(ASI) Perugia - In una gremita Sala dei Notari del Palazzo comunale dei Priori in Perugia si è tenuta, il 21 maggio pomeriggio, la conferenza dal titolo “I cristiani in Medio Oriente: la vita delle comunità in Siria e Iraq” promossa dall’Associazione culturale “Charles Péguy” e dal “Comitato Nazarat” con il patrocinio dell’Archidiocesi e del Comune di Perugia. Sono interventi il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti e i giornalisti inviati in aree di conflitti Rodolfo Casadei e Gian Micalessin.
E’ stato trattato un tema di grande attualità, quello dei tanti cristiani perseguitati e martiri per la loro fede e di tutte le minoranze represse con la violenza nel mondo, per i quali il “Comitato Nazarat” ha organizzato il prossimo 24 maggio (ore 21), nella basilica di San Costanzo in Perugia, un incontro di preghiera-testimonianza con un protagonista del dramma delle persecuzioni, Samaan Daoud, damasceno esule con la famiglia in Italia. A seguire si terrà la recita del rosario guidata dal vescovo ausiliare mons. Paolo Giulietti. Quest’appuntamento, come in altre città italiane, si svolgerà con cadenza mensile il giorno 20 di ogni mese (data emblematica, in ricordo del 20 luglio 2014 quando da Mosul, in Iraq, l’Isis cacciò oltre 130mila cristiani che fuggirono nel Kurdistan iracheno).
Il cardinale Bassetti, nel portare il suo saluto, ha ringraziato quanti hanno «organizzato un incontro su un tema così drammaticamente attuale – ha evidenziato il porporato –, che tocca nel profondo il mio cuore e la mia anima. Le difficili condizioni di vita in cui sono costretti a vivere migliaia di fratelli nella fede, in tante zone del Medio Oriente e anche del nord Africa, che pagano con il sangue della loro vita il prezzo della loro adesione a Cristo, non possono non rimandare alle parole che Gesù aveva detto ai suoi discepoli: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (GV 15, 18-21). Questa è la condizione del cristiano di sempre. Di ogni luogo e di ogni tempo. È la condizione di noi, oggi, non dimentichiamocelo, che stiamo parlando liberamente qui in questa bellissima sala di Perugia. Ed è soprattutto la condizione dei nostri fratelli mediorientali. Le notizie e le immagini che provengono dal Medio Oriente, dove la presenza delle comunità cristiane risale agli albori della predicazione apostolica, sono assolutamente terribili. Uomini, donne e bambini perseguitati e uccisi in odio alla fede. In quei territori, senza dubbio, i nostri fratelli testimoniano con la loro vita la fede in Gesù Cristo. E come ho avuto modo di dire nelle meditazioni per la Via Crucis questi nostri fratelli sono "i martiri del XXI secolo" ovvero "sono i veri apostoli del mondo contemporaneo"».
«Non possiamo perciò rimanere indifferenti, impassibili – ha proseguito il cardinale – di fronte a ciò che accade in quei territori perché quelle sorelle e quei fratelli sono carne della nostra carne. Siamo parte di un'unica comunità di credenti, e, ancor prima, siamo parte di un'unica famiglia umana. Oggi di fronte a tanta violenza ho la sensazione che ci sia un grande smarrimento: nessuno si mobilita per una strage di così vaste proporzioni, che però purtroppo occupa uno spazio non così rilevante all'interno dei notiziari dei media. Papa Francesco, ha detto che, ormai, in tutto il mondo, al di là delle nostre intenzioni e delle nostre capacità, esiste un "ecumenismo del sangue", cioè la capacità dei cristiani di dare testimonianza fino a donare la vita. "Coloro che perseguitano Cristo nei suoi fedeli – ha detto il papa – non fanno differenze di confessioni: li perseguitano semplicemente perché sono cristiani". Il resto del mondo, dunque, ci riconosce come cristiani, come provenienti da un'unica grande storia, da un unico grande albero, e coloro che ci odiano in nome della fede ci accomunano nelle sofferenze, nelle umiliazioni, nelle persecuzioni. E allora sorge immediatamente una domanda: che cosa possiamo fare? La prima cosa che dobbiamo fare consiste nell'affidarci alla Misericordia di Dio attraverso la preghiera. Queste sono le armi più grandi che ogni cristiano ha nella sua faretra. Affidarsi alla Sua infinita Misericordia e pregare sono i modi più semplici e più forti per chiedere aiuto al Signore e per stare in comunione con i nostri fratelli. Purtroppo, però, sono forse anche la modalità più bistrattate nel mondo di oggi. Bistrattate non solo dai politici e dai militari ma forse anche da molti cristiani un po' tiepidi e in crisi di fede. Questo è un errore spesso dettato dall'incredulità e a volte anche dalla paura. Ma come ci ha insegnato Gesù è la fede che sposta le montagne! E niente altro».
