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Messico. Intervista ad Alberto Leoni sulla Guerra Cristera

(ASI) I toni e i contenuti delle odierne campagne d’odio perpetrate all’indirizzo della Chiesa cattolica - che nel mezzo stampa trovano il loro amplificatore e nelle logge massoniche l’innesco - ci rimandano ad episodi del passato, invero poco considerati dalla storiografia ufficiale, che sono spesso degenerati in feroci violenze.

A tal proposito, dal Messico degli anni ’20 del secolo scorso sembra giungerci il sempreverde aforisma latino Historia magistra vitae: un monito a non sottovalutare i segnali di ostilità che provengono da ambienti anticlericali. La Guerra Cristera, infatti, non è altro che la sacrosanta esplosione di una graduale insofferenza che il governo messicano di quegli anni provocò alle centinaia di migliaia di cattolici, radicati nel Paese sin dalla sua fondazione, per via di una serie di misure sempre più restrittive verso la loro fede. Nelle sale cinematografiche d’oltreoceano è uscita quest’anno una pellicola (il cui titolo è Cristiada) che restituisce al dibattito storico il tema della Guerra Cristera con l’importanza che merita. In Italia, alcuni autori hanno prodotto libri al riguardo frutto di studi molto approfonditi. Tra loro, Alberto Leoni (Dio, patria e libertà! L'epopea dei Cristeros - edizioni Art), che Agenzia Stampa Italia ha contattato per approfondire questo avvenimento storico sommerso.

Dott. Leoni, penso sia anzitutto utile chiarire il contesto storico in questione. Come fu possibile che il Messico, Paese dalla fortissima tradizione cattolica, finisse nelle mani di una ristretta cerchia di politici ostili al sentimento cattolico popolare e, successivamente, in quelle di un Presidente spietatamente anticattolico come Plutarco Eas Calles?

In “Dio, Patria e Libertà” ho avuto modo di chiarire questo aspetto che, giustamente, può apparire alquanto contradditorio. La guerra cristera fu solo l’ultimo atto di un contrasto fra l’elite liberale e massonica e la chiesa cattolica messicana iniziato fin dall’inizio dell’indipendenza messicana ai primi del XIX secolo. Non va dimenticato che in Messico ci fu una grande guerra civile (1857-1860) che vide i liberali vincitori sui conservatori, appoggiati dalla Chiesa, seguita dall’invasione francese (1864-1867) in cui un massone come Massimilano d’Asburgo si proclamò imperatore contro i liberali di Benito Juarez. In questa occasione la Chiesa non presa parte alla lotta, così come si mantenne neutrale anche nella grande guerra civile degli inizi del Novecento (quella che vide leaders come Pancho Villa ed Emiliano Zapata). Le leve del potere politico, economico e, soprattutto, militare, erano saldamente in mano all’elite liberale e contro di questo potere i cattolici non potevano far molto. Non va dimenticato, però, che come in ogni guerra civile, il fratello finì per combattere contro il fratello, anche nella fede. Sicuramente la gran parte dei soldati e degli agraristas ( le milizie agrarie pro-governative) erano anch’essi cattolici che combattevano contro i cristeros, spesso contro amici e parenti. Come vede la situazione era non solo drammatica ma anche assai complessa.

A Calles vanno imputate le norme più restrittive nei confronti dei cattolici messicani. In cosa consistettero?

