In ricordo del Terremoto del 1980

epicentroirpinia(ASI) Avellino – Il 23 novembre scorso è stato il 38 anniversario del tragico terremoto dell'Irpinia del 1980. Una tragedia straziante che ha segnato una generazione di Italiani. Ascoltando i dibattiti in televisione, i commenti della gente sui social, ho notato che col passare dei decenni si rischia di perdere la memoria di quanto è accaduto e quindi l'insegnamento della morale di tale tragica sciagura.

Pertanto, ho deciso di scrivere un breve ricordo di quanto successo e un resoconto di quello che in fin dei conti ci ha lasciato il sacrificio di migliaia di uomini e di  donne che in un attimo hanno perso la vita, e di quelle centinaia di migliaia di persone che hanno dovuto affrontare i disagi della vita da sfollati senzatetto e le difficoltà di una ricostruzione faticosa che ha avuto nella corruzione e nello stornamento dei fondi (spesso per fini diversi) il maggiore ostacolo.

Il terremoto dell'Irpinia del 1980 è stato il più grave disastro sismico italiano della seconda parte del Novecento, al cui cospetto i recenti terremoti di L'Aquila e di Amatrice, nella pur loro gravità, hanno avuto un tributo di vite umane molto minore.

Quasi tremila morti, quasi diecimila feriti, paesi cancellati, ritardi nei soccorsi, fondi stanziati e mai utilizzati per i fini previsti. Sopravvissuti segnati per sempre, fontane monumentali sporche di sangue nelle piazze dei paesi in cui si lavavano i feriti e i soccorritori. La fine definitiva di un mondo ancestrale di superstizioni, tradizioni contadine, povertà, emigrazione e brigantaggio che in un colpo viene traumaticamente trasportato nella modernità, nel modo più tragico possibile.

 

Solo la registrazione di una radio locale e i racconti dei sopravvissuti ci restano a testimonianza diretta di quel minuto e trenta che ha cambiato profondamente il volto dell'Appennino centro – meridionale, in un'area compresa fra la Campania Centrale e la Basilicata, dall'Irpinia al Vulture.

 

Eerano le 19.34 di domenica 23 novembre 1980, l'Avellino Calcio all'epoca disputava il campionato di Serie A e aveva sconfitto l'Ascoli. Quella sera, la televisione mandava in onda la partita fra Juventus e Inter e si stava chiusi in casa per cenare e passare le ultime ore della domenica nella tranquillità famigliare e del focolare domestico.

 

Per molte persone, purtroppo, quel minuto fu l'ultimo di serenità della loro vita. Tutto d'un tratto si sviluppò una scossa sismica, con  una magnitudo di intensità pari a 6.9 gradi della Scala Richter e un livello di distruzione assoluta pari al X grado della Scala Mercalli La forte scossa, durò una eternità, circa 90 secondi, con un ipocentro di circa 12 km di profondità, colpendo un'area di 17.000 kmq, fra le Province di Avellino (103 Comuni), Salerno (66 Comuni) e Potenza (45 Comuni). L'epicentro del sisma fu individuato in Irpinia, esattamente fra i Comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e di Conza della Campania. 

 

Gli effetti, si sentirono in tutta l'area meridionale della Penisola, con 36 Comuni dell'epicentro che ebbero 20 mila alloggi distrutti, 244 Comuni fra le Provincie di Avellino, Beneveneto, Caserta, Foggia, Napoli, Potenza e Salerno, con 50 mila abitazioni gravemente danneggiate. Ci furono lesioni e crolli funesti anche a Balvano (dove il crollo della Chiesa di S.Maria Assunta provocò la morte di 77 persone di cui 66 fra bambini e ragazzi) e a Napoli, dove ne risentirono molti edifici fatiscenti e già lesionati dall'incuria e dal maltempo, antiche abitazioni in tufo.  In Via Stradera a Poggioreale, crollò uno stabile che prima tremava anche con raffiche di vento molto forte! Il crollo causò 52 vittime, tra cui i bambini che erano a una festa in un appartamento. Dopo alcuni giorni nella metropoli partenopea ci si rese conto che le case inagibili erano decine di migliaia e crebbe di oltre centomila unità l'esercito dei senza tetto, aumentando il disagio sociale che con le proteste che si susseguirono salirono alla ribalta dei riflettori della televisione e dei giornali nazionali che il terremoto aveva puntato sulla Campania e sulla Basilicata.

