Italicum, Partito della Nazione, e vizi congeniti del Pd renziano. Bipartitismo o “partito unico” di potere?

(ASI) L’Italicum prefigura un nuovo sistema politico. Fuori dalle secche del bipolarismo, il sistema elettorale studiato da Renzi e dai suoi non va affatto nella direzione di un sistema bipartitico, come potrebbe far credere il fatto che il premio di maggioranza viene dato alla lista, cioè al partito che ottiene la maggioranza relativa, e non alla coalizione.

Questo effetto, attendibile in teoria, verrà di fatto pregiudicato dall’attuale grado di consenso alle forze politiche che emerge un po’ da tutti i sondaggi. Adesso, infatti, anche grazie alla debolezza dei partiti nati dalla galassia del centrodestra, ed escluso il Movimento 5 Stelle (che è “fuori” dal sistema) solo il pd ha i numeri per assicurarsi un lungo periodo di supremazia. Ciò sembra garantire al pd di potersi consolidare nel breve-medio periodo come partito centrale e, praticamente, “unico” del panorama politico italiano.

Il “Partito della Nazione”

Renzi lo sa e non si va lontano dal vero, né si può essere accusati di processi alle (seconde) intenzioni se si afferma che, in realtà, il suo disegno è quello di arrivare al “Partito della Nazione” di cui tanto si parla in questi giorni. Un partito sempre meno, e tendenzialmente  “per niente”, precisamente caratterizzato in senso ideale, culturale, e programmatico, con un’identità politica indefinita e mutevole secondo le circostanze (e le convenienze) allo scopo di essere al massimo inclusivo, rappresentativo di (quasi) tutto e di (quasi) il contrario di tutto. Perché questo serve per vincere le elezioni e stare al centro del ring: consolidarsi e qualificarsi come partito sempre di  governo, imprescindibile, da radicare in tutti i gangli della vita nazionale, fino a renderlo se non insostituibile, difficilmente rimpiazzabile. Ciò permetterebbe di allearsi ora di qua, ora di la, ora con uno spezzone di sinistra ,ora con uno di sinistra, o con entrambi. Gli altri partitini che si alleeranno con lui alle elezioni, avranno una vita e una visibilità meno che da comprimari, ammesso che superino lo sbarramento del 3% che l’italicum prevede.

Il nuovo pd, partito a modello monocratico.

E il nuovo PD sarà, di fatto, un partito a guida monocratica, con il segretario che sceglierà, indisturbato e indisturbabile, insieme a pochi fidati (ché i non fidati potrebbero fare la fine dei membri della minoranza pd della commissione Affari costituzionali della Camera) tutte le cariche del partito e tutti gli uomini e le donne nelle istituzioni.  Non a caso, uno dei punti più criticati da chi si oppone all’Italicum, è che, con questa legge, i capilista nelle circoscrizioni (ovviamente “affiliati” al del leader) saranno di fatto nominati, perché esentati dal cercare e ottenere il consenso dei cittadini attraverso le preferenze. Né più né meno dei nominati dell’attuale sistema del “Porcellum”.

A questo si aggiunge che il tradizionale modello del partito di massa sta rapidamente evolvendosi in un insieme di comitati elettorali. Lo dice il crollo delle iscrizioni e una sempre più diffusa sensazione, o convinzione -come tale legittima- che la partecipazione alla vita e al dibattito interni non sia né stimolata, né ricercata, né più vista dalla leadership come elemento caratterizzante dell’identità del partito. Il quale, pertanto, deve svegliarsi, agire, esser presente e lavorare in prossimità delle scadenze elettorali -a partire dalle primarie, nei casi in cui ancora si riterrà opportuno indirle- e , poi, tornare a mettersi allineato all’ombra del leader di turno. Si tratta di un modello di partito diametralmente opposto -e non per questo né migliore, né peggiore in sé stesso- a quello finora conosciuto nel pd e nel centrosinistra italiano. Diciamo nel filone dei partiti americani. Ma senza il dinamismo interno, le garanzie di accesso e la parità di condizioni di partenza nella lotta per la leadership, l’esposizione “feroce” ai controlli e contrappesi democratici (a partire da un sistema dell’informazione libero e indipendente) presenti nella realtà americana. Insomma, un partito della Nazione in una Nazione che conosce uno dei livelli più alti al mondo di corruzione del potere e di non rispetto delle norme di ogni genere e livello  .

