(ASI) "Sono convinta che l’Italia abbia bisogno di riforme. Ma questo non significa che si debbano fare in ogni caso. Ad essere utili, infatti, sono soltanto quelle buone e questa riforma costituzionale non lo è.
E’ pensata male, fatta e soprattutto scritta peggio: un pastrocchio. Ma andiamo per ordine. La riforma va affrontata nel merito e non sulla base dell’approccio “Renzi sì, Renzi no”: i governi e i premier passano, le riforme costituzionali restano. Con il referendum del 4 dicembre decideremo, infatti, quali saranno gli assetti della nostra Repubblica e della nostra democrazia e dobbiamo farlo dibattendo, preparati e informati, sul merito.
Chi sta leggendo questo intervento sicuramente ricorderà che, nel 2001, gli slogan dei fautori del federalismo recitavano che affidare maggiori competenze alle Regioni avrebbe avuto effetti importanti sulla riduzione della spesa e del deficit. Ebbene, cos’è accaduto? E’ successo l”esatto contrario, il debito pubblico è lievitato proprio a seguito delle spese fuori controllo effettuate dalle Regioni.
Seppur in buona fede, si hanno effetti contrari rispetto agli obiettivi, soprattutto quando si fanno riforme così importanti senza prima fare una seria valutazione di impatto. E’ incredibile come, ancora nel 2016, cambiamenti così rilevanti siano proposti ai cittadini affidandosi unicamente alla ‘creatività’ di politici e tecnici. Un esempio? Con questa riforma si sostiene che il sistema diventerà più veloce, perché diminuiranno i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato. Questa affermazione non è vera in senso assoluto ma tutta da dimostrare. Infatti, mentre oggi l’articolo 117 indica le materie di legislazione delle Regioni e stabilisce come esercitare questa funzione, con la riforma lo Stato darà “disposizioni generali e comuni” e lascerà il “resto” della normativa alle Regioni. Questa genericità con ogni probabilità comporterà anni di processi davanti alla Corte costituzionale per trovare un equilibrio tra Stato e Regioni. Vi sembra una semplificazione che velocizzerà lo Stato?
Ci sono tanti altri motivi per cui questa riforma è da inscrivere nel capitolo delle “occasioni perdute”. A cominciare dalla finta abolizione del Senato che, invece, sarà trasformato in una sorta di Grand Hotel in cui i sindaci e i consiglieri regionali, nominati dalle segreterie dei rispettivi partiti, entreranno ed usciranno in base alla durata del loro mandato. Questo Grand Hotel Senato, non più elettivo, manterrà però competenze importanti come quelle sulle riforme costituzionali e sulla legislazione dell’Unione europea indebolendo la posizione dell’Italia in Europa data la scarsa autorevolezza attribuita agli organismi non eletti dai cittadini. Ma non basta, i sindaci e i consiglieri regionali dove troveranno il tempo di occuparsi di politiche comunitarie e con quali competenze?
La riforma costituzionale non avrà gli effetti promessi neanche sui costi del Senato che diminuiranno di appena un quinto perché la macchina amministrativa che affianca i lavori di palazzo Madama, e che è una delle voci di spesa più consistenti del bilancio, rimarrà tale e quale.
Quanto poi alla necessità di rendere più rapidi ed efficienti i lavori di Governo e Parlamento, il nuovo Senato avrà la possibilità di chiedere di esaminare i disegni di legge della Camera che, a sua volta, avrà sei mesi di tempo per pronunciarsi. In barba alla riduzione dei tempi e senza tenere conto che sono previste procedure di passaggio tra Camera e Senato diverse (ben 13 secondo i tecnici) a seconda della natura del contenuto dell’atto legislativo. Se si volessero davvero velocizzare i lavori del Parlamento, la soluzione sarebbe a portata di mano: basterebbe riformare i regolamenti di Camera e Senato e utilizzare maggiormente il potere legislativo delle Commissioni.
Da ultimo ma non meno importante, il testo della riforma costituzionale è scritto male, a tratti è addirittura incomprensibile. Lo sottolineo con forza perché questo è forse il più pericoloso dei punti deboli della riforma: ciò che non si capisce, che è poco chiaro, rende incerti anche i nostri diritti. Lo stesso quesito referendario poi, riassume, in poche frasi sommarie, più modifiche costituzionali non consentendo ai cittadini di discernere tra i cambiamenti apportati.
Per evitare di propinare ai cittadini italiani l’ennesimo pasticcio e addirittura elevarlo a Carta Costituzionale, ho votano NO in Parlamento alla riforma, sostengo il NO al referendum e ho attivato comitati per il NO in tutta la regione. Cambiare è importante ma solo se si è capaci di farlo in meglio". Lo dichiara Adriana Galgano, deputata e coordinatrice Comitato civico umbro per il no". Così dichiarala deputata Adriana Galgano del Gruppo Civici e Innovatori.