«Se noi abbiamo una fede autentica allora possiamo dar vita, partendo anche da Perugia – ha detto il presule –, a una vera e propria Geopolitica della Misericordia. Un geopolitica che è un modo cristiano di stare nel mondo ed è costituita, essenzialmente, da tre strade: conoscenza, pace e dialogo. Occorre non accontentarsi delle letture superficiali. Un incontro come questo significa "conoscere" ed è quindi estremamente positivo. Non deve però essere l'ultimo. Occorre infatti interrogarsi in molte direzioni». Come cristiani bisogna, ha aggiunto il cardinale, «farsi operatori di pace» e questo «è possibile solamente se si riconosce, nel profondo del proprio cuore e non solo a parole, che Cristo è l'unica pietra su cui si è scelto di costruire la propria vita. Per questo motivo non si può rispondere alla guerra con la guerra. La strada maestra sono sempre, finché è possibile, i negoziati di pace». Eccorre anche, ha ricordato Bassetti avviandosi alla conclusione, «costruire luoghi di dialogo. Dialogo politico, culturale, economico e soprattutto interreligioso. Papa Francesco con la sua predicazione profondamente evangelica e disarmata sta richiamando tutti gli uomini religiosi alla necessità di costruire con il loro dialogo alternative alla cultura dello scarto, che ha la sua origine proprio nel rifiuto pratico della trascendenza. Occorre attivarsi, in tutti i modi, per costruire "ponti e abbattere i muri", come diceva La Pira, in modo da suscitare sentimenti di perdono e di aiutare a ricostruire quei legami di pace e di solidarietà con tanta parte di umanità a noi anche prossima. Probabilmente mai come adesso le parole di La Pira tornano ad essere particolarmente attuali. È giunto il momento, cioè, di superare qualunque divisione e ogni contrasto fratricida per edificare solidi legami di collaborazione, lungo il solco, aperto dal Concilio Vaticano II, del dialogo interreligioso. Senza uno sforzo tenace e vigoroso in questa direzione, sarà estremamente difficile se non impossibile restaurare la pace in Medio Oriente e aiutare i nostri fratelli perseguitati e martirizzati in odio alla fede».
I giornalisti Casadei e Micalessin sono intervenuti illustrando dei filmati da loro realizzati sulla situazione in Iraq e in Siria. Casadei ha evidenziato «le ragioni delle recriminazioni dei cristiani iracheni verso i governi arabi e occidentali che hanno creato le condizioni per la persecuzione che stanno subendo». Ha così raccontato «le storie di alcuni cristiani iracheni martirizzati negli ultimi dieci anni» e mostrato immagini della «fuga dei cristiani iracheni dalle loro case nell'estate del 2014 e la loro condizione di profughi interni (Natale 2014 e Pasqua 2016)». Casadei ha concluso con alcune «testimonianze di cristiani iracheni profughi che hanno deciso di restare in Iraq e di non emigrare, nonostante la situazione precaria in cui si trovano da quasi due anni, a motivo della Fede, in particolare a motivo del riconoscimento di un compito che Dio loro affida per restare a testimoniare Cristo in Iraq». Micalessin ha parlato di «orrore prevedibile in Siria», partendo dal 2012 e illustrando con vari filmati i contenuti della sua relazione ha spiegato come «la tragedia siriana sia anche il frutto della miopia di un Occidente che ha continuato, anche dopo gli errori libici, a considerare democratiche liberali e sostanzialmente “moderate” le formazioni jihadiste in lotta con il regime di Bashar Assad».