(ASI) Lettere in Redazione. Roma - Al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Elsa Fornero Le recenti innovazioni normative in materia pensionistica hanno colpito numerosi lavoratori espulsi dal mercato e privati dei requisiti per la pensione. Ma hanno determinato effetti ancora più devastanti a danno delle donne lavoratrici, producendo una penalizzazione di genere, che è grave e inaccettabile.
Facciamo riferimento al nostro caso. Siamo lavoratrici esodate o mobilitate che hanno sottoscritto accordi individuali o collettivi prima del 4 dicembre 2011 e lavoratrici licenziate entro la stessa data, tutte prossime all’età pensionabile in base alla precedente legge. Ora vediamo improvvisamente posticipata anche di oltre sei anni (dagli originari 60 agli attuali 66/67) la data del nostro possibile pensionamento, che per gli uomini risulta differita ma al massimo di due anni (da 65 a 67). Già la legge 111/2011 aveva anticipato: · per tutti al 2013 l’avvio dell’adeguamento dell’età all’aspettativa di vita; · per le donne al 2014 l’aumento dell’età per il conseguimento della pensione di vecchiaia, prevedendo un incremento progressivo e sostenibile fino a raggiungere l’equiparazione fra lavoratori e lavoratrici ai fini pensionistici. La legge 214/2011 invece, con l’obiettivo di perequare immediatamente l’età di pensionamento dei lavoratori di entrambi i sessi, non ha operato alcuna distinzione fra le donne ancora occupate e quelle che non lo sono più. Noi abbiamo dunque subito una duplice violenza. 1) Il nostro progetto professionale è stato interrotto o perché abbiamo dovuto subire l’iniziativa unilaterale dei datori di lavoro (licenziamento) o perché abbiamo aderito, nostro malgrado e non certo in modo indolore, a logiche di riduzione del personale (esodo/mobilità). In questi casi infatti la nostra scelta è stata non di rado indotta dal contesto aziendale fortemente discriminatorio nei confronti delle donne prossime alla conclusione del percorso lavorativo, è stata con frequenza motivata dalla necessità di svolgere le funzioni di cura, di sviluppo delle capacità e di sostegno delle incapacità dei componenti della famiglia, costantemente demandate alle donne ed è stata in ogni caso supportata dalla certezza di raggiungere l’età pensionabile in un lasso di tempo breve, non superiore a due/tre anni. 2) La nostra capacità di conseguire un reddito è stata azzerata, perché ci troviamo improvvisamente prive di stipendio e di titolo alla pensione per un arco di tempo insostenibilmente lungo e del resto non è ragionevolmente ipotizzabile, nell’attuale situazione di crisi del lavoro, una nostra ricollocazione professionale. Non percependo reddito, oltre a trovarci in situazioni di difficoltà (se non di bisogno) personali e familiari, abbiamo perso la nostra autonomia, siamo divenute soggetti deboli che rientrano in uno stato di subalternità, dal quale nel tempo si erano affrancati. E’ singolare che una così incisiva disuguaglianza prenda forma proprio in una fase storica nella quale una donna è responsabile del Dicastero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ci rivolgiamo pertanto a Lei, Ministro Fornero, perché risolva al più presto l’iniquità della situazione attuale, riconoscendo per tutte le lavoratrici che si trovano nella nostra condizione il diritto alla pensione in base
alle regole vigenti al momento nel quale hanno sottoscritto gli accordi per l’uscita dal lavoro o sono state
licenziate.
Chiediamo anche ai rappresentanti delle istituzioni e della cultura, ai politici, ai giornalisti, in particolare se
donne, alle organizzazioni sindacali, alle associazioni e alle singole persone di sostenere con convinzione e
tenacia la nostra richiesta, visto che l’evoluzione civile, morale ed economica di una società non può
realizzarsi a scapito dei diritti delle donne.
Gruppo ESMOL
Donne ESodate, Mobilitate, Licenziate
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