(ASI) Fascismo e antifascismo. Un po’ di storia non guasta, vista l’ultima sortita pasionaria della Boldrini, e visto che le notizie che riguardano le iniziative e mobilitazioni dei due fronti sono ormai sempre quelle delle bombe carta e delle botte da orbi, con la polizia costretta a intervenire per garantire la libertà di espressione per tutti.
Invero, in questi tempi bui, dove si parla poco di contenuti e sempre di cortei estremi, non si ricorda mai che, nonostante lo scempio di Piazzale Loreto, la transizione dal ventennio fascista alla Repubblica antifascista non fu così netta e irriducibile come alcuni vorrebbero oggi leggerla, per giustificare la loro “diversità” e la loro violenza.
Non è la prima volta che ne parlo, anzi quanto vado scrivendo è una vecchia tesi, e cioè che la Repubblica postfascista registrò alcuni importanti elementi di continuità con il Ventennio. Roba non da poco, anzi: la Repubblica sussunse così dal Fascismo il modello di Banca centrale a capitale prevalentemente pubblico, elaborato da Domenico Menichella (nell’agosto ’60 sostituito da Guido Carli, il teorico dell’autonomia della Banca centrale), e che solo l’ineffabile Amato decise di privatizzare nell’anno 1992 – l’anno del panfilo della Regina Elisabetta, ospite di lusso George Soros. Questo permise allo Stato un pur relativo controllo sull’emissione e la politica monetaria italiana, con biglietti che talvolta (le 50 e 100 lire dei primissimi anni Cinquanta, o le 500 lire di Aldo Moro) erano stampati direttamente dallo Stato, senza neppure la mediazione della Banca d’Italia. Insomma, sia un questo caso, sia ad esempio in capitoli solo apparentemente minori – la difesa dell’AGIP da parte di Mattei, contro le mire liquidatorie dei governi Bonomi, sensibili alla pressioni degli USA – la Repubblica non si lasciò attrarre dalle sirene distruttrici di tutto quel che aveva fatto il Fascismo. L’IRI fu l’organismo simbolo di questa continuità, durata come già ricordato fino al ’92. Questi e altri consimili fatti sono storia, che non sarebbe male venissero ricordati dai promotori di violenze tra “fascisti” e “antifascisti”.
Claudio Moffa
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