Il genocidio tra diritto e storia: un crimine fra difetto di tassatività della norma e selettività eteroguidata

Cinque buoni motivi per considerare la possibilità di espungere dal termine genocidio la sua valenza giuridica.


1) L’effetto (dell’accusa di) genocidio
Guillaume Murere: Le terme ‘génocide’ est porteur de violences extrêmes dans la société rwandaise.
Jean Desouter: Génocide signifie dans ce dernier cas (la situazione ruandese, con gli Hutu accusati di questo crimine dai vincitori - ! - Tutsi) un sauf-conduit face auquel personne ne se pose plus de questions.


2) 700mila hutu come riferito da un’Associazione svizzera legata a Carla Ponti sono finiti in carcere, tra gli anni Ottanta e Novanta, con questa terribile accusa. Genocidio di chi da parte di chi ? La Corte penale di Arusha avrebbe processato solo esponenti hutu, con i vincitori Tutsi in Ruanda che ne garantivano il trasferimento presso questo tipico Tribunale ad hoc degli anni Novanta, espressione di una « comunità internazionale» all’epoca – la Russia era in mano a Eltsin - egemonizzata dagli USA (e da Israele). Una intera popolazione perseguitata con questa infamante e infondata accusa (I « genocidiati» vincitori!, come se negli USA dell’800 ci fosse stato un presidente indiano). Un’accusa che, lanciata dsi Tutsi contro le loro vittime, ha generato e moltiplicato l’odio tra le due etnie.


3) Ma i genocidi denunciati da campagne di stampa faziose e superficiali, sono sempre esistiti?
Genocidio vuol dire alla lettera, uccisione di un intero popolo. Dunque, stando al suo significato letterale, nessun vero genocidio si è verificato nrll’età contemporanea: né degli Armeni, né degli Ebrei; né dei Polacchi, né dei Giapponesi né di alcun altro popolo, tranne forse – in tempi relativamente recenti – gli indiani d’America. Esiste dunque una discrasia evidente tra la terribile accusa e i FATTI. Non è un caso che la codificazione di questa agghiacciante parola, adotta l’escamotage dell’intenzionalità per darle una (presunta?) valenza giuridica. Vedi l'articolo 6 dello Statuto della CPI (2002);
Genocide. For the purpose of this Statute, ‘genocide’ means any of the following acts committed WITH INTENT TO DESTROY, in whole or in part, a national, ethnical, racial or religious group, as such:
(a) Killing members of the group;
(b) Causing serious bodily or mental harm to members of the group;
(c) Deliberately inflicting on the group conditions of life calculated to bring about its physical destruction in whole or in part;
(d) Imposing measures intended to prevent births within the group;
(e) Forcibly transferring children of the group to another group.


4) M chi decide della verità dell’ intenzione? In genere le etnie e i gruppi religiosi target dell’attacco cosidetto genocidiario, e i loro alleati nella “comunità internazionale” e nell’apparato mediatico mondiale.


5) Quanto detto nei due punti precedenti induce a comprendere il difetto di tassatività della norma nella codificazione del genocidio, quando si passa dalla denuncia meramente mediatica alla codificazione del “crimine”, sottoposto al vaglio dei Tribunali ad hoc degli anni Novanta, e della CPI del 2002. L’intenzionalità di cui al testo sopracitato (art.6 dello Statuto della CPI) è il presunto rimedio a tale difetto. Ma non è vero, è vero il contrario, proprio tale aspetto della codificazione la rende precaria e contestabile alla radice. Il difetto di quanto fin qui argomentato sta nella radicalità e nell’estremismo assurdo della parola “genocidio”: un’arma di propaganda terribile, che però non ha alcun vero fondamento giuridico e che dal linguaggio giuridico dovrebbe essere espunta per sempre. I “crimini contro l’umanità” non hanno bisogno di tale specificazione, sono sufficienti a mettere sotto accusa gli autori di stragi e persecuzioni efferate quali quelle subite per decenni dai palestinesi. La parola genocidio favorisce prevalentemente gli autori occidentali di una volontà "genocidiaria"

Prof. Claudio Moffa

 

 

 

 

 

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