Viaggio nel mondo dei cacciatori d'Abruzzo con Antonio Campitelli, presidente regionale dell'Associazione Nazionale Libera Caccia (A.N.L.C.)

antoniocampitellifotocacciatore(ASI) – Abruzzo – Negli ultimi anni, gran parte dell'opinione pubblica italiana, sta portando sempre più avanti una campagna di discredito verso l'arte venatoria della caccia, antica come la vista stessa dell'uomo sulla terra.

La caccia riveste una particolare importanza proprio in Abruzzo, la terra in cui l'habitat naturale della flora e della fauna è rimasto pressoché intatto con circa il 70% del territorio montuoso e con ben cinque parchi nazionali e regionali.

A tal proposito, noi abbiamo intervistato Antonio Campitelli, 34 anni, di Atessa, presidente regionale abruzzese dell' Associazione Nazionale Libera Caccia (A.N.L.C.) per conoscere chi sono i cacciatori e qual'è il loro modo di pensare oggi.

1) Ci parli dell'arte venatoria della caccia e del ruolo del cacciatore nell'ecosistema

“La caccia è stata un'attività fondamentale nella storia umana. Già dalla preistoria era la principale fonte di sostentamento per i nostri antenati, ed è stata l'attività che ha consentito lo sviluppo dell'essere umano per come lo conosciamo oggi, perché ha introdotto nella dieta quella fonte di proteine che ci ha consentito di sviluppare determinate capacità cognitive e fisionomiche. Inoltre è stata una delle principali attività aggregative dell'uomo, grazie alla quale si sono formati i primi "gruppi di cacciatori" che hanno a loro volta formato i primi villaggi e le prime società collettive. Successivamente, nella storia, la caccia si è evoluta, ed è diventata anche attività di cultura, di tradizione, di socializzazione, ed oggi anche di ricreazione e di contenimento. La caccia è una passione, un'arte, una tradizione che viene tramandata di generazione in generazione, è parte integrante della cultura rurale, e permette a chi la pratica di vivere appieno la natura, di conoscere approfonditamente gli animali che caccia, gli habitat, le stagioni, le condizioni climatiche e tanto altro. Il cacciatore ha sempre fatto parte dell'equilibrio degli ecosistemi, quell'equilibrio che oggi viene maggiormente compromesso da cause e fattori che nulla hanno a che vedere con l'attività venatoria. Oggi più che mai, con l'enorme incremento della popolazione di ungulati in Italia (soprattutto ai cinghiali ci si riferisce ndr), vediamo come la figura del cacciatore, che è spesso chiamato ad effettuare interventi di contenimento, sia anche necessaria a ristabilire degli equilibri interspecifici compromessi da azioni antropiche a volte dissennate”.

2) Cosa si sente di rispondere a coloro che mettono in discussione l'attività della caccia oggi?

“Credo che costoro non conoscano assolutamente la realtà della caccia. Molti di loro parlano per sentito dire, e hanno un'opinione della caccia che deriva da un ideologia preconcetta, che guarda solo all'atto finale dell'abbattimento, e che non tiene in considerazione tutta la cultura che ruota intorno all'attività venatoria. Alcuni di loro vorrebbero imporre il loro credo animalista a tutto il mondo, cadendo in una sorta di imposizione dittatoriale, che enfatizzando l'amore per gli animali, sminuisce quello per gli esseri umani. Si è arrivati addirittura a distorcere il proprio stile alimentare, in nome della lotta allo sfruttamento animale. Tuttavia questi soggetti non ancora spiegano alla collettività come vorrebbero porre rimedio all'esubero di alcune specie animali, che spesso vanno anche a danneggiare le altre, senza l'attività venatoria, e gli abbattimenti in regime di contenimento”

3) Chi è il cacciatore oggi?

