“Posso dire con certezza che sta avvenendo una nuova guerra fredda, e la Siria rappresenta l’avamposto mediterraneo dello spazio vitale di uno dei due blocchi coinvolti, quello di cui fanno parte la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese”. Questa l’opinione dell’esperto di questioni mediorientali Talal Khrais, corrispondente in Italia dal 1986 del quotidiano libanese As-Safir e responsabile esteri del Centro italo-arabo Assadakah. Di ritorno dal suo ennesimo viaggio in Medio Oriente e in Asia, ha accettato di rispondere ad alcune domande di Agenzia Stampa Italia.
Quanti e quali attori sono coinvolti attualmente in Siria?
La realtà è molto più complessa di quanto si possa pensare. La Siria è parte di uno scacchiere geopolitico molto esteso, su cui spirano interessi contrapposti. Da una parte troviamo gli Stati Uniti e l’Europa (sempre più, quest’ultima, supina agli interessi americani), dall’altra ci sono i Paesi emergenti e due superpotenze conclamate, la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese, le quali intrattengono rapporti d’alleanza con i Paesi verso i quali sono protese geograficamente. Lo scenario di oggi costituisce una riproposizione dei due blocchi contrapposti prima della caduta del Muro di Berlino.
Come si innesta la Siria in questo scacchiere?
Rientra in una dinamica di sfere d’influenza. Stati Uniti ed Europa, sconfitti e quasi cacciati dall’Iraq (oggi, più che mai, Paese alleato del vicino Iran), in seria difficoltà in Afghanistan, stanno tentando di ridurre l’influenza che la Russia riesce ad esercitare in quella regione. Questa politica occidentale di ostruzionismo anti-russo risale già a molto tempo prima di innescare la miccia in Siria.
Agli inizi degli anni novanta, approfittando delle fisiologiche difficoltà incontrate dalla Federazione Russa durante la fase di transizione dal comunismo al liberalismo, gli Stati Uniti iniziavano a coltivare una serie di alleanze con Paesi vicini alla sfera della Russia. Ciò è avvenuto - per citare esempi significativi - nei Balcani e nei Paesi sud-caucasici ex appartenenti all’Urss. Tuttavia, le azioni di disturbo statunitensi non riuscivano a raggiungere gli effetti sperati: al di là di tutto, il legame tra Mosca e quei Paesi ex appartenenti alla sfera d’influenza sovietica non si è mai reciso. Anzi, posso assicurare che i rapporti tra questi popoli e il popolo russo restano più che mai amichevoli.
È a questo punto che Stati Uniti ed Europa decidono di rivolgere le loro attenzioni altrove, colpendo gli interessi economici e strategici della Federazione Russa nel Medio Oriente e in Nord Africa. Dapprima hanno invaso l’Iraq, più di recente hanno fomentato gli sconvolgimenti in Libia. L’ultimo tassello di questo piano occidentale prevede - dopo aver invano tentato di fare la stessa cosa in Iran - un colpo di Stato in Siria.
Considera dunque il conflitto siriano l’effetto di un’azione di disturbo statunitense nei confronti della Federazione Russa?
Proprio così. Nonostante i cambiamenti in chiave di apertura verso l’Occidente che hanno contraddistinto la Federazione Russa dalla fine del comunismo ad oggi, gli Stati Uniti continuano a temerne la potenza. Considerano quindi Mosca un nemico nella stessa maniera in cui lo consideravano ai tempi della guerra fredda. Ciò è testimoniato dalle interferenze negli affari interni del Cremlino, dal sostegno ai movimenti integralisti anti-russi, infine dalla politica militare che ha lo scopo di assediare la sfera d’influenza della Russia. Questa politica militare ha fatto tappa in Siria, dove le più crudeli bande di integralisti islamici stanno compiendo azioni terroristiche con l’appoggio degli Stati Uniti. A tal proposito, ci tengo a ricordare che l’Europa, pur di rendersi accomodante nei confronti della politica di Washington, sta contribuendo al massacro dei cristiani in Medio Oriente.
In questo contesto di blocchi contrapposti, la Russia non si trova sola. Prima ha fatto riferimento all’alleanza con la Cina…
Esatto. Del resto anche la Cina è cinta d’assedio da parte degli Stati Uniti, è dunque naturale l’esistenza di un’intesa russo-cinese. Gli americani lavorano freneticamente per escogitare nuove armi che possano intimorire, così edificano scudi missilistici in Polonia e in Turchia, chiaramente anti-russi e anti-cinesi. Tutto questo non impedisce però a Russia e Cina di apprestarsi a diventare le prime potenze economiche nel mondo. Proprio mentre l’Europa, come causa della sua scelta di seguire pedissequamente gli Stati Uniti, affonda nella crisi economica.
Qualche esempio di questa prosperità russo-cinese?
Sia la Federazione Russa che la Repubblica Popolare Cinese negli ultimi 10 anni hanno investito ingenti somme di denaro nell’area ex sovietica. Russia e Kazakhstan annunciano di creare una difesa missilistica comune entro la fine del 2012. A breve, un analogo accordo potrebbe essere raggiunto anche con l‘Armenia. Un sistema di protezione comune esiste già tra Russia e Bielorussia. Ma il fiore all’occhiello è costituito dall’accordo di Almaty (Kazakhstan) del 1997. Consiste nella nascita del Joint CIS Air Defense System, un sistema integrato di difesa aerea che comprende Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan.