Va fatta un’altra premessa. Anche prima del 1926 vi erano state persecuzioni contro la Chiesa e la promulgazione di leggi anticattoliche. La differenza era che queste leggi non venivano applicate e quando lo furono scatenarono la rivolta dei religioneros nel 1873: una rivolta che mise in crisi il governo centrale e spianò la strada al colpo di stato di un altro massone, il generale Porfirio Diaz che, saggiamente, non le applicò. Una frase di questo dittatore, spietato ma accorto, ci fa capire come avesse ben capito il problema della Chiesa in Messico: “Non ci sono ricchezze considerevoli nelle mani della Chiesa – diceva – e ci sono rivolte popolari solo quando il popolo è ferito nelle sue tradizioni più radicate, nella legittima libertà di coscienza. La persecuzione della Chiesa, che riguardi o no il clero, significa la guerra e una guerra tale che il governo, per vincerla ha bisogno dell’aiuto umiliante e dispotico, costoso e pericoloso, degli Stati Uniti d’America. Senza la sua religione il Messico è perduto senza rimedio”. Anche Obregon, per quanto ferocemente anticattolico, mantenne una certa dose di prudenza. Calles pensò che fosse venuto il momento di sopprimere la Chiesa con le Leggi penali approvate nel luglio del 1926. Esse prevedevano l’abolizione dell’insegnamento religioso e di ogni espressione o immagine religiose. Venivano punite anche espressioni comuni come “Se Dio vuole” o “Dio ne scampi”. Venivano puniti anche i genitori che avessero educato alla fede i propri figli; vennero chiusi o distrutti o utilizzati come stalle, templi e conventi e furono espulsi tutti i membri degli ordini religiosi. Sciolti i sindacati cattolici. Le violazioni di queste norme, anche minime, erano punite col carcere e, successivamente, anche con la morte. E non vanno dimenticati gli attentati dinamitardi, le uccisioni e i rapimenti. Perché Calles fece tutto ciò? Una cosa che, spesso, non si considera era che questo avveniva in un periodo di fortissime tensioni sociali. Individuare un nemico comune ebbe l’effetto di mettere nello stesso schieramento i latifondisti, i liberali, i comunisti e gli anarchici del sindacato CROM. Calles, da parte sua, aveva una strana ideologia in cui si fondevano liberalismo, fascismo e comunismo.

Quale fu l’iniziale reazione dei cattolici messicani a questa aperta sfida al loro indirizzo da parte del governo e come si arrivò allo scontro armato?

Il bello è che di fronte ai tentativi di mediazione dei vescovi Calles, il 21 agosto, rispose “Non vi resta, se non volete sottomettervi, che due strade:il ricorso al Parlamento o il ricorso alle armi”. Probabilmente Calles pensava che, data la mansuetudine evangelica, non avrebbe avuto problemi di rivolte armate, ma solo quello di far scavare qualche migliaio di fosse dove seppellire martiri disarmati. In effetti, la risposta dei cattolici fu, per molto tempo, controllata e civile. Ci fu un pesantissimo boicottaggio economico che colpì la fragile economia dello Stato e poi la clamorosa sospensione del culto ad opera degli stessi vescovi. A quel punto la situazione era esplosiva e bastò qualche prete ucciso in più, qualche altra chiesa devastata per provocare la reazione dei cattolici. Va notato, però, che la rivolta armata interessò quasi esclusivamente i contadini mentre, nelle città, la disobbedienza rimase sempre a livello di testimonianza disarmata.

Nel titolo del suo libro utilizza il termine epopea per definire l’esperienza dei Cristeros. Quali riscontri storici l’hanno spinta ad attribuire all’esperienza di questi “cristiani armati” del Messico un termine così glorioso?

Quando di fronte allo strapotere di un governo arrogante e sanguinario, che pensa di poter trionfare solo in forza delle armi e della spietatezza nell’usarle, vediamo piccole bande agire, inizialmente per autodifesa, la simpatia di un uomo amante della giustizia va sempre ai ribelli. E quando questi ribelli guadagnano le prime vittorie ci si stupisce e ci si stupisce ancora di più della loro progressiva capacità di metter in difficoltà un potere criminale. Come ogni insurrezione vi furono martiri purissimi, ( beatificati da Giovanni Paolo II) combattenti impavidi e incorrotti come cavalieri templari (come padre Aristeo Pedroza) e altri che, invece, non erano tanto puri e nemmeno molto cavallereschi (come padre Reyes Vega). A ciò vanno aggiunti i banditi “tout court” ma credo che questo avvenga in tutte le lotte di popolo. Personalmente una cosa che trovo fastidiosa è il considerare i “cristeros” alla stregua di angeli e martiri in modo totalitario. I prigionieri dell’esercito regolare venivano, di solito sgozzati o finiti a pietrate per mancanza di munizioni. La rivoluzione non è una festa da ballo.

La Guerra Cristera terminò nel 1929 con la firma degli Arreglos (accordi), che prevedevano l’immediato cessate il fuoco ma che declinavano a sfavore della Chiesa, in quanto tutte le leggi anticattoliche restavano in vigore. Quali effetti scaturirono da questi accordi iniqui?

