(ASI) New York - «Società liquida», così la definiva il sociologo Zygmunt Bauman. Ora dobbiamo parlare di frontiere liquide, in un mondo iperconnesso. Le perdite belliche dell’Isis in Medio Oriente portano ad attentati sparsi nel territorio europeo e americano, attraverso emulatori e folli che seguono le informazioni propagandistiche dello Stato Islamico che circolano in rete.

L’ultimo caso riguarda un uzbeko di 29 anni, Sayfullo Saipov, residente a Tampa, in Florida, dal 2010. Con un pick-up noleggiato ha travolto dei runner e un gruppo di ciclisti che percorrevano Chambers Street, nella zona ovest di Manhattan e non lontano dal memoriale del World Trade Center, il vecchio sito delle Torri Gemelle. I morti sono 8, i feriti 15. Fra loro anche una belga e 5 argentini. Il sindaco di New York lo ha definito un «atto vigliacco e orrendo», Donald Trump è tornato a parlare di immigrazione e di «quanto sia importante evitare che un Isis sconfitto in Medio Oriente non debba ora essere lasciato libero di trasferirsi negli Stati Uniti».
Il terrorista, armato di una pistola a inchiostro per continuare a seminare il panico dopo essersi lanciato dal furgone, è stato colpito dai proiettili della polizia e trasferito in ospedale, dove ha risposto agli investigatori dicendo di voler uccidere ancora. Un biglietto scritto da lui in arabo, abbandonato all’interno del pick-up, lo definisce combattente del Califfato.

Nelle ore in cui tutti ricordano attraverso New York gli attentati di Nizza, Barcellona e Londra, solo per citarne alcuni, si delinea un filo conduttore che attesta il disperato tentativo dell’Isis nel combattere una guerra sporca attraverso armi non convenzionali. La mente labile dei soggetti radicalizzati coinvolti e la facilità nel reperire armi improprie come coltelli, furgoni e pistole di piccolo calibro sono i mezzi che permettono allo Stato islamico di essere presenti sui media, pur scomparendo rapidamente sulle cartine del Medio Oriente, dalla Siria all’Iraq.
Il web continua a essere perno del nuovo terrorismo, dove individui instabili ed emarginati trovano una rete che li accoglie e li chiama a servire la causa. Il solo mezzo di cui dispongono ora i jihadisti è quello di continuare a spargere terrore, sulle strade europee e americane per trovare maggiore spazio nella cronaca.
Le vittime diminuiscono, la prevenzione e la reazione delle forze dell’ordine sono sempre più efficaci e repentine. L’incertezza però regna nel momento in cui le difficoltà della società occidentale non possono impedire il fenomeno della radicalizzazione.

«Sono orgoglioso di quello che ho fatto, avrei voluto farlo ancora». Ascoltando le parole del responsabile dell’attacco di Manhattan appare chiaro che dietro i gesti ci sia una vera e propria misantropia, non solo un raptus momentaneo. Se in altri casi recenti, come quello al Natural History Museum di Londra, la pianificazione non era apparsa così evidente, nel caso di New York ci sono chiari riferimenti al Califfato, almeno a livello ideale.
Possono essere tutti lupi solitari, ma il web ha permesso loro di aggregarsi, anche se non fisicamente, attraverso un ambiente digitale.

«Voglio che New York continui a essere New York», così ha detto il governatore Andrew Cuomo, dopo aver ricordato quanti drammi legati al terrorismo la città abbia già vissuto, dall’11 settembre 2001 in poi. I bambini in serata sono usciti lo stesso a festeggiare Halloween, come da tradizione. Ma New York è veramente più forte della paura, oppure anche l’ultima versione del terrorismo è diventata triste parte della quotidianità dei cittadini occidentali?

Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia

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