(ASI) Per anni si è discusso sull’ammissibilità del risarcimento chiesto dai familiari delle vittime di incidenti sulla strada, sul lavoro o per responsabilità medica. Come abbiamo accennato nei precedenti articoli dedicati al medesimo argomento, le principali difficoltà nascevano dal fatto che chi chiedeva il risarcimento non aveva subito direttamente l’infortunio o l’errore medico.
Abbiamo visto come la giurisprudenza e la dottrina, sotto la pressione del foro, sono riusciti a far entrare i parenti del danneggiato nel novero di coloro che subiscono direttamente le conseguenze nefaste dei fatti illeciti e degli inadempimenti.
Oggi ci concentriamo su di un problema che ha impegnato gli interpreti per anni e che si avvia a certa soluzione grazie all’impegno ed alla dedizione di tutti gli operatori della giustizia. Quid iuris quando un danno è stato provocato per inadempimento contrattuale relativamente ai familiari qualificati della vittima? Come si fa a superare lo sbarramento dell’art. 1372 del codice civile che sancisce l’efficacia del contratto solo tra le parti? Le domande non si prestavano a risposte semplici e veloci. Gli esegeti tentarono, all’inizio del percorso, soluzione acrobatiche con cui provavano ad ammettere questo tipo di risarcimento. Utilizzarono, per questo scopo, la figura del “contatto sociale”. Si diceva, anche se il paziente e la struttura non hanno stipulato un vero e proprio contratto, lo stesso è indubbiamente in atto, valido ed efficace, in quanto la struttura esiste proprio per curare le persone che le si rivolgono. Ma questa interpretazione non legittimava, essa stessa, la potestà dei congiunti a chiedere il risarcimento, perché essi non erano parte del contratto. Allora si ricorse agli effetti protettivi nei confronti dei terzi. Il discorso era il seguente. È vero che i parenti non sono parti del contratto, ma in questo è ìnsito la tutela dei terzi familiari, come nel caso della gestante che cura se stessa ed il bambino che porta in grembo, anche se quest’ultimo non ha stipulato nessun contratto.
Erano, queste, soluzioni un po’ arzigogolate che mettevano in difficoltà gli operatori e non davano certezza sulle azioni giuridiche da impostare per ottenere gli indennizzi. Tutto questo fino al giorno in cui la Cassazione, prendendo spunto da un analogo percorso giurisprudenziale, che aveva visto rinascere l’utilizzo dell’art. 2059 del codice civile, non pervenne ad una soluzione costituzionalmente orientata. Gli Ermellini, saggiamente, prendono le mosse dal dato letterale dell’art. 1372 codice civile, nella parte terminale in cui dice ”…nei casi previsti dalla legge”. L’articolo in questione aveva, sino ad allora, attirato gli sguardi, fuorviando gli interpreti, solo nella parte in cui vietava l’estensione degli effetti a chi non era parte del contratto stipulato. Ora i giudici si concentrano nella porzione in cui si declamano aperture agli effetti contrattuali a chi non ha preso parte alla stipula, solo nei casi previsti dalla legge. Ci si accorge che vi è la possibilità di uscire fuori dai rigidi confini degli stipulanti se la legge lo preveda. E quale migliore legge, se non la Costituzione, per fondare una nuova interpretazione risarcitoria. Utilizzando questo canale innovativo la Cassazione consente ai familiari delle persone uccise o gravemente lesionate da eventi imputabili ad inadempimento contrattuale, la tutela risarcitoria. Essi possono chiedere ristoro a figure come il medico, il datore di lavoro, un contraente del proprio congiunto che, violando gli obblighi contrattuali, hanno causato un grave danno. Pur non essendo loro stessi contraenti, gli viene riconosciuta la possibilità, a partire dalla Costituzione, di chiedere il risarcimento dei danni che hanno risentito direttamente.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia