(ASI) Il caso “Mediaset – Vivendi“ propone alla coscienza collettiva il tema dell’economia , da leggere nella sua più profonda connotazione, intorno al quale interrogarsi, chiedendosi se per economia si debba intendere un processo di sviluppo senza regole e senza anima o se debba intendersi un processo di sviluppo dei territori e della società sorretto dal principio del bene comune e da un’etica che pone al centro l’uomo, quindi, sviluppo collaborativo di forze economiche che cooperano al progresso dei territori senza sopraffare altre realtà economiche.
L’economia selvaggia e l’economia solidale sono i due diversi modelli che si pongono, in tal caso, a confronto.
La storia dell’uomo ha dimostrato che l’economia selvaggia produce apparente ricchezza dei territori, legata in modo simbiotico e smisurato al benessere dei singoli, senza favorire lo sviluppo dei popoli, ma di alcuni imprenditori e, pertanto, fonte da cui sgorgano nocivi dislivelli sociali , che conducono man mano all'impoverimento e, pertanto, al degrado irreversibile, letale alla stessa vita economica , in quanto fa proliferare conflitti insanabili, capaci di deteriorare anche le stesse realtà che sembrano giovarsi di dinamiche aggressive e monopolistiche.
E’ breve, pertanto, il loro percorso storico. Non vivono a lungo, in quanto, inesorabilmente, degenerano.
Ne è testimonianza il processo di globalizzazione, scaturito dall'insana amministrazione delle risorse economiche.
La crescita sociale, come insegna la storia umana, non può che essere sorretta dalla convivenza pacifica di imprese e di aziende, nate dal lavoro premuroso ed intelligente di quanti le hanno generate.
Ne consegue che le varie realtà economiche diventano l’anima di un Paese, la caratterizzano, ne pongono in evidenza la laboriosità e l’identità, sono foriere di sviluppo del loro popolo.
Farle aggredire da forme di economie aggressive significa permettere l’impoverimento della propria cultura del lavoro e della vita, nonché della propria storia.
Ogni imprenditore rappresenta il proprio Stato, in quanto pone al servizio di esso le propria creatività e la propria capacità di fare progresso.
Non possiamo negare certamente ad Agnelli di essere stato detentore della capacità di sviluppo dello Stato italiano, attraverso la propria impresa.
Così pure non possiamo negare a Berlusconi di essere costruttore di sviluppo per lo Stato italiano e, conseguentemente, di aver scritto “belle” pagine di economia per la nostra Italia.
Non possiamo, perché saremmo ingrati, lasciarlo solo in questo difficile periodo della propria vita economica.
Bisogna ricordare che ha creato lavoro per tanti italiani ed ha dimostrato di amare la propria nazione rendendola più ubertosa e più ridente, perché più vivibile dai propri concittadini .
Resta anche da tenere in considerazione l’aspetto culturale, ossia la capacità di veicolare un messaggio diverso nel campo della comunicazione.
Cultura e lavoro determinano il benessere di uno Stato.
Tale obiettivo Berlusconi, dobbiamo riconoscerlo, lo ha realizzato ed è questa la ragione per una stretta di mano solidale ed incoraggiante ad un uomo che ha rappresentato per l’economia italiana un forte baluardo.
Biagio Maimone
Comunicazione Sociale, Politica ed Economica