 

In un attimo, 280.000 persone rimasero senza casa, 8.840 furono salvate dalle macerie, ma rimasero ferite e 2.914 non ce la fecero. Un  bilancio altissimo se paragonato ai numeri dei terremoti  recenti che si sono succeduti in Italia.Tutti i sopravvissuti portano ancora oggi, a distanza di quasi quarant'anni, ferite soprattutto morali che non si risaneranno mai, patite a seguito  della perdita dei propri cari strappati improvvisamente al loro affetto, alla distruzione delle proprie case e ai traumi scaturiti dalla scioccante esperienza vissuta.

 

L'Irpinia non è di certo nuova a fenomeni tellurici gravi, e già nel 1930 e nel 1962 c'erano stati dei terremoti forti, ma nessuno come quello del 1980 ha portato a degli sconvolgimenti che hanno mutato inesorabilmente la storia di questo territorio e della sua gente.

 

L'Appennino centro – meridionale, era la zona dove nacque e si sviluppò il Brigantaggio post Unità d'Italia (una delle aree depresse ed economicamente più povere del Paese, dove l'intervento benefico dello Stato centrale era stato meno forte), un territorio dove fra chiesette di montagna e borghi, sopravvivevano antiche tradizioni  sia religiose che legate alla superstizione e al folclore popolare, preservatisi nel corso del tempo, anche in virtù dell'isolamento geografico dell'area, dove fino a pochi anni fa mancavano ancora strade a scorrimento veloce.

 

Nel 1980, i borghi e i paesi dell'Irpinia, come d'altrode tutti i borghi appenninici dell'Italia Centrale e Meridionale, vivevano in una sorta di Medioevo tecnologico, con case moderne che si alternavano ad altre di pietra e terra trasportate direttamente dall'Ancien Regime nell'era moderna, con spesso anguste e strette viuzze dove il sole penetrava bene solo nelle giornate più serene, dove non di rado le stalle e i pagliai erano stati adattati a garage per  automobili, moto e trattori che avevano preso il posto di carri, cavalli e buoi, e i magazini, i solai, trasformati in camere da letto e o soggiorni.

 

Qui, mentre le prefiche vegliavano i morti con i loro riti e canti ( la cui origine è pagana, mutuata dal Cristianesimo e affonda nella Magna Grecia), le donne anziane (nate fra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento) andavano a messa tutti i giorni, facevano la spesa nelle botteghe e ne approfittavano intanto per socializzare con le vicine “spettegolando” in piazza sulle ultime notizie del paese, casalinghe toglievano il malocchio con riti magici  e maghe facevano fatture e sortilegi di morte o d'amore, i più giovani spesso erano andati a cercare lavoro all'estero o nelle grandi città del Nord (come Roma, Milano e Torino) e tornavano nel paese di origine solo per le festività, regalando magari al genitore l'ultimo modello di “Tv Color” (nel 1976 erano usciti i primi televisori a colori), portandosi via carichi di frutta e verdura fresca, pasta all'uovo, confetture, sottoli, insaccati, rigorosamente tutti fatti in casa, come prevede la tradizione dell'Italia centro – meridionale quando un membro della famiglia deve affrontare un lungo e faticoso viaggio.

 

I giovani che erano rimasti in paese, nelle cui vicinanze iniziavano ad aprire delle fabbriche, passavano il tempo organizzando feste, ascoltando e ballando le ultime canzoni e musiche della “Hit Parade”, sfoggiando abiti di grido all'ultima moda, andando al cinema per l'ultimo film comico o colossal di Hollywood,  frequentando le prime discoteche, le pizzerie che si riempivano il sabato sera, oppure andando a vedere le partite in casa e in trasferta dell'Avellino che in quegli anni calcava i campi della Serie A, (passatempo molto diffuso, considerato che all'epoca, si erano da pochi anni  diffusi ovunque i gruppi ultras italiani). Altrimenti, si stava al bar (una specie di osteria modernizzata con jukebox, flipper, biliardino, biliardo, gelati, bevande in lattina e televisione), a bere un bicchiere di vino o di birra, dove si potevano incontrare gli anziani che raccontavano le loro vecchie storie, parlare delle notizie di politica o di sport che si apprendevano in televisione o sui giornali, o facendo sogni ad occhi aperti sulle giovani ragazze del paese che si vedevano passare, soprattutto per accompagnare la madre, la nonna o la zia a fare la spesa, andare in chiesa, a scuola, al lavoro, raramente uscivano per motivi di svago, ma quasi sempre accompagnate da un famigliare o  a volte da una amica, sempre se non erano fidanzate. A volte bastava uno sguardo fugace per far scoppiare una passione anche solo platonica.

