Tra gli “affari correnti” non può esserci lo scioglimento del consiglio comunale di Limbadi

Limbadi Stemma copy(ASI) “Il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro dell’interno Marco Minniti, ha deliberato lo scioglimento del consiglio comunale di Limbadi (Vibo Valentia) e di altri 4 enti, in ragione delle riscontrate ingerenze da parte della criminalità organizzata”. Così il laconico comunicato di Palazzo Chigi di qualche giorno fa che ha mandato su tutte le furie il sindaco, ormai ex, Pino Morello.

Le avvisaglie c’erano già state, ma hanno preso un’accelerazione l’8 agosto scorso quando a Limbadi si è insediata la “Commissione di accesso agli atti” inviata dal prefetto di Vibo Valentia, Guido Longo. Senza entrare nel merito delle dichiarazioni di Morello, che ha spiegato la decisione governativa con il fatto che lui è un comunista e per questo inviso a (quasi) tutti e che la mafia, invece, lui l’ha sempre combattuta, manifestando poi la ferma intenzione di proporre ricorso al Tar del Lazio per l’annullamento dell’atto amministrativo. Non sono a conoscenza, per ovvie ragioni, delle risultanze degli accertamenti della commissione d’accesso, per poter fare qualche ipotesi su quello che potrebbe essere l’esito del ricorso del sindaco, ritengo, però, che l’atto del Governo sia illegittimo. La cosa naturalmente non riguarda solo Limbadi, ma anche gli altri consigli comunali sciolti per mafia con quella stessa deliberazione governativa, vale a dire Platì (Reggio Calabria) per la quarta volta, Bompesiere (Caltanisetta), Caivano (Napoli) e Manduria (Taranto).
Il Governo Gentiloni, di cui fa parte il ministro Minniti, alcuni mesi fa, com’è a tutti noto, ha dato le dimissioni, accolte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale, poi, per non lasciare il Paese senza governo, come da prassi, ha pregato il Presidente del consiglio a rimanere in carica per il “disbrigo degli affari correnti”. Tutto ciò in attesa dell’insediamento del nuovo esecutivo che dovrà avere la fiducia dal Parlamento, uscito dalle elezioni del 4 marzo scorso. Tra gli affari correnti, che poi vuol dire ordinaria amministrazione, è possibile far rientrare, senza peraltro i crismi della necessità e l’urgenza, lo scioglimento di un consiglio comunale per le presunte ingerenze della criminalità organizzata? Mi pare di no. La giurisprudenza, sia amministrativa sia costituzionale, ha più volte sottolineato che “lo scioglimento di un organo elettivo rappresenta una misura di carattere straordinario, necessaria a fronteggiare un’emergenza straordinaria” (cfr. Corte cost.19.3.1993, n. 103; Tar Napoli, sez I, 15.11.2004, n.16778 e Cons. di Stato, sez. IV, 6.4.2005, n.1573). L’intervento statale, quindi, per la sua natura di strumento straordinario, volto a porre rimedio ad una patologia del sistema democratico, incide sui principi costituzionali che regolano il rapporto fiduciario fra il popolo e i suoi rappresentanti democraticamente eletti e, in particolare, sull’autogoverno delle comunità locali. In questo contesto è fondamentale garantire la ponderazione degli interessi coinvolti, attesa la sostanziale identità di tutela tra diritto costituzionale di elettorato e lotta alla criminalità (Consiglio di Stato sez VI, 17.02.2007, n. 665; Tar Lazio sez I, 3.6.2014, n. 5856). Generalizzando, la questione, soprattutto nelle Regioni del Sud, è difficile e complessa, in quanto si tratta non solo di mediare, come si è visto, tra interessi contrapposti, ma anche di valutare il contesto in cui gli amministratori sono chiamati ad operare. E dove basta poco, secondo la normativa vigente - che alcuni parlamentari hanno già detto di voler cambiare - per arrivare, spesso addirittura con la semplice presunzione o semplice ipotesi di possibile condizionamento mafioso, allo scioglimento dell’organo eletto dal popolo. Ma nelle piccole comunità non si possono annullare parentele ed amicizie. A volte si è costretti ad ignorare i certificati dei carichi pendenti, per vivere, anzi per sopravvivere, mentre lo Stato è assente. Salvo mandare qualche segnale forte com’ è successo qualche giorno fa, quando a San Luca, comune dell’Aspromonte senza consiglio comunale, sciolto per le infiltrazioni della ‘ndrangheta, è arrivato il dimissionario, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi, per inaugurare il nuovo campo sportivo. Infatti il calcio – com’è arcinoto – è l’arma più efficace, usata in tutto il mondo, per la lotta alla criminalità organizzata.
Fortunato Vinci – Agenzia Stampa Italia

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