La qualità della classe dirigente

Un partito, inoltre, che vorrebbe con Renzi caratterizzarsi come nuovo e meglio selezionato nella classe dirigente, ma che sembra tutto meno che porsi il problema di una selezione efficace,  meritocratica anche se non democratica, dei propri dirigenti, locali e nazionali. Se Renzi è stato efficace e determinato al limite, forse oltre, della spregiudicatezza nel rottamare la vecchia nomenclatura, non sembra essersi posto con altrettanto, doveroso scrupolo, il problema della qualità dei nuovi. E questo specialmente a livello locale, con particolare riferimento ad alcune zone del sud, anche se il fenomeno è presente e diffuso ovunque vi siano implicazioni di potere nelle istituzioni. Sta prevalendo, in queste zone franche, il vecchissimo, incancrenito metodo in voga nel sistema dei partiti italiani da almeno un ventennio. Non si aiuta a crescere e non si promuove quello bravo, quello che dimostra qualità politiche, visoni strategiche e passione civile. Si preferisce favorire  il fedele amico di cordata e/o quello che fa immagine e vetrina, meglio se di non alto spessore politico, così non darà fastidio ai manovratori. E la promozione così concepita, continua ad avvenire in tutti i campi, nelle istituzioni, nella burocrazia, negli enti pubblici, nelle società municipalizzate o comunque partecipate; nella ricerca, nell’università, nella sanità, nell’informazione, nell’economia e persino nella cultura. Col risultato che la mediocrizzazione di un’intera classe dirigente è diffusissima, al pari della sua ramificazione in profondità in tutti i gangli della vita pubblica, e sembra ormai aver compromesso le possibilità del Paese di liberarsene per dare spazio alle sue migliori energie.

Partito nuovo, trasformismi vecchi

Che questo sia l’obiettivo perseguito da Renzi allo scopo immediato di sostituire la vecchia classe dirigente con suoi uomini o, semplicemente, un effetto della sua azione politica, ancorché non voluto, alla peggior tradizione della vita politica italiana, il tempo o dirà. Ma, certo, ad oggi, di fronte a questa diffusa continuità col passato peggiore di metodi e di sostanza politica, sembra un mero espediente propagandistico, come tanti altri ne abbiamo visti e sentiti, il tanto invocato “Paese rivoltato come un calzino”.

E, per tornare al “Partito della Nazione” di Renzi, che vi sia una continuità non commendevole con i peggiori trasformismi della politica italica, sembrerebbe indurlo a pensare l’accorrere al banchetto del vincitore annunciato e del partito senza più tinte decise, di una serie di orfani politici in cerca di nuovo e diverso accasamento. Un salto del fosso che costoro evidentemente ritengono di poter fare limitando il rischio di essere tacciati come dei  voltagabbana in quanto, ormai, lo sfumarsi di differenziazioni ideali e programmatiche,  non li costringe a clamorose abiure politiche. Ci riferiamo alla confluenza frettolosa e quant’altre mai tempista nel nuovo Pd di gran parte dei parlamentari eletti con Scelta Civica di Monti; all’avvicinamento al partito renziano di settori di parte dei fuoriusciti grillini; all’attenzione molto ravvicinata di alcuni settori del NCD di Alfano, viste le incertezze del quadro politico di centrodestra. E, da ultimo, anche alle prese di posizioni pro Renzi del già berlusconiano della prim’ora Sandro Bondi, fedelmente accompagnato dalla consorte nel viaggio di avvicinamento al nucleo del PDN.(ASI)

Daniele Orlandi - Agenzia Stampa Italia

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