 

I più piccoli giocavano spesso a calcio in mezzo alla strada, oppure ad altri giochi di gruppo. I più anziani lavoravano ancora la terra, e i loro ritmi di lavoro erano scanditi dalla musica delle radio private di cui c'era stato il boom proprio in quegli ultimi anni, mentre la colazione, il pranzo e la cena erano accompagnati dai programmi della televisione che dava il buon giorno ai più giovani rimasti in paese che andavano a lavorare nelle fabbriche, negli ospedali e negli uffici, e la buona notte prima di coricarsi, per poi alzarsi la mattina e riniziare una nuova monotona giornata lavorativa pressoché sempre uguale.  Ebbene, proprio in quella che doveva essere una qualsiasi domenica sera delle famiglie della Provincia Italiana, la gente fu colta nell'intimità del focolare domestico dalla furia devastatrice della natura che distrusse la loro casa e spezzò la propria vita o quella dei propri cari, parenti e amici.

 

All'improvviso è come se il libro della storia voltò la pagina su quella che era una società arcaica che stava man mano lasciando il passo al mondo moderno, ma che non voleva scomparire, una società che la tecnologia aveva già fortemente minato col cambiamento drastico dello stile di vita delle nuove generazioni nate fra gli anni '40 e i '50 del Novecento, di cui il terremoto accelerò la fine.

 

Oggi, tracce di questo mondo arcaico, a quasi quarant'anni di distanza, permangono un po' ovunque sull'Appennino, nelle manifestazioni folcloristiche, nelle feste padronali e paesane, nei borghi turistici, nei luoghi dove si vive ancora a contatto con la natura, e dove  risiedono prevalentemente anziani; luoghi che nell'era della Globalizzazione si stanno definitivamente svuotando di giovani italiani e popolando di famiglie benestanti straniere del Nord Europa, americane o australiane che acquistano delle casette per la pensione o per le vacanze, oppure da cittadini provenienti dall'Est o in certi casi, addirittura, dall'Africa Subsahariana, venuti in Italia per cercare fortuna o lavoro. 

 

Ma,  a differenza di altrove, nelle aree della provincia italiana colpite dal terremoto del 1980, questo processo di modernizzazione non è avvenuto così gradualmente, ma è come se l'antica civiltà fosse stata sradicata brutalmente, nel momento in cui a cavallo fra gli anni Settanta e gli Ottanta,  le cose stavano iniziando a cambiare, perciò, proprio qui è ancora più importante coltivare la memoria collettiva di queste antiche tradizioni e dei ricordi che rappresentano il Dna dell'identità di un popolo.

 

Il terremoto del 1980 ha messo in mostra tutti i vizi e le virtù dell'Italia post boom economico che  stava entrando a far parte dei grandi paesi industrializzati della terra.

 

All'inizio degli Anni Ottanta, la mancanza dei mezzi di comunicazione veloci digitali come internet e la rete wi-fi, rendeva ancora difficile percepire subito la gravità del problema. Le prime notizie giunte in Prefettura ad Avellino, a Potenza, a Napoli, fino a Roma nei palazzi di governo e poi diffuse al Tg della Rai, parlavano genericamente di una scossa di terremoto in Campania, ma non si sapeva ancora nulla di preciso. Anche i giornali non ebbero subito la percezione di quello che stava realmente accadendo nell'interno della Campania e della Basilicata, ad esempio il 24 novembre 1980 “Il Mattino” di Napoli titolò “Un minuto di terrore – i morti sono centinaia”, mentre il giorno dopo si passò a “ I morti sono migliaia – 100.000 i senzatetto”, e solo il 26 novembre 1980 si capì a pieno la drammaticità della situazione e il titolo fu “Cresce in maniera catastrofica il numero dei morti (sono 10.000?) e dei rimasti senza tetto (250.000?) - Fate presto per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla” (La cifra dei morti fu inizialmente approssimata per eccesso per le gravi difficoltà di comunicazione e fu poi ridimensionata, ma non è mai stata data una cifra esatta dei senzatetto). 

 

Dunque, l'entità del sisma non venne compresa subito, perciò, i soccorsi partirono in ritardo e divennero di fatto efficaci solo tre o quattro giorni dal sisma, dopo la visita alle zone terremotate del Presidente della Repubblica Sandro Pertini che tornato al Quirinale, tuonò in diretta televisiva nazionale denunciando i ritardi e le mancanze negli interventi: “Non vi sono stati i soccorsi  immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”.

