del trattamento medico alla autodeterminazione, a quella capacità di decidere liberamente, che consente di operare delle scelte terapeutiche consapevolmente. Alla luce di queste distinzioni i giudici della Corte Suprema evidenziano come nello schema dell’illecito costituito dalla mancata autodeterminazione, nasca la distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza, con particolare riguardo alla prova da fornire per una corretta dimostrazione, in quanto si tratterebbe di provare il dolore e il restringimento della libertà di disporre liberamente di se stessi.
La Cassazione ha sottolineato come l’obbligo del medico di informare correttamente, corrisponda al diritto del paziente di aderire ad un piano terapeutico dopo un attento e verace esame di tutte le possibili o probabili conseguenze. Questa attività si sostanzia in una serie di adempimenti diversi da quelli che tutelano la salute, come l’operazione chirurgica in sé, e consistono in atti di natura informativa.
Alla luce di queste considerazioni la Corte opera una descrizione tra danno evento e danno conseguenza. Il primo consiste nell’intervento operato dal medico sul paziente senza l’apprensione del dovuto consenso, il secondo consiste nel pregiudizio determinato dal mancato consenso che si riverbera sulla sfera personale del paziente con le conseguenze dannose, integrate dalla mancanza di libertà nel decidere quello specifico intervento o dal non aver potuto scegliere un diverso trattamento terapeutico o un’altra struttura.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia
Fonte: Dietmar Rabich / Wikimedia Commons / “Rome (IT), Corte Suprema di Cassazione -- 2013 -- 3787” / CC BY-SA 4.0