“Oggi il cacciatore è difficile da inquadrare in un modello precostituito. Ne esistono diverse variabili...dal tiratore provetto all'appassionatissimo cinofilo, dal paziente migratorista d'appostamento al dinamico canaio cinghialaio, dall'infaticabile cacciatore cinofilo d'alta montagna all'esperto di armi, balistica e ottiche. Come in tutte le categorie ci sono anche tra di noi delle "pecore nere", che a volte agiscono in maniera sconsiderata e irrispettosa, verso la selvaggina e verso gli altri frequentatori degli ambienti naturali, ma fortunatamente sono una irrilevante minoranza, che per lo più vengono isolati o denunciati dai colleghi stessi. Di una cosa sono certo, oggi il cacciatore è una persona che profonde tanto impegno e tanta passione in quello che fa, che si tratti di allevamento e addestramento dei cani, o di preparazione dell'appostamento di caccia, di studio e osservazione degli animali che intende cacciare, o di conoscenza delle armi e della balistica. È una persona onesta e integerrima, perché per avere il porto d'armi bisogna avere innanzitutto la fedina penale immacolata, oltre che i requisiti psicofisici certificati da un medico sanitario. In sintesi, è una brava persona, appassionata della natura, della caccia, e di tutto ciò che ci gira intorno. Ma è anche troppo spesso una figura che si sente demonizzata, bistrattata e svilita dalla maggior parte dell'opinione pubblica, e ultimamente anche dalle istituzioni”.

4) Cosa ci vuole per diventare cacciatori?

“Innanzitutto ci vuole tanta passione e tanto sacrificio. Per come la vedo io, la passione per la caccia un po' bisogna averla nel DNA, è un po' poi bisogna coltivarla grazie a genitori, parenti o amici che la praticano e che ti fanno avvicinare a quel mondo particolare. A livello legislativo, per diventare cacciatori, si deve superare un esame di abilitazione all'esercizio venatorio, che viene effettuato da una commissione di esperti in varie materie legate all'esercizio della caccia, che ha valenza provinciale. In seguito si dovrà conseguire un attestato di abilitazione al maneggio delle armi presso un poligono di tiro nazionale. E infine, dopo aver superato gli esami di abilitazione, si dovrà superare anche una visita medica che certifichi le idonee condizioni psicofisiche, nonché l'assenza di dipendenze da alcol e da sostanze psicotrope, di utilizzo di sostanze stupefacenti, e di medicinali che possano compromettere la lucidità mentale e la reattività. Infine, dopo aver pagato le dovute concessioni statali e regionali, la documentazione viene inviata al vaglio della questura di competenza, che prima di rilasciare il porto d'armi, controllerà se il richiedente ha precedenti penali, carichi pendenti, o segnalazioni per reati attinenti a comportamenti o illeciti che possano causare un utilizzo improprio ed incauto delle armi da fuoco”.

5) Cosa ne pensa dei Parchi Nazionali?

“I Parchi nazionali oggi, troppo spesso, sono diventati dei "poltronifici", un vero e proprio "business ambientale". Al di là di quello che è il sicuro interesse conservazionista di habitat ed ecosistemi, di biodiversità e territori incontaminati, di specie rare, faunistiche ed arboree, che sicuramente condivido appieno, ci sono troppi impedimenti legislativi che precludono la possibilità agli abitanti dei comuni ricadenti nei parchi, di poter esercitare la propria autonomia nelle attività lavorative e amministrative. Difatti la legge 394/91 che regolamenta la gestione delle aree protette, rimanda le competenze sulle scelte decisionali di qualsiasi genere all'ente parco. In questo modo anche i comuni vengono privati della propria autonomia legislativa, e in fatto di pianificazione territoriale ed urbana, e in altri settori di interesse pubblico. Stiamo assistendo infatti negli ultimi tempi, ad una specie di rivolta dei comuni che ricadono nei territori dei parchi, con esplicite richieste da parte di quest'ultimi di poter fuoriuscire dalla perimetrazione dell'area protetta, oltre ad alcune raccolte di firme per chiedere la riperimetrazione di alcuni parchi nazionali o regionali. Troppo spesso, il regime protezionistico si trasforma in regime proibizionistico. Vengono così "ingessati" decine di migliaia di ettari di territorio, impedendo la realizzazione di infrastrutture, di ammodernamenti, la creazione di strutture ricettive, e di quanto altro sia necessario per rendere disponibile la fruizione del territorio...e badate bene che parlo di "fruizione" e non di "sfruttamento" !!! Non si può valorizzare e promuovere un territorio, se prima non lo si rende fruibile alla collettività. In tutto questo l'Abruzzo, "regione verde d'Europa", è il classico esempio di immobilizzazione di un territorio senza possibilità di fruizione. Abbiamo diversi parchi nazionali più un altro in via di costituzione, 36 tra riserve naturali ed oasi di protezione, una moltitudine di siti d'importanza comunitaria, zone a protezione speciale, esemplari di fauna e di flora unici in Italia, ambienti incontaminati e paesaggi mozzafiato. Dovremmo vivere esclusivamente di turismo, ma in realtà siamo una delle ultime regione d'Italia nella classifica delle ricettività turistica. Se parliamo poi della caccia nei parchi, da noi è assolutamente un tabù !!! Mentre in altri parchi italiani si può praticare la caccia di selezione e degli interventi di contenimento, da noi in Abruzzo non si può nemmeno nominare tale eventualità. Ciò ci fa capire che, probabilmente, negli organi direttivi delle aree protette c'è un ideologia preconcetta bei confronti della caccia e dei cacciatori. Salvo poi concedere a ditte a cui vengono appaltate le catture dei cinghiali all'Inter del parco, l'installazione di "gabbie di cattura" a funzionamento meccanico, nelle quali finiscono i cinghiali. Ma ciò che più mi preoccupa, è che l'installazione di queste gabbie, oltre ad essere antietica e amorale, è anche un pericolo per le specie in via d'estinzione. Chi ci assicura che in una di queste gabbie non possa finire un rarissimo esemplare di orso marsicano ?”