La sua nascita fu il primo passo per la formazione di uno scudo antimissile russo in Asia centrale, malgrado il dissenso dell’Uzbekistan. La Federazione Russa scelse di impostare gradualmente le reti di difesa aerea con i singoli Stati dell’ex CSI; in questo modo Mosca riuscì a tenere la NATO lontana dalla sua orbita quanto necessario.
L’alleanza tra Russia e Cina è solo militare?
Tutt’altro. Le due potenze stanno concretizzando l’idea di uno spazio economico eurasiatico unito, un trattato, un parallelo fra la Comunità Economica Eurasiatica e lo spazio nato dai trattati di Roma del marzo del 1957. Stanno costruendo un’unione doganale unica in cui persone e capitali possano muoversi liberamente, un accordo fondato sui principi che sono alla base anche di altre unioni presenti altrove. Sia la Repubblica Popolare Cinese che la Federazione Russa sono riuscite a sostenere ritmi di crescita economica non indifferenti, oltre il 4% annuo, il che permette di aumentare la domanda della loro moneta.
Torniamo al conflitto in Siria. Alla luce delle sue considerazioni, si può parlare di una guerra per procura scatenata dagli Stati Uniti in chiave anti-russa e anche anti-cinese?
Certo, quella che sta avvenendo è nient’altro che una guerra per procura. La definirei l’anticamera per rompere il nuovo equilibrio mondiale nato dalla volontà di Stati dignitosi di emanciparsi dall’egemonia americana. Una volontà che mette fine al cosiddetto “caos creativo”, ovvero la politica di distruzione e di immoralità atta a garantire gli interessi strategici delle multinazionali e del mondo finanziario. Questa guerra per procura coinvolge anche la Turchia, più “ottomana” oggi di quanto fosse durante l’Impero ottomano, e i Paesi del Golfo Persico, i maggiori finanziatori dei jihadisti islamici che agiscono in Siria.
Ciò che è più vergognoso - ci tengo a ribadirlo - è l’atteggiamento del continente europeo, il quale ha tradito tutti i valori su cui si basano le sue repubbliche. L’Europa supporta quei terroristi che in Siria stanno tentando non solo di destituire Assad, ma anche di demolire una civiltà ricca, basata sulla convivenza pacifica tra musulmani e cristiani, che ha antichissimi rapporti con le sponde settentrionali del mar Mediterraneo. Si tratta, per inciso, degli stessi terroristi che in Afghanistan uccidono i nostri soldati. Fa ribrezzo dover ascoltare politici europei, soprattutto quelli di sinistra, che dicono che esiste una lotta per la democrazia in Siria. Ciò lo ritengo un insulto alla nostra intelligenza.
Prevede che Assad sia destinato a cadere, magari mediante un intervento straniero?
Al contrario, credo che il governo in Siria non cadrà. Del resto è ciò che confermano tutti gli esperti di geopolitica. Sottoscrivo le seguenti parole pronunciate dallo stesso presidente Assad: “La Siria è l'ultimo bastione di secolarismo, stabilità e coesistenza nella regione”, e un eventuale intervento straniero causerebbe un “effetto domino sul mondo, dall'oceano Atlantico all'oceano Pacifico”. Al contempo, Assad ha anche avvertito: “Non credo che l'Occidente stia andando nella direzione di un intervento militare, ma se lo farà, nessuno può prevedere cosa ne scaturirebbe”.
Le chiedo un parere da esperto giornalista sull’atteggiamento dei media occidentali circa ciò che avviene in Siria.
Gli Stati Uniti sanno che il raggiungimento dei loro interessi politici passa per il monopolio dell’informazione. È questo un obiettivo per cui si battono alacremente, forti della rete di editori e direttori di testate compiacenti che sono riusciti a creare nel corso del tempo. Nell’ultimo anno sono stato in Siria otto volte, in diverse occasioni ho accompagnato colleghi che lavorano in importanti testate. Non si può avere idea delle pressioni esercitate su questi giornalisti, spesso molto bravi, da parte dei loro direttori, persone incompetenti, ma posizionate in posti di comando dai politici, a loro volta obbligati a fare gli interessi dell’alta finanza. Cito un esempio su tutti: ho accompagnato una collega che si occupa di Medio Oriente a Damasco, per incontrare ed intervistare il presidente siriano Assad. Giunti nel suo quartier generale, appena dopo aver ricevuto una telefonata dall’Italia, la collega ha sfidato il naturale imbarazzo e ha scelto di essere sincera: ha detto ad Assad che era stato un onore incontrarlo, ma che purtroppo lei non era più nelle condizioni di svolgere liberamente il suo lavoro. Chiaro, no? La redazione del suo giornale le aveva comunicato che il testo delle risposte di Assad sarebbe stato stravolto per alterare in negativo l’immagine del presidente siriano. Questa collega, fiera per aver difeso la sua dignità di giornalista libera, è tornata da Damasco senza intervista ma tenendo alto il decoro della professione.
Federico Cenci – Agenzia Stampa Italia