(ASI) «Non è passato giorno nei miei nove mesi di prigionia in cui io non sia stata stuprata e picchiata». Non riesce a trattenere le lacrime, Dalal, ragazza yazida di 21 anni, mentre racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la sua drammatica storia.
Nell’agosto 2014, quando lo Stato Islamico ha invaso il nord iracheno, Dalal aveva 17 anni e viveva ad Hardan, un villaggio del Sinjar. Sognava di diventare avvocato, di sposarsi, di avere dei figli. Invece alcuni uomini dello Stato Islamico l’hanno presa assieme a sua madre, le sue due sorelle, i suoi due fratelli e altre 20 persone del villaggio. Il padre si è salvato soltanto perché si trovava in un altro villaggio per motivi di lavoro. «Hanno diviso le donne dagli uomini. Noi siamo state vendute come schiave, mentre loro, anche i bambini, sono stati costretti a combattere. Non la smettevano di insultarci, di dirci che eravamo degli infedeli».
Da quel giorno inizia un calvario di nove mesi durante i quali la ragazza viene venduta a nove uomini diversi e obbligata a convertirsi. «Ci hanno detto immediatamente che noi eravamo musulmane. Il mio primo marito obbligava noi mogli a pregare rivolte alla Mecca, e se non lo facevamo ci picchiava duramente e ci privava del cibo».
Nonostante le atrocità subite, per Dalal è stata proprio la privazione della sua fede la prova più dura. «Il dolore e l’orrore erano costanti e indescrivibili. Quando non violentavano me, assistevo agli stupri delle altre ragazze. Era orribile essere stuprate e vendute, ma l’essere obbligate a pregare era ancora più insopportabile. Perché nel mio cuore vivevo e vivo ancora la mia religione».
Dalal riacquisterà la libertà grazie al nono uomo che l’ha comprata. Stanco di vivere sotto lo Stato Islamico l’ha aiutata a fuggire. La giovane donna ha però pagato cara questa libertà, perché ISIS per vendetta ha ucciso uno dei suoi fratelli. Un altro fratello di 12 anni ed una sorella di 14 sono riusciti a fuggire soltanto nel dicembre 2017. Mentre sua madre ed un’altra sorella sono ancora nelle mani del Califfato.
Oggi Dalal ha un unico obiettivo: aumentare la consapevolezza internazionale in merito al genocidio compiuto ai danni della comunità yazida e in particolare contro le migliaia di ragazze a cui è toccato il suo stesso tragico destino. «Una volta libera avrei potuto dedicarmi alla mia vita, ma ho sentito che per quanto fosse doloroso raccontare la mia storia, era essenziale per impedire che questo orrore accada ad altre donne, ragazze e perfino bambine». Ecco perché anche Dalal si unisce alla campagna ACS #MeToo per tutte e si rivolge alle donne del movimento #MeToo: «Battetevi anche per noi che abbiamo subito violenza in nome della fede. Date voce alle tante di noi che sono state mercificate nell’indifferenza generale. Svegliate la comunità internazionale!».