6) Crede che sia stato giusto proteggere specie che erano e sono a rischio estinzione come ad esempio i Lupi Appenninici e gli Orsi Marsicani?

“Giustissimo proteggere quelle specie in via d'estinzione, ma senza che ciò diventi una scusante per impedire l'attività venatoria. Per quanto riguarda l'orso marsicano ad esempio, da qualche anno è stato introdotto il progetto PATOM (piano d'azione a tutela dell'orso marsicano), ossia una pianificazione atta a tutelare e garantire il sostentamento della popolazione di orsi marsicani. Questo progetto, che ha assorbito e continua ad assorbire diversi milioni di euro di finanziamenti, prevede una serie di studi ed interventi per la salvaguardia dell'orso. Tuttavia, da almeno un decennio ad oggi, nonostante l'attuazione del progetto PATOM, la popolazione di orsi continua a rimanere pressoché stabile. Forse perché, oltre a pensare a limitare l'attività venatoria in tutta l'area del PATOM, nulla di concreto è stato fatto. Inoltre, forse a qualcuno è sfuggito che il cinghiale è uno dei principali competitori alimentari dell'orso, e con tutte le limitazioni sulle modalità e sulla tempistica imposte dal PATOM, la popolazione dei cinghiali è in continuo aumento. Se ne deduce che se i cinghiali aumentano, consumano più risorse alimentari, e ne rimangono di meno per gli orsi.”

7) Esistono oggi in Italia, secondo alcuni studi, un milione di cinghiali e un numero di cervi, camosci e caprioli che raggiungono il numero di quelli che c'erano nel Medioevo, commenti queste due affermazioni

“In merito a queste dichiarazioni, non posso che dire che sono suffragate...dal nulla !!! Non siamo assolutamente a conoscenza di quella che è la reale consistenza delle popolazioni di ungulati oggi in Italia. Innanzitutto perché non sono stati mai effettuati censimenti approfonditi e minuziosi, inoltre ci sono tantissime aree del territorio italiano che non sono state mai censite, soprattutto all'interno delle aree protette. Inoltre, gli ungulati sono animali molto dinamici, che in pochi giorni possono compiere spostamenti di chilometri, quindi i censimenti sono eseguiti per poi fare delle stime approssimative. Dire quanti siano gli ungulati presenti in Italia oggi è praticamente impossibile, ma di una cosa possiamo essere certi, che sono in continuo aumento !!! Tuttavia la politica continua a non accorgersi di quello che sta realmente accadendo nei nostri boschi e nelle nostre campagne. Perché logicamente, chi legifera seduto comodamente su di una poltrona, dietro una scrivania, difficilmente può comprendere ciò che accade nelle aree rurali. Di conseguenza continuano ad essere indifferenti a questo problema, e continuano a proporre inutili palliativi”.

Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

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