Diciamo che con gli arreglos venne ripristinata la situazione precedente: le leggi continuavano a esserci ma non venivano applicate se non raramente. Nel contempo i cristeros e, soprattutto, gli ufficiali ribelli, vennero abbandonati dalla Chiesa alla mercé del vincitore. Ne valeva la pena? I cristeros sono stati traditi dai propri vescovi e dalla Chiesa che avevano difeso col proprio sacrificio? La risposta è sì, i ribelli sono stati sacrificati e il prezzo della pace è stato pagato da loro. Ma, d’altra parte, eviterei di stigmatizzare il comportamento dei vescovi ai quali stava a cuore la condizione di tutti i cattolici messicani e, in modo particolare, di quelle regioni che avevano subito lutti e devastazioni. I cristeros non avrebbero mai perso la guerra ma non potevano nemmeno vincerla. Di solito, in queste condizioni, è lo Stato a crollare ma i vescovi volevano la pace ad ogni costo e non si può dar loro torto. Come in ogni tragedia, vi è stato lo scontro non fra il bene e il male ma fra due necessità, quella di resistere e quella di fare la pace.

Nel siglare i termini degli Arreglos ebbe un’influenza importante l’ambasciatore degli Stati Uniti presso il Messico. Che interesse ebbero gli Stati Uniti a sostenere un governo messicano che reprimeva con violenza i cattolici?

L’interesse che sempre hanno avuto gli Stati Uniti e cioè di controllare ciò che avviene nel “cortile di casa”, specie se questo cortile dispone di materie prime che possono essere acquistate a prezzi vantaggiosi. Se i “gringos” sono così poco amati una ragione ci sarà ma la cosa strana è che la propaganda liberale imputa alla Chiesa il tradimento di aver sempre chiesto aiuto agli odiati Stati Uniti: il che è il puro rovesciamento della realtà.

Trova attinenza tra la Guerra Cristera - definita da molti storici una guerra di religione - e i moti anti-risorgimentali avvenuti in Italia centocinquant’anni fa?

Vi sono molti punti in comune, anche se, di fronte a caudillos come Calles od Obregon, Cavour e Crispi sembrano imperatori filosofi e Garibaldi un ser Lancillotto. Le analogie riguardano soprattutto l’avidità di beni ecclesiastici, la pretesa di regolamentare ordini religiosi e di ridurre la Chiesa ad ancella spirituale dello Stato. Lo Stato liberale moderno, è sempre stato nemico del cattolicesimo in quanto è un limite evidente al proprio potere. Molto meglio il protestantesimo, più addomesticabile, più frammentato, più fedele allo Stato. Non c’è da stupirsi se anche i Padri della patria risorgimentali cercarono di introdurre il protestantesimo in Italia e questo non certo perché entusiasti di Lutero ma perché consideravano quella confessione uno strumento a propria disposizione: un abuso infamante di una confessione religiosa cristiana, offensivo per gli stessi protestanti.

Per concludere, ci racconti il motivo per cui il mantello con l’immagine della Madonna di Guadalupe assume durante quelle odiose persecuzioni, per i cattolici, un significato soprannaturale, diventando, altresì, la dimostrazione di quanto inutile possa rivelarsi ogni attentato alla fede cattolica da parte dei suoi nemici.

Cito solo un episodio che risale a cinque anni prima dell’insurrezione. Il 14 novembre 1921 un impiegato della segreteria particolare di Obregon accompagnato da 50 soldati, travestiti da contadini, pose una carica di dinamite sotto l’immagine della Vergine di Guadalupe. L’esplosione fu terribile e tutti i vetri del santuario andarono in pezzi ma la reliquia, incredibilmente, non subì alcun danno. L’attentatore venne protetto dal governo e non subì alcun processo. In effetti ciò è poco spiegabile, come non lo è, da un punto di vista scientifico, l’immagine impressa sulla “tilma della Morenita”. Non vorrei sembrare scettico o incredulo ma credo che nemmeno la vergine di Guadalupe possa salvare il Messico se non ci sono santi nel suo popolo. Direi invece che lo straordinario potere della Vergine su questo paese sia nel suscitare un popolo che non smette di credere, di vivere e di sperare anche in condizioni gravissime come quelle che sta attraversando in questo momento a causa della guerra fra clan criminali. Ricordo solo che, oggi, il Messico è un posto più pericoloso dello stesso Irak, almeno a leggere la frequenza di stragi e attentati che si susseguono. Eppure è da questo stesso paese che sono venuti santi come Anacleto Gonzales Flores o padre Augustin Pro o il piccolo Sanchez Del Rio. Figure di santi luminose come quelle dei primi secoli del cristianesimo e che fanno riflettere sulla nostra occidentale ed evoluta tepidezza.

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