Pertini raggiunse la zona martoriata nonostante il parere negativo del Presidente del Consiglio Forlani. Purtroppo, questi ritardi furono determinanti per la vita di molte persone che rimasti in vita sotto le macerie morirono agonizzanti dopo alcuni giorni, così il numero delle vittime (anche di quelle evitabili) crebbe a dismisura. 

Un altro fattore che aggravò la situazione, fu la precarietà delle strade che crearono difficoltà di accesso ai mezzi di soccorso, isolate ancora di più dal crollo di alcuni ponti e dall'intasamento dei detriti delle macerie sulle strade che ostruivano il passaggio. Inoltre, altro fattore negativo fu la precarietà di infrastrutture come linee elettriche e telefoniche, fattore che risultava determinante per la tempestività nei soccorsi, in un'epoca dove non esisteva ancora il digitale. Non a caso, del minuto e mezzo  del boato del terremoto (che sembra un bombardamento di guerra) non ci resta che la registrazione di una radio privata irpina. In quegli anni le radio furono il primo mezzo di diffusione di massa delle informazioni libere, prima dell'avvento delle grandi televisioni private e successivamente di internet. Infine, l'assenza di un corpo di pronto intervento come la Protezione Civile fece trovare inizialmente impreparate le istituzioni a tale emergenza.

 

Il discorso del Presidente Pertini, accorato, commosso  e pieno di sdegno, di rabbia per le carenze e le manchevolezze della macchina statale, portarono alla rimozione del Prefetto di Avellino e alle dimissioni, poi respinte, del Ministro dell'Interno Virginio Rognoni, ma, soprattutto, la partenza di tantissimi volontari provenienti da ogni parte della Penisola per venire incontro ai propri fratelli d'Italia irpini: ecco il gran cuore e il coraggio del Popolo Italiano  che nel corso della storia unitaria ha sopperito spesso alle carenze, alla disorganizzazione dell'apparato statale.

Anche la ricostruzione mise in luce quelli che erano all'epoca, come lo sono oggi, alcuni gravi mali della società italiana che hanno contribuito a far sprofondare negli ultimi decenni il nostro paese, caratterizzata dalla  corruzione e dallo stornamento di fondi pubblici per fini ed interessi diversi da quelli originali e o da quelli della collettività.

La ricostruzione dell'Irpinia mise al centro dell'opinione pubblica nazionale la mala gestione dei fondi che poi fornì il pretesto a movimenti antimeridionalisti come la Lega Nord per attaccare il Sud “parassita”. Ma, in realtà, la ricostruzione fu una greppia da cui mangiarono indistintamente i politici, le banche e gli imprenditori anche del Nord.

Per capire quale è stata la situazione, sulla ricostruzione scriveva Indro Montanelli “L'uso di 50-60 mila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto nelle nebbie... quel tesoretto non aveva trasformato solo una regione d'Italia, ma addirittura una classe politica...” (In “Le Stanze”, Biblioteca Universale Rizzoli)

A tal proposito, i dati impietosi parlano chiaro:

  • 70 Comuni furono pressoché totalmente distrutti dal terremoto.
  • Oltre 200 Comuni furono gravemente danneggiati.
  • Il cratere del terremoto inizialmente comprendeva 339 paesi, poi infine passati a 687, pari all'8,4% dei Comuni Italiani.
  • 5.640 miliardi spesi senza che per decenni si ricostruissero a pieno tutte le aree colpite
  • Nascita di 26 nuove banche cooperative in sette anni che hanno prestato soldi anche ad imprenditori di altre aree d'Italia e ad aziende che aprivano e poi chiudevano appena arrivati i fondi.

Ma, non è stato tutto negativo quanto successo dopo il terremoto dell'Irpinia perché a distanza di quasi quarant'anni da questa immane tragedia possiamo dire, anche vedendo cosa avvenuto a seguito degli ultimi eventi sismici (come ad esempio il terremoto di L'Aquila del 2009 e di Amatrice del 2016), che i soccorsi da allora sono diventati più rapidi ed efficaci con la nascita della Protezione Civile, corsi di educazione nelle scuole e sui posti di lavoro su come comportarsi in caso di calamità naturali, infine, ci si è cominciati a porre il problema, a partire proprio dagli Anni Ottanta, della costruzione di abitazioni e infrastrutture antisismiche, studio che negli anni Sessanta e Settanta non era assolutamente sviluppato nel nostro paese.

Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

 

 

 

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