Lo squallido business del pallone gonfiato con i soldi

soldi copy copy(ASI) Lo so, sono stati sempre i soldi a muovere le cose, c’è poco ed è inutile fare gli ipocriti e scandalizzarsi. “Pecunia non olet” diceva l’imperatore Vespasiano. Le guerre, tanto per fare qualche esempio, tuttora decine, mentre tutti fanno finta di non saperlo, succedono e ci saranno sempre finché ci saranno le armi e le munizioni da vendere, e permettere così affari stratosferici. Questo è il mondo.

Ma almeno su qualche campo, nello specifico quello sportivo, si dovrebbe pretendere di porre un limite, insomma di non esagerare, come invece si sta facendo nell’indifferenza generale. Se si è costretti a giocare con un pallone pieno di soldi, si rovina lo spettacolo. E rimane solo lo squallido business. Non mi riferisco solo alla partita di supercoppa italiana giocata a Gedda tra la Juventus ed il Milan. Si vanta Gaetano Miccichè, presidente della Lega di A, perché alla partita hanno assistito 15 mila donne. Va bene, siamo contenti anche noi, ma c’è da aggiungere che in Arabia Saudita ci sono andati per i soldi e non per fare andare allo stadio le donne. E si potrebbe pure obiettare che così 20 mila donne italiane non hanno potuto vedere la partita allo stadio. E così sarà per altri due anni, come stabilito dal contratto ricco di dollari. E’ lo strapotere delle televisioni che è diventato insopportabile. Con i soldi (danno il 70-80% dei ricavi delle società) hanno acquisito il diritto di stravolgere tutto. Tuttavia è inconcepibile lo stesso far giocare le partite, con inizio alle 21, nel mese di dicembre, gennaio e febbraio, con temperature che possono essere sottozero. E cosa ancora più sconcertante è che nessuno abbia il coraggio di protestare e di far rilevare l’assurdità della pretesa. Per rispetto degli spettatori prima di tutto, ma anche per lo spettacolo, che in condizioni metereologiche difficili, viene condizionato e mortificato pesantemente. E’ disdicevole pensare di non fare le notturne in pieno inverno o è un’idea troppo sensata per essere presa in considerazione.
Non va bene nemmeno questo mercato invernale allungato, quest’anno addirittura fino al 31 gennaio. Ciò significa disputare due giornate di campionato con il mercato aperto. Il caso clamoroso, ed emblematico, è avvenuto tra il Milan ed il Genoa. Il polacco Krzysztof Piatek, stella della squadra genoana, in procinto di passare al Milan, avrebbe dovuto giocare contro la sua futura squadra e solo una provvidenziale squalifica del giocatore ha evitato l’imbarazzo a Cesare Prandelli (se schierarlo o meno) e allo stesso calciatore, considerando che il Milan sta lottando per un posto in Champions e i tre punti in palio estremamente importanti. Le partecipazioni alle coppe europee - tanto per rimanere in tema - portano montagne di soldi. Rino Gattuso, a sua volta, si è trovato, con enorme fastidio, peraltro detto chiaramente, come al solito con estrema franchezza, a dover decidere se far giocare il “frastornato” Gonzalo Higuain con le valigie pronte per andare al Chelsea. E ha deciso per l’esclusione, spiegando perché: “Meglio avere giocatori pronti a fare la guerra”. Poi, va bene, il Milan ha vinto lo stesso, ma questo, ovviamente, prima della gara non si poteva sapere.
Anche Alessandro Nesta, il tecnico del Perugia, ha avuto modo di lamentarsi, giustamente, perché il mercato disturba i giocatori con arrivi e partenze, veri o presunti che siano. Ma se non si riapre il mercato a gennaio, e non si allunga a dismisura, i procuratori come (ri) fanno gli affari? Tanto che molti calciatori, visto che i guadagni sono stellari, hanno pensato, molto opportunamente, di cercarlo in famiglia il procuratore. Mauro Icardi, l’attaccante dell’Inter, ha affidato il compito all’agguerritissima Wanda, sua compagna. Higuain ha delegato il fratello.
L’ultimo oltraggio agli sportivi è avvenuto al “Meazza” durante Inter-Bologna. No, non riguarda la prestazione penosa dell’Inter, a quella ormai i miei amici, tifosi della squadra neroazzurra, ci sono abituati. Si è trattato dal fatto che i calciatori dell’Inter sono scesi in campo con la maglietta su cui il nome era stato scritto con gli ideogrammi cinesi. Da un’idea - si è indotti a pensare - dei proprietari della società che sono appunto cinesi. Così chi ha visto la partita a San Siro, e tutti quelli che l’hanno seguita in televisione, hanno fatto fatica a individuare i calciatori. Almeno si poteva scrivere il nome anche con le lettere dell’alfabeto latino. Sempre per rispetto degli spettatori, anche di quelli televisivi, che poi sono quelli che mettono i milioni di euro che vanno alle società. 

Fortunato VinciAgenzia Stampa Italia               

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